La scomparsa di Togliatti segnerà la fine di un equilibrio?

Ci poniamo al di sopra della vicenda umana di Palmiro Togliatti che si è conclusa in questi giorni per afferrare il significato della sua milizia d'uomo di parte che non può né deve sottrarsi ad un esame e ad un giudizio, quali che siano le conclusioni a cui si potrà pervenire, esame e giudizio fatti da uomini di parte a uomini di parte. Senza ira, quindi, preoccupati di trar fuori dal mucchio di falsi ideologici, creati dalla propaganda e da certe fortune apparenti e contingenti, il profilo non sofisticato dell'uomo e il bilancio non alterato della sua opera, se vogliamo vedere chiaro nell'avvenire immediato del suo partito che fu anche il nostro partito.

Sfatata la leggenda di Togliatti e Gramsci fondatori del partito di Livorno, la loro partecipazione a questo avvenimento è ridotta ad un ruolo di secondo piano in confronto a quello preminente giocato da Bordiga e con lui dalla corrente di sinistra che già nel seno del partito socialista aveva apprestato in sede teorica una chiara linea di impostazione critica e una definita piattaforma programmatica, su cui si è poi costituito il primo partito rivoluzionario del proletariato italiano. E poiché non è concepibile dissociare la figura di Togliatti da quella di un qualsiasi altro che lo sovrasti e lo caratterizzi, che da solo non si sarebbe fatto strada che a condizione di utilizzare le maggiori stature prima di Gramsci e poi di Bordiga, bisogna dire che nella fase preparatoria del Convegno di Imola (1920) e nello stesso Congresso di Livorno (1921) Togliatti non ha fisionomia propria; è già un gramsciano in crisi ed un bordighista potenziale.

E si avvale di queste due prime pedine di lancio senza troppo impegnarsi in questa o in quella corrente e senza prendere di fronte questa o quella caratterizzazione ideologica, ma con una cauta azione condotta per vie interne, senza urti, con un linguaggio le cui argomentazioni appagano per certa logica formale e per la capacità di mettere in evidenza gli assunti accettabili e in sordina i controversi. E non penso che lo facesse per astuzia o per calcolo, ma, allora, alle sue prime armi obbediva forse ad una innata ed oscura inclinazione del suo carattere e ad una “forma mentis” che non l'avrebbero mai abbandonato anche quando avrà assicurato un posto eminente nella organizzazione politica nella quale allora era soltanto agli inizi.

In questa fase, che potremmo dire di crescita e di consolidamento del partito, Togliatti non è che abbia fatto sue le istanze della sinistra italiana, o che abbia osato combatterle mettendo avanti le posizioni originarie dell'“ordinovismo”. Sa non compromettersi; valuta l'opera di Gramsci come una esperienza parziale, intellettualistica e praticamente finita ed è suggestionato dalla forte ed operosa personalità di Bordiga pur sentendosi lontanissimo da certe sue formulazioni teoriche inconciliabili col mondo della sua cultura e con il suo stesso temperamento politico più portato al lavoro meno appariscente, dietro le quinte, e in ogni caso più concreto e, a lungo andare, più redditizio ai fini della sua carriera.

Con la defenestrazione della sinistra del partito e il materiale accantonamento di Bordiga, Togliatti, ora che l'investitura di Gramsci a capo del partito è un fatto compiuto per l'indiscussa designazione da parte delle nuove gerarchie politiche accampatesi al vertice dello Stato russo e della Internazionale Comunista, torna gramsciano con la coscienza di poter giocare a fianco di “Antonio” il ruolo di secondo nella direzione del partito, lui, che se era in grado di valutarne, nei suoi giusti termini, l'alto valore intellettuale, aveva anche piena coscienza dei limiti della sua personalità di politico e di capo che gli avrebbero consentito di poter tessere la tela della sua futura affermazione.

L'arte del destreggiarsi

La breve e dolorosa esperienza di Gramsci è servita da trampolino di lancio a più di un profittatore e a Togliatti principalmente.

Nell'arco di tempo che va dal 1924 al 1926 per incarico dell'esecutivo, partecipa assai spesso alle riunioni del gruppo parlamentare per intrattenerlo intorno ai problemi del momento, pertinenti soprattutto l'attività parlamentare e lo faceva con quel suo tono discreto e sfuggente, quasi predicatorio, senza mai affrontare i problemi che esponeva ma li sfiorava appena, diluendoli in una serie di argomentazioni valide per ogni dimostrazione, buone per ogni obiettivo, tanta era in lui la capacità di assimilare, smussare e rendere probatorie anche le posizioni più contraddittorie.

