Gioventù e rivoluzione

Siamo tutti un poco ribelli da giovani. Persino Manzoni, il paladino del conservatorismo borghese, nella sua gioventù si atteggiava a ribelle e... «libertario» (Sapegno). Ma un conto è essere ribelli ed un conto è essere rivoluzionari. Raramente il ribellismo si accorda, come vedremo, con la Rivoluzione.

Vediamo ora di situare i fermenti giovanili nel contesto politico odierno, ricercandone le ragioni. Confronteremo poi ciò che avremo trovato con ciò che la milizia rivoluzionaria richiede e con ciò che il marxismo esprime.

La ricchezza di spirito combattivo propria dei giovani, l'entusiasmo rinnovatore delle giovani vite appena entrate a contatto con la dura realtà sociale, trovano facile esca nella demagogia riformista di vario genere o nell'irruente quanto irrazionale attivismo delle correnti anarcosindacaliste ed operaistiche, o negli allettamenti dell'«amore militante», alla beatnicks, provos, «flowers' people», etc.

«I revisionisti - dice Lenin - considerano le riforme come un'attuazione parziale del socialismo»

e più avanti

«È assolutamente naturale che le concezioni piccolo-borghesi tornino sempre a penetrare nelle file dei grandi partiti operai».

Che questo sia vero è facilmente verificabile (e forse è banale il ripeterlo) con l'osservazione di ciò a cui sono ridotti i grandi partiti operai oggi imperanti, nei quali la concezione opportunista piccolo borghese ha avuto facile gioco con la caduta della rivoluzione di Ottobre. Ciò che va qui aggiunto è che proprio perché le riforme vengono presentate come immediate attuazioni parziali di «socialismo» troveranno facilmente accaniti sostenitori proprio nei giovani e nella precipitazione che li caratterizza. Notiamo inoltre che l'incessante, poderosissima azione propagandistica di quei partiti facilitano di molto l'avvicinamento dei giovani ad essi. È facile «capire» le riforme: non richiede, anzi rifiuta una approfondita conoscenza delle cose; capire invece la Rivoluzione comporta un'ampia conoscenza, una più completa formazione ed una vissuta esperienza politica. Non è sui libri soltanto che si forma il rivoluzionario, come d'altra parte non è con le sole lotte di piazza. La paura fra i giovani della terza guerra mondiale offre oggi ai partiti della sinistra parlamentare un facile mezzo per succhiare i giovani nei loro apparati. Giocando sul loro irruente attivismo, lanciano le parole d'ordine che, se appaiono a noi chiaramente antirivoluzionarie, esercitano una notevole scossa emotiva sull'animo ingenuo di tanti giovani. Fare il gioco della demagogia è facile ai tromboni del P.C.I. e del suo buon cugino P.S.I.U.P. che trovano oggi superbe occasioni di esercizio. Quando si grida «Pace in Vietnam», «Libertà ai popoli», i giovani sentono un fremito per le vene, si esaltano e non cercano di ragionare su ciò che comportano oggettivamente le loro dimostrazioni. Quando consciamente o meno, non importa, si fa il gioco del P.C.I. e quindi della Russia e quindi del relativo imperialismo si tradisce la Rivoluzione. Le dimostrazioni a cui siamo da tempo abituati, evitando di assumere un preciso e definito carattere di classe, sono mezzi a disposizione di poteri estranei alla classe operaia ed ai suoi interessi storici e ad essi, anzi, contrapposti.

Ma come è possibile che i giovani si lascino così volgarmente ingannare? Nel modo più semplice: essi vengono lasciati nella ignoranza in cui si trovano; non viene data loro alcuna spiegazione critica di ciò che vien fatto loro fare. Il «pacifismo» si muove oggi nel senso di una pretesa negazione della guerra e intanto appoggia le guerre locali (vedi Vietnam) che sono un chiaro preludio alla guerra mondiale. Nasce da una scarsissima ed epidermica conoscenza della realtà che non vuole modificare. Non realizza quindi in nessun caso il processo dialettico per il quale, muovendo dal raggiungimento di una completa conoscenza della realtà si torna su di essa modificandola in senso rivoluzionario. Tale metodo è prerogativa dei rivoluzionari che se ne rendono interpreti sul piano politico.

