Nota introduttiva

Il suo nome e la sua opera segnano un momento importante nella storia politica del proletariato rivoluzionario. La “Sinistra Italiana”, come corrente di pensiero e prima enucleazione di quadri rivoluzionari, è legata alla presa di posizione critica di Bordiga nel seno del Partito Socialista Italiano nella fase che precede la Prima Guerra Mondiale; si articolerà, nell’immediato dopoguerra, come frazione astensionista che dovrà provocare il primo scontro polemico con la politica della III Internazionale e personalmente con il compagno Lenin nel dibattito del II Congresso dell’Internazionale. Al Convegno di Imola (1920) sacrifica tatticamente la pregiudiziale astensionista per consentire l’intesa tra le varie correnti e gruppi che tendevano alla fusione sulla base dei 21 punti, per la formazione del partito comunista; al Congresso di Livorno (1921) è il protagonista più consapevole, data la statura del combattente, della scissione e sarà alla direzione del Partito Comunista d’Italia, da cui sarà defenestrato insieme ad altri esponenti della Sinistra, per consentire quel nuovo indirizzo politico, imposto dagli interessi dello stato russo, che porterà alla bolscevizzazione di tutti i partiti comunisti aderenti alla III Internazionale.


Due righe di presentazione, anche se la pubblicazione, per gli argomenti che tratta, si presenta da sé. Teniamo, tuttavia, a precisare che non ci siamo prefissi di presentare, in modo organico, una completa analisi della vasta e contraddittoria problematica bordighista, ma ci siamo limitati ad alcuni suoi aspetti che sono stati alla base d'un dissenso teorico per un diverso modo di considerare i problemi della politica rivoluzionaria e della militanza nel partito del proletariato.

Non ha importanza che lo scontro teorico e, a volte, l'asprezza polemica siano espressi da Alfa o da Onorio, ciò che è particolarmente visibile nello scambio di alcune lettere tra Bordiga (Alfa) e Damen (Onorio). I nomi come gli pseudonimi fungono da semplici strumenti di comunicazione, non sono, in definitiva, che i portavoce più o meno efficaci e validi di una realtà in continuo movimento che finisce per trascendere la stessa persona fisica che cerca di contenerla entro la logica d'una metodologia per meglio interpretarla.

Quel che conta è che il dissenso serva in ogni caso come una delle componenti della ricerca e porti un contributo di chiarificazione dei problemi e faciliti il compito, proprio di ogni ricerca, di portare avanti idee ed esperienze; come questo avvenga e a prezzo di quali sacrifici e lacerazioni nei rapporti umani, conta assai meno.

Ecco perché riteniamo che Bordiga è e rimane nella storia del movimento rivoluzionario tanto per ciò che ha dato come per ciò che non ha saputo o voluto dare.

Quel che ha dato e che la “Sinistra italiana”, fattasi adulta come Partito Comunista Internazionalista, porta avanti nella sua battaglia quotidiana, prende più consistenza e caratterizzazione proprio in virtù del contrasto con ciò che Bordiga avrebbe potuto e dovuto dare e non ha dato. Del resto l'alternarsi delle vicende umane, come l'incessante mutare delle cose, è pieno di luci e di ombre, di affermazioni e di negazioni che anche il politico, l'agitatore e persino il “capo” cova dentro di sé come termini di una contraddizione mai risolta, senza accorgersene, senza averne coscienza piena.

Tutto ciò costituisce il tessuto connettivo di questo nostro lavoro: vi sono riuniti scritti noti o poco noti, e scritti di ieri di cui è da tempo venuta meno ogni possibilità di consultazione da parte di chi fosse interessato alla loro conoscenza. Nel pubblicarli, è nostro intendimento continuare l'opera di ampliamento e di approfondimento del quadro che il presente lavoro ha soltanto abbozzato nella sua essenzialità. Lo scopo? Uno soprattutto: non spezzare, non consentire che venga spezzato, il filo rosso della continuità storica della “Sinistra italiana” nel suo corpo di ideologia e di politica, il meglio che sia stato espresso dalle lotte del proletariato italiano negli anni 20 come contributo alla elaborazione di una teoria autenticamente di classe, e non come una esigenza di cultura e di vezzeggiamento intellettualistico usciti dai libri o dalle università, dal tempio, cioè, della intelligenza e della dottrina borghese, come è avvenuto per l'esperienza “ordinovista” di Gramsci, anche se cresciuta, quasi in concomitanza di tempo, con quella “astensionista” di Bordiga.

