Nota su Gramsci

Tribuna d'idee

«L'anatomia della società deve essere cercata nella sua economia.» (Marx)

«Il gretto giuoco di prestigio che l'immanentista Schuppe chiama la sua propria difesa del realismo risulta chiaramente da questa frase diretta contro Wundlst, il quale non esita a classificare gli immanentisti fra i discepoli di Fichte e gli idealisti soggettivi:
La proposizione: «l'esistenza è la coscienza», rispondeva Schuppe a Wundlst significa per me che la coscienza non può essere concepita senza il mondo esterno, e che quindi questo le appartiene, cioè che esiste una interdipendenza assoluta... tra la coscienza e il mondo esterno...
Occorre una eccessiva ingenuità per non vedere in questo «realismo» l'idealismo soggettivo più puro! Pensate: il mondo esterno «appartiene alla coscienza», tra l'uno e l'altra esiste una interdipendenza assoluta!» (Lenin)

«Per la filosofia della prassi l'essere non può essere disgiunto dal pensare, l'uomo dalla natura..., il soggetto dall'oggetto» (Gramsci)

«Piantate saldi i sostegni compagni! E scavalcate chiunque si trovi sul vostro cammino! La massa è azione!» (Ernesto Toller, «Uomo, Massa»)

Che i «Quaderni» siano sovrastruttura propria della borghesia sta a dimostrarlo tutta una serie di «contestazioni», le quali possono essere fatte dal marxismo rivoluzionario ai concetti più cari a Gramsci, di «nazionale popolare», di un'arte e cultura «italiana» e principalmente a quel principio che non ammette economia e prassi economica al di fuori della coscienza umana, del «valore gnoseologico» attribuito in ogni caso alle sovrastrutture. «Razionale e reale si identificano» e la proposizione hegeliana, che il razionale è reale e il reale è razionale, deve 'essere «valida anche per il passato». Ognuno invece sa che una fondamentale proposizione marxista afferma il concetto di un mercato indipendente dalla coscienza e volontà degli uomini, ciò che non toglie a questo mercato di essere reale, di esistere.

Afferma cioè che gli uomini agiscono sotto la determinazione della realtà di base, l'economia, anche prima di aver raggiunto coscienza e volontà. E questo non impedisce lo scambio dialettico tra struttura e sovrastrutture (consce o inconsce) e in particolari momenti. Ma non è così per G., il quale non solo ritiene come universalmente valido in ogni caso questo scambio, affermando un nesso necessario e vitale tra i due elementi, ma che alla sovrastruttura deve attribuirsi un valore gnoseologico effettivo, più o meno, in tutti i casi. «Razionale e reale si identificano».

«Concetto e fatto di "mercato determinato" e cioè rilevazione scientifica che determinate forze decisive e permanenti sono apparse storicamente, forze il cui operare si presenta con un certo "automatismo", che consente una certa misura di "prevedibilità" e di certezza per il futuro, delle iniziative individuali che a tali forze consentono dopo averle intuite e rilevate scientificamente.»

Senza tale consenso conoscente le forze perdono il loro carattere e scompaiono dalla circolazione!

Senza una cosciente sovrastruttura politica, morale, giuridica, il mercato non è «garantito», cioè non esiste, cioè

«appare che il concetto di "necessità" storica è strettamente connesso a quello di "regolarità" e di "razionalità".»

Mentre G. postula il criterio di un «mercato cosciente», Lenin da Marx ci parla di un mercato «incosciente», di una «logica oggettiva del processo economico», indipendente dalla coscienza e volontà degli uomini, ponendo comunque l'istanza di un possesso sovrastrutturale conoscente dell'economia, incitando il proletariato alla rivoluzione socialista.

Ciò che è precluso alla borghesia è concesso e si concede il proletariato, di realizzare il principio pratico critico e critico pratico della [r] tesi su Feurebach inteso come divenire dell'uomo in un nesso incessante e reciproco tra pensiero e prassi come «l'arco di Ulisse»: il principio appartiene alla forza che sa adoperarlo, abolire l'indipendenza dell'economia dall'uomo e scacciare dalla terra tutti gli alienati Cardillac.

