Ilva di Taranto: lotta difficile contro il ricatto del capitalismo

La lotta degli operai - che ha visto anche la partecipazione di ampi settori della popolazione di Taranto - contro il ricatto dell’Ilva, a cui sono sottoposti non da ora ma dagli anni Sessanta, cioè fin da quando l’acciaieria è entrata in funzione, è l’esempio del conflitto irriducibile fra gli interessi della classe lavoratrice da un lato e gli interessi del padronato dall’altra, di cui lo Stato si fa il massimo garante.

Ma la vicenda IIva mostra anche chiaramente come l’esistenza del capitalismo sia in contrasto con la vita dell’intera umanità. O ti mangi questa minestra - condizioni di lavoro durissime nelle fonderie, livelli altissimi di inquinamento e quindi di malattie per gli operai stessi e per tutta la città - o ti butti dalla finestra - la disoccupazione - . Un ricatto antico quanto il lavoro salariato.

Per certi aspetti, è una lotta esemplare anche perché - come si diceva - dimostra che, in ultima istanza, il capitalismo è il supremo avversario non solo della classe lavoratrice sul cui sfruttamento si fonda la sua esistenza, ma dell’umanità nel suo complesso. La produzione di acciaio è infatti il cuore dell’industria pesante, e l’Ilva, con una capacità annua di trasformazione che supera i venti milioni di tonnellate di materie prime e un indotto complessivo di circa ventimila operai, è la più grande acciaieria d’Europa. Stiamo dunque parlando di un settore fondamentale della produzione capitalistica. Peccato che i periti nominati dalla Procura di Taranto abbiano quantificato, in sette anni, un totale di 11.550 morti, con una media di 1650 morti all'anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie; un totale di 26.999 ricoveri, con una media di 3.857 ricoveri all'anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari. Considerando solo i quartieri Tamburi e Borgo, i più vicini alla zona industriale: un totale di 637 morti, in media 91 morti all'anno. Numeri da guerra civile.

Sul piano della mobilitazione, si tratta di una lotta esemplare anche perché dimostra in modo inequivocabile come i sindacati confederali non siano ormai altro che l’estremo argine nei luoghi di lavoro per la conservazione di questo sistema, con buona pace di chi si ostina a volerli cambiare dall’interno o si illude addirittura di strapparne la guida ai dirigenti collaborazionisti o spera di rifondarne altri.

In luglio si è infatti costituito il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, con l’obiettivo di organizzare dal basso la mobilitazione contro questo ricatto, rivendicando sia il lavoro che la salute non attraverso intese fra vertici e personalità di spicco, ma con periodiche assemblee pubbliche convocate all’aperto, nelle piazze della città.

Imputiamo all’intera classe politica - si legge nel blog del Comitato - di essere stata complice del disastro ambientale e sociale che da cinquant’anni costringe la città di Taranto a dover svendere diritti in cambio del salario. Siamo stanchi di essere rappresentati da sindacalisti che invece di difendere i diritti dei lavoratori salvaguardano i profitti dell’azienda.

Operai, precari, disoccupati, studenti e cittadini di varia estrazione che giudicano vergognosa

l’ipocrisia della politica e di CGIL-CISL-UIL che mentivano sapendo di mentire nel momento in cui affermavano che la messa a norma poteva essere compiuta continuando a produrre a pieno regime, e che Ferrante avrebbe potuto essere colui che doveva controllare le operazioni. In realtà questa ipocrita posizione era come sempre finalizzata a salvaguardare i profitti miliardari di Riva, dato il notorio asservimento di questi soggetti.

E oltre al danno, la beffa:

Taranto è stata sterminata da Ilva, Cementir, Eni e Marina Militare, ma nonostante ciò, è una delle città col più alto tasso di disoccupazione.

Tra le richieste del Comitato c’è il “reddito di cittadinanza” e la “piena occupazione”. È evidente che rivendicazioni di questo genere vanno esattamente nella direzione opposta rispetto alle esigenze di un capitalismo in crisi che taglia quel che rimane dello stato sociale, decurta i salari e chiude le fabbriche. A meno che per “reddito di cittadinanza” non si intenda una sorta di sussidio di disoccupazione (poche centinaia di euro) che un domani lo stesso regime borghese potrebbe decidere di elargire, come misura momentanea per tamponare l’esplosione di dure lotte sociali di cui per ora si vede solo qualche scintilla. Ma allora, consapevoli di ciò - e il Comitato, purtroppo, non lo è - bisognerebbe fare anche un passo ulteriore, cioè iniziare a mettere in discussione le leggi stesse del capitalismo e le istituzioni che lo rappresentano.