Il Sindacato è un'altra pompa di giovani adepti per i partiti più o meno dichiaratamente controrivoluzionari. Esso, ormai completamente asservito agli interessi capitalistici o partitici e con nulla più a che fare con gli interessi rivoluzionari del proletariato, dando la possibilità a molti giovani di impegnarsi in lotte locali, dando loro un falso ruolo di responsabilità, li chiude come in una morsa da cui è estremamente penoso liberarsi.

Ed ecco, nel caso la direzione politica non soddisfi questi giovani, completamente digiuni di formazione politica, nebulosi nelle esposizioni di principio, li vediamo cadere dalla padella dell'opportunismo di destra nella brace dell'anarcosindacalismo e dell'operaismo. L'idea che gli operai sapranno spontaneamente portare avanti la rivoluzione e che, pur sparsi nelle varie fabbriche, sapranno stabilire assolutamente da soli ed all'improvviso i piani strategici della lotta, pur non avendo tale idea una grande diffusione, trova più sostenitori tra i giovani che non tra gli uomini di una certa esperienza politica. Inficiato di idealismo nelle sue più intime strutture il movimento vagola qua e là tra alcuni giovani tanto volonterosi quanto ingenui che con il non ben chiarito «rifiuto di ogni ideologia prefabbricata in quanto opera di più o meno fervide fantasie» creano una nuova strana specie di ideologia appunto basata sulla fantastica convinzione che la rivoluzione sia opera di condizioni e non di uomini.

«La rivoluzione farà il suo corso - dicono - in ogni caso al di fuori di qualsiasi partito, che non sia la unione dei consigli di fabbrica sorta immediatamente prima, essa si muoverà nel senso indicato dalle lotte che gli operai condurranno nelle fabbriche e nelle piazze».

Non vogliono e non sanno capire che, essendo le lotte di fabbrica prevalentemente di carattere rivendicativo e limitate a questa e quella fabbrica, non possono portare da sole ad un così radicale cambiamento dei rapporti economici e sociali quale è la Rivoluzione proletaria. È alla loro incosciente frenesia di attivismo e di lavoro pratico che si deve la loro politica collaborazionistica nei confronti del P.C.I. del quale si dicono a parole nemici: non fanno neppure alcuno sforzo per celare la loro sporca politica dell'entrismo, nota prerogativa dei più loschi trotzkysti. Pretendono, questi mostri di laboriosità, di conquistare alle loro idee «rivoluzionarie» la direzione del P.C.I. In effetti poi fanno comodo a quella, che li usa come valvola di sicurezza in caso di fughe a sinistra dei suoi militanti. Essi fanno, agiscono e... minano ciò che i rivoluzionari tentano di costruire: la coscienza negli operai della necessità di un forte partito di classe, (costruire vale qui, ed è importante favorire ed accelerare il processo «educativo» che le condizioni della lotta di classe parzialmente esercitano sui proletari). Essi mancano in ogni caso di senso dialettico, difettano di intelligenza politica e si fanno menare per il naso da coloro contro i quali a parole pretendono di combattere: gli uomini della reazione.

