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Home ›Ancora sulla vicenda dell’MRTA a Lima
Classe e lotta di classe son desuete per l’Autonomia
La presa di posizione riportata sul numero scorso di Bc sulla vicenda dell’MRTA peruviano e la sua presa in ostaggio di un po’ di opsiti e parassiti dell’ambasciata giapponese non poteva piacere all’Autonomia. Troppo secca, troppo segnata da riferimenti classisti, troppo simile al rigetto anche dello zapatismo. Immessa in una lista di discussione in Internet ha immediatamente suscitato la reazione dell’ala padovana, che riportiamo integralmente perché lo merita per la chiarezza del metodo sotteso.
Quelle tra virgolette sono citazioni dal nostro articolo da parte dell’autore padovano
Nè col MRTA né con Fujimori
Questo slogan posto in ouverture di una dichiarazione piena di internazionalismo e anticapiltalismo ricca di certezze per una conflittualità consapevole delle masse proletarie in lotta, simile ad un altro (aut-aut) a noi noto (datato fine anni settanta) il mitico Né con le BR né con lo Stato, sembra riproporre un’analisi della realtà delle lotte sul nuovo scenario internazionale, sulla base di categorie ormai desuete e superate.
[...] Non c’e’ traccia nei documenti e nelle dichiarazioni del MRTA di alcun riferimento ad una seria strategia anticapitalista mentre e’ evidente la natura radicalmente nazionalista della loro confusa ideologia. Nonostante conclamati rapporti con organizzazioni operaie, il MRTA non ha nessuna caratterizzazione di classe [...]
Mi sembra che parlare di natura radicalmente nazionalista, proponga una visione riduzionista dei fatti, e non consideri l’occupazione dell’ambasciata anche sul piano della comunicazione internazionale, nella sua capacità di riportare nel network-informazione-globale tra panettoni-doni natalizi-sassi dai cavalcavia, ed altro trash, l’indiscutibile cruda realtà del sud del mondo e dei rapporti di sfruttamento pianificati, agiti ed imposti con grande sapienza dai paesi capitalistici.
Il neo-nazionalismo oggi si sta radicando nei paesi ricchi sottraendo visibilità e discussione sulle origini economiche delle migrazioni odierne, per alimentare fenomeni xenofobi e guerre etniche. Non possiamo certamente considerare nazionalisti degli eventi capaci di produrre modificazioni (anche se flessi minimali) nella visione di massa rispetto agli attuali processi nei rapporti del capitalismo mondiale.
Nessuna affinità politica ci lega a questa organizzazione guerrigliera e nessuna simpatia nutriamo per questa audace operazione militare che non porterà’ alcun vantaggio, né immediato, né tantomeno politico alle masse proletarie e alla loro prospettiva di organizzazione per la emancipazione rivoluzionaria. [...]
Beh a questo punto credo l’affermazione di cui sopra sia abbastanza ovvia e scontata se le categorie su cui si basa la valutazione sono ancora quelle dell’archelogia post-ideologia della paralisi generale. In un perpetuo rimbalzare di grandi analisi per il riscatto dell’esistenza dei proletari di tutto il mondo, si sta ancora aspettando il ritorno al futuro. A questo punto vi consiglio vivamente di organizzare ed agire, in ideologica coerenza, l’occupazione di qualche altra ambasciata o qualsiasi altro evento capace di riportare sullo scenario internazionale una discussione antagonista-non-nazionalista-internazionalista-anticapitalista-proletariatomondialista.
Il resto della dichiarazione in oggetto e’ pura retorica tra dissociazioni e solidarietà.
Saluti antagonisti
HoboEd ecco la nostra replica, sempre sulla lista di discussione di cui sopra
Quello che risulta chiaro dal messaggio di Hobo è che le “categorie” impiegate nella nostra dichiarazione, ovvero la classe, il conflitto di classe e la strategia necessaria al conflitto di classe sono desuete. Desuete significa “cadute in disuso”. Presso chi? In genere ci si riferisce all’uso generale, della collettività. E in questo senso quelle nostre categorie sono da quasi sempre in disuso da parte della collettività che è fatta dal capitale e per il capitale. Anche quando sembrava che tutti parlassero di classe e di conflitto di classe (vogliamo gli anni ‘70?) ben pochi si riferivano al conflitto di classe in quanto contrapposizione del proletariato, con la sua prospettiva di rivoluzionamento della società, e la borghesia, con il suo interesse alla conservazione della medesima e del conseguente suo stato di classe dominante. Se però, almeno sul piano formale, nella vecchia autonomia sembrava ancora vigesse l’uso di quelle categorie ora anche lì esse sono desuete. Non c’è che da prenderne atto.
Ma ci consentiamo alcune chiose:
Non possiamo certamente considerare nazionalisti degli eventi capaci di produrre modificazioni (anche se flessi minimali) nella visione di massa rispetto agli attuali processi nei rapporti del capitalismo mondiale,
scrive Hobo. Per far capire anche a chi non è avvezzo a certo linguaggio il nostro interlocutore intende dire che non è una manifestazione del nazionalismo quella che è capace di cambiare il modo in cui le masse giudicano i processi di globalizzazione in atto. Due obiezioni: la prima è che questa capacità non ha nulla a che vedere con la intima natura politica dell’azione stessa. Ammesso che induca “le masse” a vedere che globalizzazione significa immiserimento dei poveri, questo non toglie nulla al suo carattere nazionalistico. Ma, e siamo alla seconda, Hobo dovrebbe mostrare dove, come e quando si sono prodotti “anche flessi minimali nella visione di massa”. A noi che andiamo in fabbrica e in ufficio usando treni e tram, non ci è sembrato proprio.
Che la presa dell’ambasciata giapponese si sia trasformata in un evento mediatico internazionale è vero, ma varrebbe la pena indagare un po’ di più sui messaggi trasmessi dai media e sul loro reale impatto sulle famose masse. Si scoprirebbe che la presa armata degli ostaggi è dalle masse vissuta come i media la fanno vivere (barbara violenza di disperati terroristi in lotta col governo ma ai danni di gente innocente). Altri eventi mediatici e di grande portata possono essere indotti e sono stati indotti (Green Peace in questo è maestra e ancor più il “Comité Clandestino Revolucionario Indígena - Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional”).
Ma non si è mai dato che eventi mediatici di tale o talaltro genere abbiano generato mutamenti significativi nella percezione del mondo del cittadino borghese metropolitano, categoria nella quale è attualmente ancora (speriamo per poco) dissolta la collettività intera, classe operaia compresa dei centri metropolitani.
A questo punto vi consiglio vivamente di organizzare ed agire, in ideologica coerenza, l’occupazione di qualche altra ambasciata o qualsiasi altro evento capace di riportare sullo scenario internazionale una discussione antagonista...
scrive Hobo.
Decliniamo gentilmente l’invito. Ci sarebbe già materiale a sufficienza e proprio in questi giorni per riportare sullo scenario internazionale una discussione internazionalista e di classe. Per esempio la lotta dei lavoratori coreani. Ma, già, questi son fatti... desueti.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 1997
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