AMI, stati, socialdemocrazia

Nell’ottobre scorso in un articolo sul Manifesto Luciana Castellina annunciava che l’AMI (Accordo Multilaterale sull’Investimento) è definitivamente tramontato, grazie alle pressioni da più parti esercitate e in particolar modo a quelle delle Organizzazioni non governative (ONG).

Ora, è vero che le trattative per l’AMI sono state sospese fin dal giugno di quest’anno "per sei mesi", dopo di che alcuni attori delle trattative stesse le hanno dichiarate tramontate, ma noi ci permettiamo di dubitarne.

Erano andate avanti segretamente per tre anni, prima che (primavera del 1997) e grazie alle "soffiate" del governo del Canada "poco entusiasta di come si svolgevano le negoziazioni" in sede OCSE (1), venisse alla luce. Non potrebbero proseguire in altrettanta discrezione?

D’altra parte non mancherebbero le ragioni per un reale seppellimento di quelle trattative e delle prospettive di accordo.

Vediamo dunque più in particolare di cosa si tratta, il significato di quelle trattative e dell’ipotetico accordo e il perché la sua realizzazione è più problematica di quanto l’opposizione democratica delle ONG e delle associazioni varie messe in piedi da Le Monde Diplomatique potrebbe far pensare.

Scopo dell’articolo non è tanto quello di informare su qualcosa che forse non è più, quanto di esaminare criticamente e nella prospettiva rivoluzionaria che ci è propria, gli atteggiamenti e le mosse di quel radical-riformismo che assume oggi le vesti neo-keynesiane e che nel rifiuto del punto di vista di classe, marxista, trova le condizioni della sua morte annunciata.

Contenuti dell’AMI

Il testo dell’accordo - "pronto al 91%" - al momento della sospensione era fatto più di note a piè di pagina e di osservazioni interpretative da parte delle delegazioni, che del testo degli articoli; ma era già largamente significativo dei suoi intenti. È anch’esso disponibile in Internet e lo possiamo comunque fornire su carta - e in francese - a chi ce lo richiedesse.

Cosa diceva in sostanza? Va detto innanzitutto che, voluto in particolare dalle potentissime lobby della finanza internazionale, l’AMI tendeva a salvaguardare la redditività degli investimenti di qualunque tipo e in particolare gli investimenti finanziari speculativi, in qualunque paese aderente al trattato, contro tutto e tutti e al di sopra di ogni legislazione nazionale.

In questo quadro ovviamente si collocano le specifiche misure e le precisazioni contente nel testo degli articoli dell'AMI stesso: parità di trattamento con l’investimento nazionale e misure di salvaguardia dell’investimento straniero; il considerare a questi fini investimento qualunque operazione, dalla più speculativa a quelle "culturali". Così, osserva Chesnais, la definizione di investimento...

non si basa più sui mezzi di produzione o sull’ “utensile di lavoro”. Essa è fondata al contrario sull’ “attivo”, vale a dire sulla categoria economica e giuridica centrale all’esistenza e al funzionamento dei mercati finanziari. (2)

Sempre sul testo curato da Chesnais si afferma, giustamente, che:

uno dei risultati rilevanti dell’AMI sarebbe quello di conferire agli investimenti stranieri, se il progetto dovesse realizzarsi, più diritti di quanti ne possiedano gli investimenti nazionali.

Ed è qui che sorge il primo dei grossi scogli sui quali forse l’AMI è naufragato.

L’AMI e gli stati

Non è un caso che, come osservavamo sopra, sia stato un governo presente alle trattative con la sua delegazione, a fare la soffiata alle ONG, che poi hanno sollevato il clamore.

Abbiamo anche detto sopra che le trattative sono state volute in particolare da quelle lobby del grande capitale finanziario, già presenti nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che ispirano governi ed enti internazionali come il FMI o l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che ha soppiantato l’Accordo generale sul commercio (GATT) come risultato dell’ultimo giro di negoziazioni del G7. Aggiungiamo che sono di fatto queste stesse lobby a costituire quei tribunali di arbitraggio che, in seno all’OMC, sono chiamati a giudicare sulle vertenze, in genere fra privati investitori multinazionali e stati, a proposito di libertà di commercio.

Il capitale finanziario internazionale ha così già riscosso successi di portata enorme nell’equilibrio fra sé e i singoli stati nazionali e con l’AMI minacciava di esautorare sic et simpliciter gli stati nazionali stessi, per ridurli a una semplice appendice amministrativa dei suoi interessi globali.

Ora, lo stato altro non è che l’organo di dominio della classe dominante ed è nella sua forma l’espressione politica del modo di produzione che esprime quella classe.

Gli stati si aggregano e si disgregano in base ai processi di integrazione o di disintegrazione della borghesia a scala locale, regionale, continentale. Così si assiste all’apparente paradosso che vede gli stati della Comunità Europea tendere all’unità politica al tempo stesso in cui nei Balcani stati precedentemente unitari si disintegrano in una miriade di risibili micro-staterelli.

Qui, l’oggettiva comunanza dei mercati metropolitani, e la necessità dell’aumento di scala degli stessi, unificano gli interessi del capitale appunto europeo e tendono ad unificare la corrispondente classe borghese al di sopra dei più "leggeri" interessi nazionali e al di là della sempre presente anarchia degli interessi borghesi.

Là la arretratezza del capitale lascia campo libero tanto all’anarchia delle bande locali di borghesia stracciona quanto alle incursioni di rapina del capitale e della borghesia metropolitana (sono note le pesanti responsabilità delle forze imperialiste - in particolare di Germania e Usa - nel processo di disintegrazione della Jugoslavia).