Il concetto di «logica oggettiva», di automatismo effettivo, viene invece distrutto da G. che, sempre guidata dalla validità «anche per il passato» della proposizione hegeliana, ripete:

«Sono in contrasto la libertà e il cosiddetto automatismo? L'automatismo è in contrasto con l'arbitrio non con la libertà. L'automatismo è una libertà di gruppo, in opposizione all'arbitrio individualistico.
Quando Ricardo diceva "poste queste condizioni" si avranno queste conseguenze in economia, non rendeva "deterministica" l'economia stessa, né la sua concezione era "naturalistica". Osservava che posta l'attività solidale e coordinata di un gruppo sociale, che operi secondo certi principi accolti per convinzione (liberamente) in vista di certi fini, si ha uno sviluppo che si può chiamare automatico... Automatismo è niente altro che razionalità...»

E guardando all'anarchia della produzione capitalistica in tutto il mondo, a questo dominio degli apprendisti stregoni borghesi, solo capaci di suscitare la corsa folle e automatica delle forze produttive verso abissali catastrofi, proprio non diremo che G. ha ragione quando parla «in ogni caso» di un automatismo razionale.

Viene cancellata d'un sol colpo l'esistenza dei periodi di eteroattività, quando le forze produttive incontrollabili e automatiche sfuggono al dominio dei capitalisti; e non solo: viene abolita anche quella fase di auto-attività, di armonia tra forze e forme: che Marx traccia nell'Ideologia Tedesca, di autoattività incosciente.

Viene invece applicato a tutte le società il principio di autoattività cosciente, che Marx assegna solamente al socialismo. Tutto questo si chiama con una parola sola: idealismo.

Ma i classici parlano delle sovrastrutture borghesi come di illusioni, di immagini capovolte, di apparenze e con ciò vogliono significare che sono prive di valore gnoseologico, di una reale ed effettiva conoscenza.

Arriviamo così a un punto del pensiero di G. su cui si insiste a ripetizione, per affermare non solo il valore gnoseologico delle sovrastrutture umane in generale, ma il nesso necessario e vitale fra struttura e sovrastruttura, per poi ribaltare il concetto marxista di «base» asserendo che

«il fattore economico (inteso nel senso immediato e giudaico dell'economismo storico) non è che uno dei tanti modi con cui si presenta il più profondo processo storico»

dove ciò che sta tra parentesi è affermazione che inganna solo gli allocchi. Dice infatti:

«Che un gruppo di finanzieri, che hanno interessi in un paese determinato, possono guidare la politica di questo paese... Che "l'odore del petrolio" possa attirare dei guai seri su un paese è anche certo. [...] Ma queste affermazioni non sono ancora filosofia della prassi. Si può dire che il fattore economico...»

ecc. come sopra. Orbene, per i marxisti l'economia sta proprio nel mondo degli interessi più particolari, più volgari, più terra terra. L'economia è la parte sotterranea della società. Dire che questi interessi sono l'espressione di un... più profondo processo storico, significa rovesciare il marxismo e cadere in una ricerca astratta, significa far riapparire il «dio ignoto». Infatti non si può fare della causa l'effetto, della base la sovrastruttura, senza cadere nel principio che coscienza, spirito e affini sono in ultima analisi il più profondo processo storico e che la natura è l'estrinsecazione dell'idea, che la natura, il dato egoistico-passionale è il pretesto della vittoriosa azione [del] Soggetto morale, dell'idea vera base e vera struttura. Non si fa filosofia della prassi cadendo nel misticismo e dimenticando che l'economia è in ultima analisi la determinante. La storia così, invece di apparire storia dei concreti interessi, appare come un processo del loro superamento nell'entità morale: poiché elevarsi al di sopra del parziale concetto di classe, al di sopra del momento egoistico-passionale, del momento meramente economico elaborando la struttura in superstruttura della coscienza degli uomini:

«ciò significa anche il passaggio dall' "oggettivo" al "soggettivo" e dalla "necessità" alla "libertà".»

