Il conflitto fra Marx e Bakunin in un'opera di Franz Mehring

In questo venticinquesimo anniversario dei tragico inverno berlinese dei 1919 bisogna ricordare che al proletariato rivoluzionario tedesco non vennero allora a mancare soltanto Karl Liebknect e Rosa Luxemburg, abbattuti dai mercenari di Noske, ma venne anche a mancare Franz Mehring, una mente tanto efficiente nell'organizzare i fatti quanto i cervelli dei suoi due grandi compagni erano stati efficienti nell'organizzare uomini e idee.

Lo storico Franz Mehring, autore, fra l'altro, della Storia della socialdemocrazia tedesca, della Leggenda di Lessing e di una Vita di Marx, testè tradotta per la prima volta in Italia, era stato con Liebknect, con la Luxemburg e con Clara Zetkin, uno dei più fermi oppositori della guerra imperialista, uno dei fondatori dello Spartakusbund prima e del Partito Comunista Tedesco dopo.

La vita di Marx fu dal Mehring scritta mentre infuriava la Prima Guerra Mondiale e la prefazione porta la data del marzo 1918 (nel gennaio si era sviluppato il grande sciopero generale dei lavoratori tedeschi per la pace). Poiché l'autore fissa la data del definitivo concepimento dell'opera posteriormente al 10 novembre 1913 non si comprende perché il curatore dell'edizione italiana avverta nell'introduzione che il libro debba considerarsi frutto di un tempo in cui, soprattutto in Germania, il movimento operaio si cullava nell'illusione della propria forza organizzativa e della propria sicurezza ideologica, e l'urgenza di certe chiarificazioni s'era attutita. A noi sembra invece che in ogni pagina di quest'opera spiri la passione rivoluzionaria che investe già, negli anni che vanno da Sarajevo a Zimmerwald, da Zimmerwald ai dieci giorni che sconvolsero il mondo, tutto il movimento operaio europeo (e forse il contributo dato al libro dalla Luxemburg con la stesura delle pagine dedicate all'analisi del secondo e terzo volume del «Capitale» non costituisce qualcosa di più di una collaborazione da specialista?).

Indipendentemente dal clima politico in cui fu elaborato, il libro fu di per sé un avvenimento rivoluzionario; in primo luogo perché fornì all'avanguardia rivoluzionaria che portava il nome di Spartaco, un eccellente strumento di informazione storica e di educazione politica, in secondo luogo perché l'impostazione dei problemi d'interpretazione storica affrontati nel corso della biografia è una impostazione nuova, rivoluzionaria, di rottura con la tradizione culturale socialdemocratica.

Mentre la storiografia socialdemocratica aveva abilmente ridotto, a forza di omissioni, di reticenze, di trucchi volgari, la figura di Marx al formato delle proprie esigenze di partito ed aveva quindi consolidato una menzogna sotto i drappeggi del mito, Mehring con i risultati delle sue ricerche viene a sconvolgere questo mito consacrato.

Ma non a caso contro questa impostazione critica si levarono «i due custodi del Sion del marxismo», cioè il Kautsky ed il Riazanoff che sulla Neue Zenit (dove erano apparsi alcuni appunti del Mehring che anticipavano giudizi espressi nella biografia) svilupparono una violenta campagna di «terrorismo spirituale» contro Mehring e contro le sue posizioni storiografiche che non portavano alcun rispetto ai pregiudizi correnti.

E non a caso i detrattori di Mehring rimproverarono soprattutto alla sua opera di avere rappresentato i rapporti fra Marx e Bakunin non già secondo gli schemi vigenti nella propaganda, ma secondo una coscienziosa indagine dei fatti e dei documenti.

Si sa quale fosse presso i filistei della socialdemocrazia tedesca l'opinione corrente su Bakunin e sull'anarchismo, mutuata dalla liberistica del periodo bismarkiano: Bakunin come un nemico cosciente della classe operaia, il movimento anarchico una infiltrazione estranea nel movimento operaio.

Mehring rifiuta questa opinione corrente come fantastica e assurda, la sgonfia facilmente opponendovi una sana concezione materialistica e vi sostituisce una valutazione obiettiva. Bakunin, secondo Mehring, interpretava determinate istanze del movimento operaio, e l'anarchismo costituiva la formulazione politica di queste istanze.