Che fare, dunque? Che tipo di lotta intraprendere? Sul Manifesto dello scorso 11 agosto Marco Ferrando, segretario del PCL, attacca sia Nichi Vendola (SEL) che Paolo Ferrero (Rifondazione) perché

c’è un punto che accomuna tutte le sinistre sindacali e politiche in questa vicenda, al di là delle loro diverse collocazioni: nessuno rivendica l’esproprio di una proprietà criminale. Tutti sembrano considerare normale - nel nome della "difesa del lavoro" - che resti intatta una proprietà aziendale che assassina operai e loro familiari nel nome del profitto. (…) Si dirà che questa soluzione è "irrealistica" perché è incompatibile con il capitalismo. È il capitalismo a essere incompatibile col lavoro e con la vita. (…) In altri termini, o il governo dei lavoratori, o il governo del capitale.

Attaccare Vendola e Ferrero perché non vanno oltre le compatibilità del sistema è giustissimo, ma la contraddizione del ragionamento di Ferrando è abbastanza evidente. Lui stesso afferma in chiusura che per espropriare l’Ilva si pone la questione: governo dei lavoratori, o governo del capitale. Ma il governo dei lavoratori è la rivoluzione! È il risultato di una mobilitazione di massa che dovrebbe partire almeno a livello nazionale, e non certo in una sola città, per poi estendersi sul piano internazionale. A meno che Ferrando non intenda, per “governo dei lavoratori”, un governo delle sinistre che nulla avrebbe a che fare con il potere della classe lavoratrice espresso da organismi assembleari, fuori e contro le istituzioni capitalistiche. Ma allora bisogna parlare chiaro e chiamare le cose con il loro nome, altrimenti si scade nel massimalismo e si illudono i propri interlocutori.

All’ordine del giorno non c’è la rivoluzione proletaria, ma l’estensione delle lotte sul terreno di classe per marciare verso quell’obiettivo. Gli operai dell’Ilva dovrebbero quindi cercare di collegare la propria battaglia a quella di tanti altri lavoratori che in questo periodo stanno subendo attacchi altrettanto gravi da parte del capitalismo e dei suoi agenti: Alcoa, Pomigliano, Termini Imerese, Iveco Irisbus, Ansaldo Breda, Wind Jet, Nokia Siemens… ovunque dilagano cassa integrazione e licenziamenti.

Un’altra questione fondamentale che la vicenda Ilva permette di ribadire riguarda la centralità dell’azione della classe proletaria.

Per i suoi principi, il comunismo è al di sopra del dissidio tra borghesia e proletariato, poiché lo considera giustificato nel suo significato storico soltanto per il presente, non per il futuro; esso intende appunto sopprimere tale dissidio. Riconosce perciò, finché il dissidio permane; che il risentimento del proletariato contro i suoi oppressori è una necessità, che rappresenta la leva più importante del movimento operaio ai suoi inizi; ma va oltre tale risentimento, perché il comunismo è appunto una causa di tutta l’umanità, non soltanto degli operai.

F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra

Colpendo i disastri ambientali - così come la guerra - tutta la popolazione le reazioni a questi disastri tendono inevitabilmente ad assumere carattere interclassista e questo lo vediamo nella sigla stessa del Comitato di Taranto. Come dice Engels:

il risentimento del proletariato contro i suoi oppressori è una necessità, che rappresenta la leva più importante...

Per tale motivo i comunisti devono spingere affinché le reazioni di classe rompono completamente con una impostazione interclassista. Il proletariato deve agire con la propria indipendenza organizzativa per poi magari trascinarsi dietro - e su contenuti proletari - tutti coloro (ceto medio proletarizzato in primis) che vogliono sostenere la causa proletaria e combattere contro i disastri prodotti da questo sistema.

I lavoratori dell’Ilva hanno in più l’occasione di porre anche la questione centrale della salute, della devastazione ambientale e delle condizioni di lavoro che viviamo. In una parola, la questione di volersi condannare o meno a questo sistema economico sempre più brutale e sempre più esplicito nei suoi inaccettabili ricatti. Ecco allora che all'ordine del giorno si pone, come sempre, l'altro elemento fondamentale, accanto all'indispensabile mobilitazione operaia e proletaria: il rafforzamento e il radicamento dell'avanguardia rivoluzionaria nel proletariato stesso, cioè il partito. Senza di questo, anche le lotte più determinate non potrebbero mai trovare la strada per un'alternativa concreta al capitalismo e ai suoi veleni; senza di esso, gli slanci più generosi sono destinati a perdersi inutilmente nelle illusioni del riformismo e della sconfitta sterile.

GS

Mercoledì, August 29, 2012

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.