E tutto avviene tramite il superamento della vita economica, del momento economico-corporativo del tornaconto. E qual è quel Croce che non ammette che il vero utile è il morale, che ciò che muove la storia non è l'utile ma il morale e che il primo (visto nel senso giudaico del tornaconto, dell'egoismo) non è che fenomeno, contingente apparizione di una realtà concreta, la Morale e così via, cioè una sovrastruttura? Qui si ha il rovesciamento di cui si parlava, fino a concludere in una descrizione idealistica dello Stato come «sviluppo di tutte le energie nazionali», di tutte le classi che hanno oramai superato il momento economico, quello... volgare ben s'intende!

Come per Croce, la storia è storia di libertà (vuota), non di lotta di classe tra interessi che si escludono a vicenda. È patrocinato un punto di incontro riformistico, di superamento del bestiale interesse nell'olimpicità morale, è patrocinata l'emancipazione dalla natura nel «blocco storico», nell'unità tra la natura e lo spirito (struttura e superstruttura), «unità dei contrari e dei distinti». Riaffiora in G. il concetto riformistico dei distinti, che pure il mascherotto gramsciano Sig. Emilio Sereni bolla sdegnatissimo nel povero Croce.

Con mano troppe pesante, G. insiste sul valore delle sovrastrutture, fino a sottovalutare il concetto di Marx e Engels, l'«affermazione che l'economia è per la società ciò che l'anatomia è per le scienze biologiche», fino a farne uno degli elementi della storia: prima si esaltava la coscienza poi Marx fu costretto ad esaltare l'economia, oggi -- dice G. -- occorre allineare sul medesimo rigo i due elementi; tra «blocco storico», l'essere non può essere disgiunto dal pensare, dal conoscere, ecc...

Noi non sappiamo dove conduce questo allineamento... imparziale: al capovolgimento marxista; a formare un concetto volontaristico della sovrastruttura solo demiurgo della storia.

Ma senza base non può esistere sovrastruttura!

Per questo i compilatori dell'Ideologia tedesca affermano che l'economia è come l'anatomia, per dire che è base e che nella base vanno ricercate «in ultima analisi» le origini del movimento storico. La base ha un valore «gnoseologico». Ma non è così per G.

«Un altro elemento, contenuto nella prefazione del Zur Kritik, è certo da connettere con la riforma della legislazione processuale e penale. È detto nella prefazione che come non si giudica un individuo da ciò che esso pensa di se stesso, così non si può giudicare una società dalle ideologie. Si può forse dire che questa affermazione è connessa con la riforma per cui nei giudizi penali le prove testimoniali e materiali hanno finito col sostituire le affermazioni dell'imputato con relativa tortura ecc.»

Occorre ridare il rilievo dovuto al fattore di base, e ciò non può essere fatto che distruggendo il «blocco storico» di Gramsci.

Se veramente esiste «un nesso necessario e vitale» tra struttura e sovrastruttura, se veramente «reale e razionale si identificano», appare evidente che la base perde il significato di sostanza a priori, di prius deterministico e viene equiparata alle sovrastrutture.

Se l'economia è struttura anatomica al pari di queste, se per giudicare una società non si ricorre «in ultima analisi» al concreto mondo degli interessi, allora si ricade nel vuoto egalitarismo borghese, che Lenin denunciava in Materialismo ed Empiriocriticismo: tutti gli idealisti si illudono di «coordinare» l'oggetto al soggetto sostenendone appunto in modo ferreo la inscindibilità, la indissolubilità.

Si cade così nell'astrazione, perdendo di un solo colpo la percezione di una realtà indipendente dal soggetto, vera base di un possibile rapporto dialettico successivo di oggetto e soggetto.

In fondo alla pretesa idealistica sta l'incapacità di concepire dialetticamente il principio del riflesso marxista, la pretesa che, rigettando il materialismo volgare, si debba rigettare la tesi di una realtà indipendente. Si osservi a tale proposito la prima tesi su Feuerbach e ci si accorgerà che Marx concepisce materialismo volgare e idealismo come due «mezze verità», che necessita comporre nel materialismo storico.