Erano insomma, i primi saggi di quell'arte del destreggiarsi che lo vedrà maestro nella tattica parlamentare e nel muoversi tra i partiti senza distinzione di credo o di interessi di classe. Se Togliatti avesse avuto la virtù del prestigiatore, state pur certi che nelle sue mani il rosso ed il nero, sarebbero diventati di punto in bianco bigi. E “bigia” infatti è stata la sua politica sia che le alterne vicende politiche salissero al rosso più acceso ed esaltante o precipitassero nel nero più cupo e deludente.

Nella fase preparatoria del Congresso di Livorno (1926) e nel pieno della lotta condotta, senza esclusione di colpi, contro la “sinistra” per imporre anche alla sezione italiana la nuova politica dell'Internazionale, passata tristemente alla storia con il nome di “bolscevizzazione”, se vi era qualcuno al centro del partito e nella redazione de l'Unità disposto ad assumersi l'ingrato e vergognoso compito di stendere quelle tali postille piene di veleno e strangolatorie degli articoli rimessi in redazione dai compagni della sinistra, che fino allora si erano mossi dietro l'iniziativa del “Comitato d'Intesa”, e di farlo con la coscienza di chi sa di poter impunemente tirare pugnalate alle spalle dei compagni messi nelle condizioni materiali di non potersi difendere, questo qualcuno era solo Togliatti e non Gramsci e non Tasca e non Scoccimarro a cui certo ripugnava tale basso servizio, anche se richiesto da Mosca.

Nel novembre del 1926 si conclude la nostra vicenda organizzativa di partito con la promulgazione delle leggi eccezionali fasciste e si apre quella della repressione cieca e incondizionata che colpisce tutti e noi comunisti in modo preminente e del tutto particolare, senza soverchie distinzioni tra i comunisti di vertice e quelli di apparato e di base col solo obiettivo di stroncare e dissolvere ogni possibilità organizzativa e di continuità della lotta.

Pochissimi riescono a salvarsi dalla tormenta della reazione e tra questi, naturalmente, Togliatti, l'impareggiabile tecnico della fuga.

Il periodo posteriore, che va dalla II guerra mondiale alla partecipazione al governo Badoglio è la storia del barcamenarsi di Togliatti tra le opposte tendenze, tra gli urti e le scissioni che si sono avute nelle vicende della politica russa dal Comintern al Cominform, in un equilibrio sempre instabile dei suoi orientamenti che gli ha consentito di rimanere non solo a galla ma di restare sulla cresta dell'onda dello stalinismo internazionale.

Davanti al dramma della rivoluzione

Nel lungo e drammatico duello tra Stalin e Trotsky, esprime simpatia e riserve ora per l'uno ora per l'altro tanto da non pregiudicarsi, ma sarà con Stalin e con la sua politica quando l'ago della bilancia si svolgerà a suo favore. Chi, per questo, potrà negargli sagacia e tempismo?! Ma la cosa grave è che questa scelta drammatica non aveva come termini contrapposti soltanto partito e opposizione, Stalin e Trotsky, ma rivoluzione e controrivoluzione e più precisamente la tendenza a durare nella politica della costruzione d'uno Stato socialista come pilastro a cui si sarebbe riannodata la ripresa della lotta rivoluzionaria del proletariato internazionale contro la tendenza opposta di far concrescere il socialismo da realizzarsi in un solo paese con la costruzione del capitalismo di Stato, tendenza che l'esito vittorioso della II guerra mondiale consoliderà e porrà come fondamentale caratteristica economica e politica a cui perverranno tutti i paesi del blocco sovietico e quelli di recente formazione nazionale sorti dal faticoso travaglio delle rivoluzioni afro-asiatiche sfuggiti, per ragioni di geografia e di influenza economico-finanziaria, al controllo della politica di dominio del capitale finanziario americano e della sua diplomazia.

Non si potrebbe capire la personalità politica di Togliatti se tolta da questa ambientazione storica che si era venuta a creare con la vittoria delle democrazie occidentali sul nazifascismo, nella quale sono protagonisti incontrastati la guerra imperialista, la fase montante del capitalismo di Stato e la democrazia parlamentare. Di fronte a questi problemi che domineranno il nostro tempo, un compagno che ha fatto le ossa nelle file di un partito rivoluzionario e delle lotte operaie o rimane ancorato a questa realtà di dottrina, di critica e continua la battaglia a fianco del proletariato anche se in posizione di inferiorità e in condizioni tutt'altro che favorevoli e con una prospettiva di arretramento obiettivo, oppure prende la strada del revisionismo e della corruzione ideologica che vuole che la guerra imperialista venga chiamata guerra delle libertà democratiche e del socialismo; che il capitalismo di Stato venga considerato come la fase iniziale e socialista dello Stato operaio e che la “via democratica e parlamentare al socialismo” consenta l'inserimento del proletariato attraverso i suoi partiti nel potere dello Stato capitalista.