E passiamo ai «nuovi» fenomeni giovanili. Ho già avuto modo di chiarire le nostre posizioni nei confronti dei «provos» olandesi (2). A parte alcune particolarità, sostanzialmente sono le stesse verso i beatniks americani; circa gli «hippies» (ultimo strillo della moda protestataria) esse sono forse ancora più severe. Sulla base di statistiche inglesi ed americane affermo essere la base di quei movimenti di natura esclusivamente piccolo-borghese. Generalmente figli della «medio-bene» delle metropoli i «ragazzi dei fiori» hanno trovato un modo facile ed originale per far sapere che la famiglia da cui provengono non era di loro gradimento e che ritengono assolutamente da abolire tutti i tabù ad essa connessi. Ciò che facciano poi per abolirli rimane ancora un mistero, a meno che significhi oggettivamente qualche cosa il dare l'esempio ed a ciò strettamente limitarsi. Naturalmente però le esteriorità di un tale movimento esercitano una attrazione notevole sugli animi più sensibili appunto ad esse. Sembra infatti che ultimamente la base vada un poco allargandosi. Il fenomeno è comunque ancora poco appariscente e di scarsissima importanza. Più interessante è invece tornare ai «provos», anche se in Olanda (terra di origine di questo movimento) non esistono più; resistono infatti ancora in Italia dove sembra stiano costituendo una nuova (1) Federazione anarchica. Nel numero di Aprile di Battaglia Comunista, in risposta alle critiche rivolte al mio primo articolo sull'argomento da un compagno scrivevo:

«Non è affatto esclusa la possibilità di presenza nelle file del M.O.P. di giovani che, seppur tratti in inganno dalle parole e dalle esteriorità abbiano in sé una genuina carica rivoluzionaria, che al momento opportuno sapranno riscattare».

Il problema sta ora nel vedere, il perché quegli stessi giovani si siano persi nei vortici della «disfatta». Evidentemente il fatto stesso che la loro carica rivoluzionaria non fosse sufficiente a far loro esprimere una volontà propria contiene la chiave del problema. Quella era carica rivoluzionaria, non coscienza rivoluzionaria. Si avvicina più al ribellismo che al socialismo. Il rivoluzionario non si mischia con chiunque gridi che la società attuale è una schifezza, considera la rivoluzione una cosa seria che necessita di quadri seri e preparati. Il rivoluzionario non può prescindere dalla modestia rivoluzionaria; non può mai affermare di aver trovato improvvisamente la risoluzione di qualsiasi problema politico che gli si presenti. Non per niente il bagaglio teorico del Partito è frutto di un lungo travaglio ideologico e politico condotto attraverso gli anni e la lotta. Ma purtroppo la presunzione rovina i giovani che volendo giustamente cambiare le cose, rifiutano di informarsi prima su ciò che vogliono rifare da capo. Marx ha elaborato la sua dottrina in base alla conoscenza approfondita di tutte le altre dottrine; ha prospettato il socialismo ed il comunismo sulla base della conoscenza dello sviluppo dialettica della società. Il socialismo marxista si dice anche scientifico in contrapposizione al vecchio socialismo utopistico che pretendeva di costruire una nuova società a prescindere dalla esistenza della contemporanea e dalle sue necessarie implicazioni. Marx dimostrò che lo sviluppo del capitalismo conduce al comunismo, ma aggiunge che ciò poteva avvenire unicamente se gli uomini avessero favorito il processo, e tutti i rivoluzionari sono d'accordo con lui e la storia dà loro ragione. Si tratta quindi di distruggere il capitalismo, ma occorre conoscere, e conoscere molto bene, ciò che si vuole distruggere. La milizia rivoluzionaria richiede lo studio continuo e la verifica di ciò che si studia nella esperienza. Per questo noi marxisti affermiamo la assoluta necessità del Partito di classe; perché solo per mezzo suo la classe operaia può elaborare le dottrine ed i programmi di cui non può fare a meno.

Sentono i giovani questi problemi? Ben pochi li sentono, ed è perciò che li vediamo in gran parte perdersi tra la socialdemocrazia e l'opportunismo. Come la reazione ha bisogno dei giovani (e ne trova molti purtroppo), così ha bisogno di loro la Rivoluzione. Ciò che generalmente i giovani fanno non la favorisce, anzi la ostacola. Sorge così il problema di come avvicinare i giovani ad essa. La più gran parte di essi vuole forse una società diversa, ma essi non si accorgono che il loro modo di agire impedisce ogni cambiamento. Abbiamo visto inoltre quali sono in genere le ragioni di ciò: l'ignoranza dei problemi della rivoluzione, fortemente alimentata dalle forze riformiste e controrivoluzionarie, ed un pizzico di presunzione, anch'essa esaltata dalla pubblicistica borghese. Spetta al partito della Rivoluzione vincere l'una e l'altra, con i mezzi della lotta e della critica continua e con una particolare azione educativa e propagandistica tra i giovani.