L'istanza materialmente valida è quella di una realtà indipendente dello uomo, sul terreno naturale e dalla sovrastruttura (inconscia o conscia non importa) su quello sociale, mentre l'istanza idealistica valida è quella di una attività umana, che trasforma questa realtà, di una sovrastruttura che reagisce sulla base.

L'errore di Gramsci, come quello di Gentile nell'interpretazione della tesi prima, sta nel valorizzare unicamente la seconda tesi, il soggetto, realmente conoscente così che ciò che è indipendente diviene dipendente e la realtà si adegua al soggetto; al demiurgo al posto dell'adeguamento - non meccanico - del soggetto al reale.

Così la pretesa di «allineare» oggetto e soggetto è una burla, mentre si finisce con il dire che la realtà è produzione del pensiero (Gentile), che «sede di questa attività è da coscienza», che «la natura dell'uomo è lo spirito», dove il marxismo, che si era preso a pretesto, a punto di partenza, è ormai svuotato, dove domina la formula idealistica più «sincera», più volgare.

E se ciò che è sovrastruttura diventa base e se la realtà è creazione del soggetto conoscente, se ciò che è reale è razionale, occorreva porre l'accento sul «valore gnoseologico» di ogni sovrastruttura umana, e dopo aver «spiegato» Marx distruggendone la formulazione fondamentale del prius con i ragionamenti delle «scienze naturali» e delle «riforme processuali e penali», spiegare anche come mai nacquero affermazioni marxiste dell'«illusorietà» della sovrastruttura prima dell'avvento della classe nuova, il proletariato.

Per un sostenitore del «blocco storico», ciò non può essere che strano e insufficiente. Gramsci «interpreta» il passo della Prefazione all'Economia Politica:

«Nell'analisi di questi svolgimenti, occorre sempre distinguere tra il rivoluzionamento materiale - constatabile con esattezza scientifica - delle condizioni economiche di produzione e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche, in breve ideologiche, in cui gli uomini prendono coscienza di questo conflitto e vi partecipano attivamente. [... In tal modo] la proposizione contenuta nell'introduzione alla «Critica dell'economia politica» che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura nel terreno delle ideologie deve essere considerata come una affermazione di valore gnoseologico e non puramente psicologico e morale.»

Mentre in tale brano Marx non attribuisce un «valore gnoseologico» alla forma, ideologica; dice soltanto che attraverso tali forme gli uomini «prendono coscienza»; ma per Marx coscienza non equivale genericamente e in tutti i casi a conoscenza positiva; a quella che usualmente si dice conoscenza e basta. Anzi per io più viene specificato che si tratta di coscienza falsa, «illusoria», come nella lettera del 14 luglio 1893 che Engels inviava a Mehring:

«L'ideologia è un processo che si compie, sì, coscientemente, nel cosidetto pensatore, ma un processo che si compie con una coscienza falsa. Le forze, che effettivamente lo muovono, gli restano sconosciute, altrimenti non si tratterebbe, appunto, di un processo ideologico ecc.»

(Dato che nella Prefazione si parla di «forme ideologiche», si dovrebbe più rigorosamente dedurre che Marx parla di illusioni, e non di forme a valore gnoseologico. Ovviamente Marx allude alle... creazioni lunari, della borghesia.) Pertanto coscienza non equivale sempre a conoscenza (reale).

«Tali rappresentazioni sono la espressione, cosciente e reale o illusoria che sia, dei loro reali rapporti e delle loro attività, della loro produzione, del loro scambio, del loro comportamento sociale e politico...» (Ideologia Tedesca)

Per Marx, coscienza reale è solo una sovrastruttura del proletariato. Ma per G. non è così: quando Marx parla di forme «apparenti», lo fa perché spinto dal demone della polemica, dal «linguaggio polemico», reso contingentemente necessario dalla necessità di demolire «l'egemonia di un altro gruppo» (?); oppure perché spinto dalla... «riforma della legislazione processuale e penale». Mentre è da un lato puramente scientifico che Marx sostiene il carattere ideologicamente illusorio delle sovrastrutture borghesi e il processo addirittura incosciente della storia, fino all'apparire della nuova classe. Non è così invece per chi pone come sempre esistente, in, varia misura, una struttura collegata alla sovrastruttura realmente dotata di valore gnoseologico. E perciò G. scrive:

«Se gli uomini acquistano coscienza della loro posizione sociale e dei loro compiti nel terreno delle soprastrutture, ciò significa che tra struttura e superstruttura esiste un nesso necessario e vitale.»