Ed è questa seconda strada che imboccherà Togliatti, la strada congeniale al suo temperamento di possibilista, alla sua cultura che è quella delle classi medie e ai suoi interessi di uomo profondamente ancorato alla realtà nazionale.

Abbiamo scritto “cultura” e non a caso.

Cultura borghese e ideologia marxista

Che fosse di cultura e di buona cultura nel più ampio significato borghese, bisognerebbe essere faziosi per contestarlo. Diciamo, invece, che gli è mancata la curiosità, la capacità e volontà di assimilare e approfondire il marxismo come concezione rivoluzionaria della vita e del mondo, come critica del sistema capitalistico destinato ad essere distrutto dalle fondamenta. Gli è mancata cioè l'attitudine ad una vera e dura milizia rivoluzionaria, anche e soprattutto sotto il profilo della ideologia, per una costituzionale incapacità a concepirne il ruolo determinante e da ciò la ripulsa a connettere e far risalire il dato di fatto della politica quotidiana al dato della dottrina, attraverso una adeguata elaborazione teorica per ridurre tutto a termini di concretezza e tutto strumentalizzare con una empiria sconcertante, quale che fosse la situazione da affrontare.

Documentiamo a questo proposito: la sua presenza nel 1o governo Badoglio era per lui un fatto infinitamente più importante che la disputa tra monarchia e repubblica, e per il mantenimento di questa fetta di potere offertagli dalla borghesia in riconoscimento della sua adesione attiva anche se non attiva fu la sua partecipazione alla “guerra di liberazione”, non si perita di entrare in collusione col clero e con le forze retrive del capitalismo tradizionale obiettivamente fascista, votando l'art. 7, quello dei patti lateranensi, che doveva rinsaldare il secolare asservimento della coscienza del popolo italiano alle gerarchie della chiesa.

Come uomo di fiducia del più grande Stato europeo e come capo del partito più forte all'opposizione parlamentare, disponeva ormai di strumenti di propaganda e di “persuasione” tali da non consentire, non diciamo a chi era disposto a seguirlo ciecamente, ma all'uomo della strada di poter discernere quanto in tutto ciò ci fosse di opportunità tattica e quanto di banale opportunismo.

Ma a questo punto della nostra analisi - che nella personalità di Togliatti intende individuare il costume politico di questa nostra epoca, nella quale l'enorme potenza accentrata dello Stato imperialista ha piegato all'esercizio della sua dittatura masse, partiti, ideologie e coscienze - va tuttavia riconosciuto coerenza e conseguenzialità alla politica legata al nome di Togliatti e che riempie di sé il ventennio della democrazia parlamentare.

“Democrazia progressiva”, “via italiana al socialismo”, “via democratica e parlamentare”, “coesistenza pacifica”, “svolta a sinistra”, “mano tesa ai cattolici”, sono parole d'ordine che si inquadrano perfettamente in una visione politica d'insieme che mira ad immettere il proletariato, e in genere il mondo del lavoro, al centro del potere dello Stato come forza subordinata di sostegno in attesa che essa maturi e ponga se stessa in funzione egemone, in quanto produttrice essenziale della ricchezza. Dalla previsione scientifica e rivoluzionaria di Marx e Lenin, si è dunque precipitati nel più gretto progressismo quietistico e nazionale che Lenin bollò di infamia e per sempre, nei socialdemocratici della II Internazionale.

A conferma di quanto andiamo sostenendo, trascriviamo due affermazioni fatte in epoche diverse e lontane tra loro, che iniziano e concludono il pensiero di Togliatti e a cui il PCI ha uniformato e uniforma la sua condotta politica. La prima è tolta dal discorso tenuto al C.C. del PCI il 12 aprile 1954 che ha per titolo “Per un accordo fra comunisti e cattolici per salvare la civiltà umana” e fa da premessa:

... Se consideriamo la situazione in questo modo, già vediamo che ci si apre una vastissima possibilità di dar vita a qualche cosa che io non vorrei nemmeno chiamare fronte (perché è una parola scomunicata!) ma un movimento, uno schieramento di forze molto diverse le une dalle altre per la loro natura, per il loro carattere sociale e politico, e che sarebbe di fatto, un movimento per la conservazione della civiltà umana, per la conservazione della umanità stessa. Questo è il problema che sta oggi davanti a noi, e che sta al di sopra di tutti gli altri.