Marzo 1971

Nota alla seconda edizione

Nella presentazione di questa seconda edizione ci siamo preoccupati di completare il quadro per se stesso complesso, mettendo a punto alcuni aspetti caratteri­stici della problematica bordighiana con le implicazioni pratiche che dovevano scaturirne che costituiscono un mondo a sé, quello che comunemente viene chiamato “bordighismo”, che Bordiga vivo avrebbe respinto con strafottenza del tutto napoletana e che ritroviamo alla base della “sinistra italiana” in una assoluta unità di teoria e di pratica fino al Congresso di Lione (1926). Poi si tratterà per la “sinistra” di continuare a difen­dere questo patrimonio di dottrina e di tradizione di classe del marxismo, a cui Bordiga aveva dato l'apporto maggiore e migliore, difendendolo nei confronti dello stesso Bordiga rimasto, per molti rapporti e per suo stesso riconoscimento, sotto le macerie della III Inter­nazionale.

In una fase, come questa, di deflusso di classe, era un problema di importanza fondamentale assicurare questa continuità per la “sinistra” chiamata a portare avanti la costruzione del partito, in quanto strumento insostituibile della rivoluzione.

Il dopo Bordiga ha visto ripetersi il dramma semi-comico della lotta per i diritti di successione ciò che ha dato l'avvio ad una fioritura di pubblicazioni per lo più antologiche ed acritiche fatte su misura ideologico‑politica o di singoli o di gruppi dalle estrazioni più varie; ognuno ha strappato più penne che ha potuto nella vasta gamma degli scritti di Bordiga per farsene ornamento e ognuno vi ha visto e riconosciuto per suo uso e consumo un briciolo di tale paternità. Segni questi di una ripresa di classe? Ritorno di particolare attenzione verso la “sinistra”? Bassa speculazione edi­toriale a fianco a iniziative di gruppettari di scarso cre­dito e di nessuna autosufficienza ideologico-politica? Si tratterà forse di tutto un po', ma siamo più propensi per l'ultima ipotesi.

Tra queste pubblicazioni “Scritti scelti” a cura di Franco Livorsi (Feltrinelli editore), è la raccolta di un certo respiro ma è anche tendenzialmente la più insi­diosa per il tipo di storiografia a cui si ispira in evi­dente funzione “picista” che traspare da tutte le pagine. Ma vi è evidente anche una incapacità di approfondi­mento critico dei problemi che affronta. Più precisa­mente le note d'introduzione o di commento ad ogni scritto di Bordiga esprimono più cura letteraria che taglio storico e conoscenza della materia. Documenti di un certo peso politico come, ad esempio, la lettera a Karl Korsch, sono buttati lì senza una adeguata e seria ambientazione in una situazione data, espressione di avvenimenti salienti di uno scorcio storico fortemente caratterizzato dallo scontro politico in atto o allo stato potenziale tra le forze entrate in crisi nei quadri del­l'Internazionale Comunista. Era ancora nell'aria l'effetto traumatizzante del “Comitato d'Intesa” e la lettera di Borcliga a Korsch dava consigli di cautela proprio di riflesso alla dura esperienza vissuta nelle lotte interne di partito che avevano preceduto il Congresso di Lione tra la sinistra e il centro le cui conseguenze, sul piano della deviazione ideologica e politica, si sarebbero poi viste ingigantite, con il “partito nuovo” di Togliatti su su fino all'odierna politica del “Compromesso storico” di Berlinguer.

La stessa osservazione vale per la lettera di Bordiga a Terracini che ci si rimprovera di aver definito lettera-testamento. Non ha capito Livorsi l'importanza del do­cumento che ha avuto il privilegio di conoscere e di rendere pubblica. L'avrà letto da amante di lettere ma non da studioso di storia e tanto meno da marxista. Avrebbe dovuto porsi qualche interrogativo e tentare di formulare delle risposte. E vero che il marxismo in quanto dottrina e metodo non divinizza ma offre a chi dispone di adeguati strumenti d'indagine la possibilità della previsione storica. La spiegazione ad esempio, della crisi attuale che dal 1971 sta scuotendo dalle fon­damenta l'economia industriale più sviluppata del mondo, è tutta nella teoria marxista della caduta ten­denziale del saggio del profitto; bisognava riallacciare questo presupposto teorico essenziale del “Capitale” di Marx all'aspetto originario e fortemente caratteriz­zante della crisi con tutte le sue inevitabili implicazioni quali lo sconvolgimento monetario, la recessione e, prima ancora, l'inflazione che hanno avuto la loro prima manifestazione, non a caso, in America, nel paese, cioè, del capitalismo tecnicamente più avanzato. Ciò che ab­biamo fatto noi della sinistra comunista, quando tutti gli altri partiti e raggruppamenti, tutti, ripetiamo, o tacevano o negavano l'esistenza della crisi o l'attribui­vano a fenomeni contingenti di sovrastruttura.

Ma ipotizzare una soluzione rivoluzionaria nel 1975, datare cioè, nel ristretto spazio di un anno lo scoppio della rivoluzione mondiale non si pone al di fuori di ogni possibilità di previsione storica per cadere nella più assurda e arbitraria fantapolitica?