«Blocco storico», in cui si ha il trionfo dello... Spirito Assoluto. E alla sovrastruttura si dà - è bene ripeterlo - un valore gnoseologico, che finisce per costituirne l'essenza del reale, cadendo ancora nell'apriori. Conseguentemente si può anche partire dall'ideologia per spiegare i rapporti di produzione, tacendo in tal modo il cammino opposto a quello di Marx.

Che questi poi nel sostenere che la spiegazione non va ricercata nelle ideologie, ma nella struttura in ultima analisi, non fosse guidato da passione polemica o scetticismo nelle sovrastrutture borghesi o da residui di... diritto borghese, è fatto assodato dall'ammissione che pur stando un rapporto armonico tra struttura reale e sovrastruttura pienamente concreta, veramente teorica, il metodo del procedere dalla prima alla seconda è sempre valido e universale:

«Il proletariato può e deve liberare se stesso..., perché in lui l'uomo si è perduto, ma nello stesso tempo ha non soltanto raggiunto la coscienza teorica [cioè obbiettiva, non illusoria - ndr]. [...] Non si tratta dunque di sapere che cosa questo o quel proletario, o anche magari tutto il proletariato, s'immagina di essere, ma di sapere che cosa è.»

Ma Gramsci continua:

«Per la filosofia della prassi le superstrutture sono una realtà (o lo diventano quando non sono pure elucubrazioni individuali) oggettiva ed operante; essa afferma esplicitamente che gli uomini prendono conoscenza della loro posizione sociale e quindi dei loro compiti sul terreno delle ideologie, ciò che non è piccola affermazione di realtà; la stessa filosofia della prassi è una superstruttura. [...] C'è però una differenza fondamentale fra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche.»

Ma la differenza tra la prima e la seconda è meno fondamentale di quanto si voglia far credere se si tratta del fatto «che una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore». Mentre la vecchia è una coscienza in tono minore, ma pur sempre dotata di un valore gnoseologico.

Se esiste una identità base Croce-Gramsci nella valutazione dell'errore, Marx valuta il problema in termini opposti: poiché per Croce-Gramsci la storia è sviluppo spirituale e perciò è sviluppo di una coscienza che, da più o meno chiara obbiettività, più o meno organica diviene più obbiettiva e più chiara, più organica, mentre per Marx la sovrastruttura preistorica ha un completo valore illusorio.

Marx parla addirittura di immagini capovolte.

E queste immagini pur essendo capovolte reagiscono, pur non essendo realtà, ma solo «elucubrazioni individuali», mentre per Gramsci l'attività è funzione di un valore gnoseologico, più o meno sviluppato, di un «prendere conoscenza», senza di cui è impossibile ogni volontà e azione. (Il marxismo in certi casi distrugge non solo la conoscenza ma anche la volontà e si ha pur sempre azione al di fuori di questi termini).

Ecco un esempio di attività delle elucubrazioni mentali:

«Ma per quanto poco eroica sia la società borghese, per metterla al mondo erano però stati necessari l'eroismo, l'abnegazione, il terrore, la guerra civile e le guerre tra i popoli. E i suoi gladiatori avevano trovato nelle austere tradizioni classiche della repubblica romana gli ideali e le forze artistiche, le illusioni di cui avevano bisogno per dissimulare a se stessi il contenuto grettamente borghese delle loro lotte e per mantenere la loro passione all'altezza della grande tragedia storica.» (Marx: Il 18 brumaio)

«Illusorio» però non significa antistorico, «fuori dalla realtà»: le «illusioni» sono storia perché cooperano al movimento storico quando divengono prassi. Solo, che la loro attività serve a costruire una società disarmonica e una storia disarmonica.