... Il compito che sta oggi davanti a tutti coloro i quali nutrono sentimenti di umanità, apprezzano la vita umana e la civiltà che gli uomini hanno creato, a tutti coloro che sanno che questa è la sola cosa che ha valore nel mondo e che deve ad ogni costo essere salvata, il compito è di riuscire a creare questo larghissimo schieramento di uomini per la conservazione della nostra civiltà, e dargli un peso decisivo nella situazione di ogni paese e nella situazione internazionale, a farlo diventare una forza irresistibile.

La seconda è inserita nel testamento politico lasciato in eredità agli epigoni del suo partito e fa da conclusione:

Nel mondo cattolico organizzato e nelle masse cattoliche vi è stato uno spostamento evidente a sinistra al tempo di papa Giovanni. Ora vi è al centro, un riflusso a destra. Permangono però, alla base, le condizioni e la spinta per uno spostamento a sinistra che noi dobbiamo comprendere a aiutare. A questo scopo non ci serve a niente la vecchia propaganda ateistica. Lo stesso problema della coscienza religiosa, del suo contenuto, delle sue radici tra le masse, e del modo di superarla, deve essere posto in modo diverso che nel passato, se vogliamo avere accesso alle masse cattoliche ed essere compresi da loro. Se no avviene che la nostra “mano tesa” ai cattolici, viene intesa come un puro espediente e quasi una ipocrisia.

... Per esempio, una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo, ci porta al precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno Stato borghese, come si possono allargare i confini della libertà e delle istruzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita economica e politica. Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell'ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi che sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall'interno, di questa natura. In paesi dove il movimento comunista sia diventato forte come da noi, questa è la questione di fondo che oggi sorge nella lotta politica.

Blocco storico

Come si vede il linguaggio è quello abituale, a contenuto illuministico e a forma che va oltre la semplicità per rasentare la sciatteria. Però un'idea vi si illumina, quella del “blocco storico” delle forze che egli ritiene idonee e utili ad essere convogliate in una azione comune verso la conquista pacifica e democratica del potere. Era, in verità, l'idea che Gramsci, originariamente, aveva intravisto come realizzabile su di un piano più alto, meno inficiato di compromesso e più aderente alla visione laica della tradizione risorgimentale, e che Togliatti fa sua traducendola in termini di interclassismo municipale, con tanto di benedizione papale.

Il bilancio di questa enorme gestione politica dell'ultimo ventennio non è certo attivo se si guarda ai risultati più che alla forza numerica del PCI dovuta più a cause obiettive che a capacità di capi. Togliatti ha retto sulle spalle la enorme responsabilità di un partito a cui non ha saputo, meglio, non ha voluto, assicurare né una svolta per il potere attraverso la rivoluzione, né condurlo per via democratica ed elettorale al governo della Repubblica per un condominio del potere borghese, pur avendo più d'ogni altra, tra le forze della guerra di liberazione e della resistenza, tutte, diciamo tutte, le carte in regola per accampare questo diritto.

Ad onta che il PCI sia stretto da anni nella morsa di questa fondamentale contraddizione che ne ha mortificato ogni seria iniziativa e paralizzato ogni capacità di slancio realizzatore, tuttavia il partito è rimasto, nelle sue grandi linee, unitario attorno a Togliatti proprio in virtù delle doti di astuto calcolatore e di forza frenante che tutti gli riconosciamo.

Ma ha anche lasciato in eredità un partito obiettivamente tutto schierato a destra nella ricerca di alternative di governo che nessuno è disposto a prendere sul serio a meno che non vengano rivoluzionati i rapporti esistenti nella geografia politica del mondo così come sono stati imposti dalle forze vittoriose della II guerra imperialista, dato che lo schieramento dei grandi partiti parlamentari è in definitiva quello imposto dai vertici di potere che dominano il mondo. Leggere l'oroscopo delle vicende che si determineranno nel prossimo futuro nel seno del PCI dopo la scomparsa e soprattutto per la scomparsa di Togliatti?

Per noi c'è un solo modo di esaminare questo problema, ed è quello di attenersi ai termini di classe.