Proprio alla fonte di queste complicazioni, nella contesa ginevrina fra la fabrique e i gros métiers, si rivelavano i reali antagonisti. Qui un ceto operaio ben pagato, con diritti politici che gli consentivano di partecipare alla lotta parlamentare, ma che lo attiravano anche in ogni sorta di discutibili alleanze con partiti borghesi; là uno strato operaio mal pagato, privo di diritti politici, che poteva contare soltanto sulla sua nuda forza. Si trattava di questi antagonismi pratici e non, come suole raccontare la tradizione leggendaria, di un antagonismo teorico: qui la ragione, là la mancanza di ragione!
Le cose non erano così semplici, e non lo sono neppure oggi, come indica il sempre nuovo risorgere dell'anarchismo, ogni volta che è stato dato per morto e sepolto. Non significa davvero professarlo, se ci si guarda dal disconoscerne il significato proprio, come non significa rifiutare il dovuto riconoscimento all'attività politico-parlamentare, se non si disconosce che essa con le sue riforme, certo accettabili, può portare il movimento operaio a un punto morto, dove cessa il suo respiro rivoluzionario. Non era un caso che Bakunin contasse un certo numero di seguaci che si sono acquistati grandi meriti nella lotta di emancipazione del proletariato. Liebknecht non apparteneva certo al numero degli amici di Bakunin, ma al tempo del congresso di Basilea si pronunciò per l'astensione politica almeno con lo stesso fervore di Bakunin. Altri invece erano i più fervidi bakuninisti al tempo del Congresso di Basilea e anche per molto tempo dopo, come Jules Guesde in Francia, Carlo Cafiero in Italia, César De Paepe, Pavel Axelrod in Russia; se essi poi diventarono altrettanto fervidi marxisti, ciò accadde, come taluno di loro ha espressamente affermato, non perché essi si siano sbarazzati delle loro precedenti convinzioni, ma solo perché erano legati a ciò che Bakunin aveva in comune con Marx.
Gli uni e gli altri volevano un movimento proletario di massa, e vi era fra loro contrasto solo a proposito della strada maestra che tale movimento doveva prendere.

Queste considerazioni troncano la testa alle qualifiche di «borghese» o «piccolo-borghese» affibbiate al movimento ispirato da Bakunin e collocano la divergenza fra Marx e Bakunin sul piano delle differenze materiali, obiettive che pesavano sullo sviluppo del movimento operaio di cento anni fa.

Ciò non significa che il Mehring trascuri l'influenza che alcuni elementi subbiettivi esercitarono nel determinare e nell'aggravare il conflitto (il temperamento, le prevenzioni di Marx verso i russi e di Bakunin verso i tedeschi, la diversa formazione teorica) oppure il peso di alcuni incresciosi equivoci in cui cadde il Marx, od ancora l'opera nefasta condotta presso Marx da alcuni provocatori di discordia come l'Hess, il Borkeim, l'Utin.

Il Mehring è anche molto severo verso i tre scritti polemicamente più duri di Marx contro Bakunin: la «comunicazione confidenziale» del 1870, «Le pretese scissioni nell'internazionale» del 1872, «L'Alleanza della Democrazia Socialista e l'Associazione Internazionale dei Lavoratori» del 1873.

Su quest'ultimo documento egli esprime il seguente giudizio:

«Piuttosto è un'altra considerazione che pone questo scritto al gradino più basso fra tutto ciò che Marx ed Engels hanno pubblicato... Questo non è un documento storico, ma un atto d'accusa unilaterale, la cui tendenziosità balza agli occhi in ogni pagina.»

Indubbiamente come la pubblicazione di questi pamphlets polemici non intaccò minimamente né affievolì né oscurò la grande e devota ammirazione che Bakunin nutriva per Marx (il Mehring cita alcune ma non tutte le testimonianze di questo leale atteggiamento di Bakunin, inalterato anche dopo la controversia col Marx), così il giudizio dello storico sulla inconsistenza delle accuse lanciate dal Marx contro Bakunin non sminuisce il valore complessivo del contributo dato dal fondatore del comunismo critico al movimento di liberazione della classe operaia.

D'altronde, la verità storica si è fatto strada da se stessa.

E, a distanza di mezzo secolo dalle vecchie polemiche, un marxista provveduto come il Mehring poteva concluderne la ricostruzione storica, dedicando a Bakunin questo giusto e sereno riconoscimento:

«Morì il 1 luglio 1876 a Berna. Avrebbe meritato una fine più felice e una fama migliore di quella che di lui è rimasta in molti ambienti della classe operaia, per la quale così coraggiosamente aveva lottato e tanto aveva sofferto. Nonostante tutti i suoi difetti e i suoi errori, la storia gli assicurerà un posto d'onore fra i combattenti d'avanguardia del proletariato internazionale, anche se questo posto gli sarà sempre contestato, fin tanto che su questa terra vi saranno dei filistei, sia che nascondano le lunghe orecchie sotto il berretto da poliziotto, sia che cerchino di coprire le loro ossa tremanti sotto la pelle di leone di un Marx».

Fra questi filistei non possiamo fare a meno di annoverare il presentatore della traduzione italiana, Mario Alighiero Manacorda, il quale con tre pagine di introduzione impastate di ignoranza, di livore e di trivialità presenta l'ultima edizione del perfetto filisteo travestito in divisa di poliziotto staliniano.

Pier Carlo Masini

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.