Rimane da spiegare piuttosto come mai sovrastrutture che «non corrispondono» alla realtà abbiano una capacità di azione e la spiegazione va ricercata nell'esistenza di linee che si contraddicono rispetto alla loro posizione iniziale, che dall'alto scendono al basse e dal basso all'alto, come capita per i raggi in una camera oscura, così che l'immagine dell'oggetto risulta capovolta, invece di reale, idealistica. E tale capovolgimento è funzione della scarsa prassi, fattore che permette di capire come da una realtà oggettiva e sostanziale nascano immagini errate.

Ma se esistono tali linee ininterrotte che uniscono l'oggetto alla coscienza, esiste pure una «corrispondenza» alla realtà e cioè una possibilità di ritorno trasformatorie su di essa.

Gli uomini crederanno di fare la storia sotto i dettami della coscienza, dell'imperativo categorico ecc., «a priori», mentre saranno i concreti bisogni a determinarli, sia pure non meccanicamente, ma una rivoluzione non potrebbe accadere senza il ritorno della ideologia, e tale ritorno senza i legami di cui si discorre, legami che prendono vita dal concreto mondo degli interessi, appunto rovesciati a causa della scarsa prassi (storica generale e degli individui).

Ad esempio Giotto rovesciò i bizantini perché spinto da quelle forze produttive che, schiantando i limiti parcellari dell'economia feudale, crearono dialetticamente una nuova società, un nuovo pensiero, che già manifesta fermenti immanentisti, poiché appunto immanentisticamente si esprime qualsiasi moto originale della borghesia.

La ragione ultima di Giotto sta nel prius deterministico, non certo in quei fermenti immanentisti, ma ciò non appare dall'opera giottesca, che anzi ci fa pensare che solo particolari (più o meno) convinzioni sul rapporto tra anime e corpo - nel senso che Giotto respingeva la distinzione cattedratica tra i due termini, poggiando su un iniziale blocco di umanesimo - abbiano determinato il mondo dell'immagine e tutto il rovesciamento della prassi pittorica bizantina. Mentre in realtà tale rovesciamento non è problema - inizialmente - di sovrastrutture, ma funzione di quelle forze produttive che poderosamente fiorirono dopo l'anno Mille. Non fu certo una convinzione dello Spirito a priori a guidare Giotto, ma ciò che accadeva nelle parti sotterranee della società.

L'interpretazione deterministica e meccanicistica si ferma qui: quella dialettica va oltre, nel senso che a un certo punto interviene un problema di sovrastruttura, che Giotto per essere tale deve a tutti i costi risolvere. Occorre che in lui nasca la «coscienza della novazione» e maturino i mezzi espressivi, cioè si sviluppi tutto il complesso (e contraddittorio) contenuto storico, affinché i muri di Sorovegni e Bardi si ricoprano di immagini - senza Bardi non sarebbe Giotto, ma senza Giotto non vi sarebbe Cappella dei Bardi - . E a tutto ciò non si arriva senza l'insorgere del momento condizionante, che poi si comporrà nella sintesi determinata-condizionante, stimolo della prassi.

«Illusoria» è dunque la sovrastruttura Giottesca nel senso sopraindicato e ve ne sarebbero molti da illustrare; «rovesciata» ma non antistorica poiché la «coscienza della novazione» corrisponde alle esigenze della società comunale, poiché una nuova pittura è necessaria una volta nata una nuova economia e un nuovo uomo.

Se corrisponde alla realtà può reagire su di essa e allora avviene che i muri dei Bardi divengono sostegno di Firenze, assieme alle «due colonne del capitale finanziario» di cui parla G. Villani; avviene che Giotto sia per i borghesi di quei tempi una delle più elevate dimostrazioni della loro storicità, della loro funzione, e li aiuti nell'esercizio della potenza. Giotto diviene prassi, l'«illusione» agisce, pur non avendo un valore gnoseologico.