Se non siamo disposti a prendere sul serio la ragione sentimentale e di immediato interesse politico che ha consigliato i pretendenti al “Capo” di mostrarsi più uniti di quanto in realtà non sono, non siamo neppure disposti ad avallare la tesi di coloro che vedono inevitabile e immediato il cozzo tra i “molli” e i “duri” per l'evidente ragione che ogni capo-corrente ha dimostrato di saper essere duro o molle e viceversa a seconda della situazione in cui ha dovuto operare. Non escono tutti dalla scuola di Togliatti?

Togliatti e la violenza

Questi allievi sanno, come noi, quale spietata durezza e inumana inesorabilità il Togliatti così buono, moderatore, abbia dimostrato nel consegnare alle purghe e alla deportazione in Russia e in Spagna, quei compagni che, usciti dall'inferno fascista, si erano illusi di trovare asilo e rispetto della propria coscienza politica nella patria del socialismo.

Questi suoi allievi sanno, come noi, che Togliatti aveva un modo assai curioso, ma soprattutto comodo, di considerare il ruolo della violenza; la riteneva valida e giusta se esercitata contro chi può mettere in pericolo la sua posizione e il suo avvenire di uomo politico; malvagia e non conforme alle leggi della storia quando è usata dal proletariato per spezzare lo Stato capitalista e l'esercizio della sua dittatura.

Questo sanno i suoi allievi e non c'è dubbio che se la storia si svolgesse ancora una volta sulla linea del loro interesse, essi sarebbero all'altezza di tanto insegnamento.

Il problema vero è ben altro ed è nella natura economico-sociale della formazione del PCI ridotto a vivere la politica dei “bollini”, dei festival della stampa e delle campagne elettorali per raccogliere voti, sempre più voti; oltre questa linea di attività amministrativa si apre il precipizio del nulla, del buio delle coscienze, di assenza d'ogni vera e reale prospettiva.

A diversa stratificazione economico-sociale del partito corrisponde una diversificazione di condizione di vita e di modo di pensare: gli operai industriali e i contadini poveri non possono vivere e pensare all'unisono con gli intellettuali, i piccoli borghesi e gli esponenti delle classi medie che nel partito fanno il buono e cattivo tempo. L'unità, tra queste forze divise da interessi divergenti e a volte addirittura di classe, è sempre stata la maggiore preoccupazione di Togliatti, che, per salvare questa unità, si è fatto iniziatore, dopo l'insurrezione del proletariato ungherese, di quella cauta politica di decentramento del potere centralizzato e di autonomia dei partiti riassunta nella teoria del policentrismo. Alla stessa preoccupazione dell'unità ad ogni costo è informata la tattica togliattiana adottata di recente di fronte al pericolo di scissura nel campo dei paesi “socialisti” in conseguenza all'acuirsi del dissidio Russia-Cina. Togliatti non era certo impressionato dalla drammaticità di questo scontro, ma dalle conseguenze che si sarebbero potute verificare nel seno del PCI, così profondamente lesionato da contrasti interni, per l'eventuale insorgere di una opposizione filo-cinese che la logica degli avvenimenti in prospettiva, avrebbe potuto condurre a lacerazioni profonde, irrimediabili per un partito, come il PCI, che basa la sua potenza sul numero e sui voti.

Questi gli epigoni

Sarebbe erroneo pensare che gli epigoni della statura di Longo, di Ingrao (il prediletto), di Paietta e di Amendola, che erano considerati sullo stesso piano come “delfini” potenziali del “Capo”, possano garantire per tutta una fase storica, la continuità e la riuscita di una politica unitaria così, come era stata concepita ed attuata da Togliatti.

Soltanto profondi sommovimenti di classe, e ve ne saranno su scala internazionale e già sono in fase di avanzata maturazione nel nostro paese, metteranno in moto le forze centrifughe del PCI quelle, soprattutto, dei proletari che non hanno dimenticato che l'emancipazione degli operai è opera degli operai stessi.

Gli altri, i borghesi, i borghesizzati, troveranno altrove la soluzione dei loro problemi nelle formazioni, inesauribili, della sinistra borghese. Non sarà più il PCI di ieri e di oggi, sarà forse l'auspicato “Partito del lavoro”, saranno altre istanze organizzative, ma il risultato sarà in ogni caso lo stesso.

Tutto sommato, noi siamo portati a preferire il muro di silenzio, carico di odio di classe, di cui la borghesia circondò la bara di Gramsci, alla teatralità irriverente, comiziaiola delle esequie di Togliatti; ciò è servito per ricordare a noi tutti e agli altri che non il proletariato, ma la borghesia italiana aveva perduto il suo figlio migliore.