Un ultimo rilievo, a cui teniamo particolarmente, ri­guarda l'atteggiamento di Bordiga di fronte alla guerra e ciò per evitare che storture teoriche di epigoni siano poi attribuite a Bordiga o, in genere, alla sinistra co­munista che su questo problema, cardine della strategia rivoluzionaria, ha le sue carte in perfetta regola.

Quale l'atteggiamento che i compagni di “Pro­gramma” dicono d'aver tenuto e di continuare a tenere di fronte alla guerra? Ecco come lo esprimono:

Sulla guerra scrivevamo per esempio ne “Il corso storico del movimento di classe del proletariato” (v. Per l'organica... ecc. p. 90): “La guerra è indubbiamente una risultante di cause sociali (noi diremmo innanzitutto economiche) ed i suoi esiti militari si inseriscono come fattori di primo ordine nel processo di trasformazione della so­cietà internazionale, interpretato materialisticamente e classisticamente”. Vi sono fasi storiche in cui è nostro dovere influire per quanto possiamo su un certo esito della guerra. In altre assolutamente no. L'esito ci interessa sempre.

E a mo' di esemplificazione, aggiungono:

Accusarci di aver auspicato la vittoria antiameri­cana nella guerra di Corea, non ci fa né caldo né freddo e solo un idiota può interpretarlo come “simpatia intel­lettuale”. Noi siamo andati ben oltre: abbiamo perfino detto che sarebbe stato più proficuo, per la ripresa della lotta di classe nel mondo, che l'America e i suoi alleati fossero stati sconfitti nella seconda guerra mondiate. Ci si dirà che abbiamo una “simpatia intellettuale” per il nazismo, o l'amore del paradosso? Tutti possiamo ve­dere il risultato della vittoria angloamericana: l'oppressione su tutto il globo, che ad alcuni annebbia la vista a tal punto da credere che essa giunga a determinare tutto quanto succede nell'angolo più remoto della terra!

La dialettica serve qui come mira furbesca, deviante e imbrogliona a giustificazione del proprio smarrimento ideologico e politico.

Chi ha scritto questa robaccia, ramazzata alla meglio dalla cultura borghese, deve avere nelle vene il sangue del socialpatriota che, in previsione della pros­sima guerra imperialista si sente già incline a voltare le spalle alla parola d'ordine leninista del “disfattismo rivoluzionario” che ripudia ogni tentativo di distinguo e ipotizza la sola strategia che mette sullo stesso piano di responsabilità tutti i protagonisti della guerra, nessuno escluso, sia il blocco americano, sia il blocco russo e sia il blocco cinese. Chi osa affermare:

abbiamo perfino detto che sarebbe stato più proficuo, per la ripresa della lotta di classe nel mondo, che l'America e i suoi alleati fossero stati sconfitti nella seconda guerra mondiale

costui bara con la coscienza di barare e non ha l'onestà politica di assumere la responsabilità di firmare ciò che scrive. Noi comunque siamo in grado di dimostrare che nessuno dei militanti del nostro partito, dalla sua fon­dazione fino alla spaccatura nel 1952, compresi, quindi, quei compagni del partito (oggi “programmisti”) che solidarizzano con tali posizioni, ha mai espresso con scritti o con prese di posizioni orali opinioni del genere.

Si trattava, è vero, di una vaga ipotesi che Bordiga aveva formulato né prima, né durante ma a guerra conclusa, che rientrava in quel suo “vizio” matematico di sottoporre gli accadimenti della storia al calcolo delle probabilità senza pensare ai futuri e inesperti epigoni che si sarebbero serviti, e nel modo più dissacrante, di una semplice ipotesi di laboratorio, anche se maldestra, per farne una linea politica da eseguire.

E aggiungiamo, soddisfatti : “Tutti possiamo vedere il risultato della vittoria anglo-americana”. Sarebbe stato forse da preferire, chiediamo noi, ai fini della lotta di classe, la vittoria dell'asse italo-germanico? Sciovinismo a parte, la sola formulazione di tale ipotesi che ci ri­pugna, indica una macroscopica ignoranza del fenomeno imperialista di fronte al quale il proletariato non ha scelta da fare se non quella di abbatterlo.

Ora c'è da attendersi che il deflusso che si opererà nei blocco delle forze demopopuliste per una loro orga­nica incapacità a capire una crisi che sfugge loro di mano, affretterà il riemergere di una più chiara visione del conflitto di classe e di un rinnovato e più vasto inte­resse per i problemi che hanno trovato uomini della statura intellettuale di Bordiga e spazio per la battaglia di idee e di politica nei quadri della Sinistra comunista italiana di cui questo libro vuole essere insieme docu­mentazione e anticipazione.

Novembre 1975