E per concludere quella pretesa di livellare il marxismo a prodotto storico transeunte, come l'idealismo, è una scusa per negare il marxismo e risollevare l'idealismo. Prima si dice che ogni teoria si presenta come sola vita in confronto al passato duro a morire e che anche il marxismo si è reso polemicamente necessario; poi si afferma che anche il marxismo sarà superato e finalmente... che l'idealismo sarà la sovrastruttura del socialismo (ma si parla vagamente di società associata regolata, non si parla della soppressione del mercato, della moneta).

Strano questo... miracoloso risuscitare di una teoria già superata dal marxismo. Ci si professa imparziali storicisti e progressisti per poi andare a scoprire le tombe e dar via libera alle fonti torbide e insudiciate del passato.

E perché tutto ciò avverrebbe? Se si dimostra che la filosofia della prassi è concentrazione della necessità, figura delle contraddizioni, legata alla «necessità» e non alla «libertà» che non esiste e non può ancora esistere storicamente... Si dimostra implicitamente che sparirà, cioè verrà superata anche la filosofia della prassi.

«Si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare "verità" dopo il passaggio ecc.»

Insomma si tratta di una teoria iguanodontica, illusoria, idealistica, sovrastruttura della borghesia e non del proletariato. Che si dia economia al di fuori di sovrastruttura è ammesso da Marx nella Prefazione:

«Nella produzione sociale della loro vita, gli uomini entrano in determinati rapporti, necessari e indipendenti dalla loro volontà... l'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società.»

Non si ha dunque un rapporto «necessario e vitale» tra struttura e sovrastruttura. Il marxismo riconosce poi un secondo modello in cui la sovrastruttura non è solo riflesso, cioè viene dopo una struttura costituitasi prima della nascita ideologica, ma reagisce, di modo tale che non si dà economia fuori della sovrastruttura (nel senso concreto). Dice Engels:

«È nella vicendevole influenza di tutti questi fattori, che, attraverso l'infinito numero di accidentalità, si compie alla fine il movimento economico.»

E finalmente il marxismo riconosce un terzo momento quando l'economia si trova in rapporto con una sovrastruttura cosciente.

I primi due modelli sono propri delle classi sfruttatrici e delle loro società, mentre il terzo può solo essere applicato dal proletariato nella lotta per il potere (malgré Bordiga) e nel socialismo. È espresso nella tesi su Feuerbach, dove l'attività rivoluzionaria del proletariato è definita pratica-critica.

L'errore di G. e degli idealisti sta nel ritenere tale principio di auto-attività cosciente una sovrastruttura di tutte le società, in una certa misura, mentre in realtà il principio pratico-critico e critico-pratico è sola espressione del proletariato, poiché solo esso può realizzarlo nella lotta per una società veramente autoattiva. Principio che ha un carattere che è bene dire universale, nel senso che diventa norma di tutti gli uomini nel socialismo. Principio della Comune e della Rivoluzione d'Ottobre e di Berlino 1953 (sebbene in misura che è ancora difficile valutare) perché i proletari tedeschi non si sono accontentati di «immaginare», ma hanno voluto «sapere» ciò che effettivamente sono, operando una discriminazione tra struttura economica capitalistica e apparenze, ponendo le basi del crollo di un rapporto illusorio tra struttura capitalistica sovrastruttura falsamente socialista, che sperava di saturare l'alienazione ricoprendoli di vuoti mascherotti, ponendo nel tempo stesso le basi della Nuova Internazionale, futura umanità.

Se si dimostra... ma come dimostrare un assurdo del genere, quando il marxismo non solo rispecchia il capitalismo, ma anticipa il socialismo, quando il marxismo nasce dall'adesione tra la sovrastruttura della necessità e quella della libertà (principio pratico-critico), quando il socialismo sarà la realizzazione completa della teoria marxista? (1)

Poi come si può sostenere che l'idealismo è teoria della libertà, se non affidandosi a una valutazione esteriore, formale, per «sentito dire» dell'idealismo? Libertà vuota subiettiva, ideale e non reale, non è libertà e si deve ripetere che socialismo significa libertà concreta sulla base economica, che nel socialismo cesserà la determinazione anarchica e irrazionale, perché gli ulissi socialisti «rifiuteranno di essere apprendisti stregoni»: si avrà una dipendenza volontaria e razionale, e dipendenza è la determinazione prevista.