A questo punto mi torna di enorme utilità il citare un passo di Lenin, proprio sul problema dei compiti della gioventù nella rivoluzione proletaria:

«Tutta la gioventù in generale che vuole passare al comunismo deve imparare il comunismo. Ma questa risposta: «imparare il comunismo» è troppo generica. Di che cosa dunque abbiamo bisogno per imparare il comunismo?Che cosa dobbiamo scegliere nell'insieme delle cognizioni per acquistare la conoscenza del comunismo? Qui ci minacciano molti pericoli che si presentano ad ogni passo, appena il compito di imparare il comunismo viene posto in modo errato o in modo troppo unilaterale. È ovvio che in un primo momento si affacci alla mente il pensiero che imparare il comunismo significhi assimilare il complesso delle cognizioni che sono esposte nei manuali nelle opere e negli opuscoli comunisti, ma una tale definizione sarebbe troppo grossolana e insufficiente. Se lo studio del comunismo consistesse unicamente nell'assimilare ciò che è esposto nelle opere, nei libri e negli opuscoli comunisti, noi potremmo troppo facilmente avere dei pappagalli e dei millantatori comunisti; e questo ci arrecherebbe sempre e dovunque del danno perché costoro dopo aver studiato e letto ciò che è esposto nei libri e negli opuscoli comunisti, si rivelerebbero incapaci di coordinare tutte queste cognizioni e di agire come lo esige effettivamente il comunismo».

Ho citato il passo in tutta la sua estensione perché ritengo sia della massima importanza ai fini della comprensione del problema che ci sta ora dinanzi. Non si tratta per i giovani di leggere qualche opera di Marx o di Lenin per poi pretendere di conoscere il comunismo ed i problemi ad esso relativi, se poi si afferma per esempio che un borghesissimo Reich (l'autore di Rivoluzione Sessuale) sta su un piano rivoluzionario. Si tratta di giungere all'assimilazione del metodo marxista, che è un metodo rivoluzionario, l'unico valido sul piano storico alla emancipazione del proletariato; si tratta di giungere a capirne l'essenza intima, il concetto di classe, al quale tutto va ricondotto nello studio dei rapporti sociali e sul cui piano tutti i problemi ad essi relativi possono essere risolti. Il marxismo è di una complessità tale, abbracciando esso tutti i campi del sapere, dall'economia politica alla filosofia, alla storia, alla epistemologia, che è impossibile riassumerlo se non sul piano di un programma politico ben preciso. Non sono compatibili con il marxismo più programmi politici, a meno che non si faccia passare per marxismo l'appropriazione indebita di qualche sentenza di Marx isolata da tutto il corpo della dottrina e quindi insignificante. Non c'è cosa più «dialettica» della dottrina stessa della dialettica, il marxismo. Tutto è in esso collegato ed interdipendente e se affermo un concetto non posso tralasciare di affermare quello che ad esso si collega. Se affermo che la società è divisa in classi il marxismo mi insegna a ricercare gli effetti di tale divisione e trovati che li abbia non posso pretendere di agire su di essi modificandoli se prima non modifico la loro matrice e tanto meno posso eliminarli se non elimino prima la loro matrice.

Ciò che i giovani devono quindi fare, se vogliono passare al comunismo, se vogliono parteggiare per la Rivoluzione proletaria è impadronirsi del metodo marxista, far proprio il concetto di classe e di lotta di classe e su di esso verificare la validità di qualunque azione politica essi si propongano.

Maurino

(1) Lenin - Questioni del movimento operaio italiano - Ed. Rinascita - 1947 pp. 22.

(2) Vedi «Battaglia Comunista» n. 2 (Febbraio) 1967.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.