Non bisogna dimenticare la natura e le ultime frasi dell'Introduzione alla Dialettica della Natura di Engels siano di ammonimento agli idealisti, ai sostenitore del «blocco storico» viceversa.

E come gli idealisti, che... si richiamano a Marx concepiscono la lotta proletaria e il socialismo all'insegna della libertà assoluta, all'insegna della «produzione del soggetto», del volontarismo (Gramsci), così i meccanicisti credono in un automatico evolvere delle basi obiettive, le quali penserebbero a dare all'umanità il vero benessere e la vera libertà (Bordiga deteriore).

Come se la base non evolvesse sotto la costante trasformazione degli uomini, come se il nuovo uomo non fosse anticipato dal proletario dialettico, dall'uomo che si modifica e si libera, dalla nascita di nuove sovrastrutture, così che anche la pretesa di risolvere tutto con un mutamento della base è chimera e deve risolversi sempre nel reciproco. Il cambiamento della base fa nascere il nuovo uomo, ma il cambiamento è impossibile senza il presupposto di un uomo che già si modifichi, che incominci a diventare nuovo e libero.

I rivoluzionari, appunto, sono gli antesignani dell'uomo socialista. E le due false istanze, di un movimento automatico e di una risoluzione di tutti i problemi con il rovesciamento della base, si incontrano all'insegna dell'inattivismo, poiché sottovalutano l'uomo e dimenticano che questi ha diritto di essere cambiato solo se cambia se stesso. Occorrerebbe realizzare ogni giorno una scissione bordighista o surrealista rifiutando, come i veri bordighisti e i veri surrealisti, il determismo volgare. Che dire dunque su questo punto del pensiero di Gramsci?

Ortodosso

(1) E il socialismo, società amercantile, è stato descritto dai classici nel suo fondamento; Granisci invece nega al marxismo il carattere di scienza economica socialista e gli riconosce il carattere di critica delle contraddizioni del sistema capitalistico di produzione.

«L'economia classica ha dato luogo a una «critica dell'economia politica ma non pare che finora sia possibile una nuova scienza.»

Questa sarà resa possibile dall'avvento del «nuovo mercato».

«Cercare di prevedere i fondamenti del socialismo è utopia. Attualmente il filosofo (della prassi) può solo fare questa affermazione generica e non andare più oltre: infatti egli non può evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni, non può affermare, più che genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia.»

Per i marxisti invece Marx ha descritto il fondamento economico del socialismo (abolizione del prodotto come merce dell'imprenditore ecc.), e Lenin ha dimostrato di voler attuare questo fondamento nella prima fase dell'Ottobre. Per i rivoluzionari il marxismo è una concezione universale del mondo anche materiale e il socialismo ne è fondamentalmente afferrato. Non è così per chi vagheggia un nebuloso mondo... della libertà, anzi non tanto impreciso se poi si manifesta come il più sfacciato capitalismo nazionale, con il rispetto degli imprenditori, del mercato dello Stato ecc..

In quanto all'utopismo di Marx, a noi non basterebbe questa esplicita ammissione per specificare G. agli occhi dei veri marxisti, se Marx fosse solo un nome, se le sue previsioni dei caratteri economici socialisti non fossero comprovate ogni giorno dalla prassi capitalistica. E ciò a dispetto degli stalinisti e gramsciani che scambiano il socialismo con il capitalismo statale: poiché questi «problematici», questi «concretisti», questi antidogmatici e antitalmudisti, hanno un solo pregio, quello di negare la previdibilità dei caratteri socialisti in omaggio al più spudorato capitalismo di Stato. Essi credono di fare il loro dovere attaccando le S.p.A. e credono di risolvere il problema riducendone il numero, fondando una sola S.p.A., lo Stato. Per loro il problema del mercato è una questione formale...

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.