Frazioni borghesi e unità di classe

La classe borghese poi si divide in base al modo in cui i suoi membri si appropriano del plusvalore estorto, nel processo di produzione, alla classe operaia. Schematicamente possiamo dire che si divide fra percettori di profitto, di rendita e di interesse (o rendita finanziaria). Che poi i tre strati di borghesia non siano perfettamente definibili e delimitabili - per il fatto stesso che il capitale si presenta spesso contemporaneamente in due o addirittura tutte e tre le forme - questo non esclude che le tre forme in cui il plusvalore si distribuisce rimangano distinte.

Esiste quindi ed è evidente una grande differenza, nella forma e negli interessi espressi, fra le grandi centrali del capitale finanziario e la pletora di piccoli e medi imprenditori che costituiscono il tessuto produttivo di paesi come quelli Europei. Questi ultimi sono direttamente impegnati nella estorsione del plusvalore che in piccola parte rimane nelle loro tasche sotto forma di profitti industriali, mentre la parte maggiore si invola in forma di rendita e interesse. I centri finanziari (fra i quali le banche) si appropriano proprio di quelle rendite e di quegli interessi sul credito.

La lamentela continua, per esempio, dei borghesi delle Piccole e Medie Imprese del famoso Nord Est, oltre alle solite lagnanze sulle tasse, che non pagano e sui contributi - e nel Nord Est, stando ai dati ufficiali almeno il 15% del lavoro dipendente è in perfetto nero - è che "l’utile netto di impresa", da leggere come profitto industriale netto, non supera il cinque per cento. È chiaro: il pagamento di interessi sugli anticipi di capitale dalle banche e sui leasing delle apparecchiature, gli affitti e canoni vari (imposti da privati o dalla pubblica amministrazione) si portano via una gran parte del plusvalore che nelle loro fabbrichette viene estorto ai lavoratori. Conta poco poi che gli stessi industrialotti partecipino alla spartizione della rendita finanziaria, percependo gli interessi sulle loro montagnole di titoli del tesoro o sulle somme versate nei fondi di accumulazione o direttamente impegnate sui mercati borsistici e finanziari. Nella loro grettezza di fondo, essi vedono il dato immediato della loro impresa e fanno fatica a riconoscersi colleghi di Soros o di Cuccia.

Resta dunque il dato di fondo: quello stesso "misero" 5 per cento è assicurato loro da una montagna di facilitazioni creditizie, contributive normative che lo stato dona loro e che costituiscono quel vantaggio di cui ancora gli interventi speculativi esteri non sempre possono godere.

Potrebbero consentire le turbe del Nord Est che alle industrie giapponesi, per esempio, che investissero in Italia negli stessi loro settori a medio o alto contenuto tecnologico si dessero tutte le facilitazioni e gli appoggi che loro ricevono e si assicurasse loro una assoluta parità di trattamento? Evidentemente no e - ci perdoni la Castellina - quelle turbe pesano più delle ONG, non foss’altro perché costituiscono una frazione non indifferente della classe borghese al servizio della quale lo stato esiste e opera.

Ma aggiungiamo un altro elemento dell’abc marxista: il capitale più forte è quello dominante.

Ciò significa che fra le migliaia di miliardi mossi quotidianamente anche dai "piccoli" centri finanziari italiani e gli investimenti in macchine impianti e forza lavoro dei suddetti industriali non v’è certo proporzione equilibrata. Il fatto stesso che il servizio al debito pubblico fosse a fine 1997 di 185 mila miliardi, pari al 9,5 del Prodotto Interno Lordo (PIL), è significativo di questa sproporzione e ancor più lo è l’ammontare del debito pubblico, pari al 121% del PIL. I medesimi industriali dipendono fortemente dalle movenze dei "mercati" ovvero dai flussi di capitali finanziari ai quali Banca d’Italia guarda anche per la determinazione del tasso di sconto.

Il capitale più forte è indubbiamente quello finanziario e a esso viene sacrificata spesso la sorte di intere imprese produttive. Ne dovrebbero sapere qualcosa i lavoratori di quei settori carbonifero e siderurgico inglesi, brutalmente ridimensionati e dimessi dal loro tradizionale ruolo strategico, quando la Gran Bretagna decise di seguire le scelte finanziarie dell’amministrazione Usa, che privilegiavano appunto il ruolo dominante del dollaro (e in subordine della sterlina) sui mercati finanziari di fronte ai profondi processi di ristrutturazione dell’apparato produttivo intrapresi invece dagli altri paesi (Germania, Italia...).

Ma se il capitale finanziario si muove liberamente sui suoi mercati globali e tende al suo "profitto" massimo (rendita finanziaria) indipendentemente dalle condizioni nazionali del mercato delle merci, è pur sempre dalla produzione di merci - checché ne pensino i più sfrontati teorici del neo-liberismo - che esso trae la sua ingorda quota di interessi.

Esiste dunque una contraddizione fra il libero muoversi dei capitali finanziari e il quotidiano operare del capitale produttivo nelle singole imprese. Quel che è impegnato nella fabbrica X non può spostarsi ogni giorno dall’Italia a Singapore e da lì a Londra e poi in Malaysia. E per operare necessita di condizioni che è lo stato ad assicurargli.

C’è dunque contraddizione, che anche la vicenda Ami ha evidenziato, fra rivendicazioni del capitale finanziario rappresentato dalle imprese e dai centri multinazionali ed esigenze del capitale industriale impegnato nella produzione. È una contraddizione evidentemente interna alla classe borghese, che non ha dunque alcun potenziale eversivo nei confronti dei rapporti fondamentali di classe della formazione sociale capitalista. È una di quelle contraddizioni che sono oggetto della classica mediazione politica.

Qual è il terreno su cui la mediazione politica si rende possibile? Da sempre è lo stato e non si vede altro terreno che lo stato. Magari allargato, non più sulla base della singola nazione, ma pur sempre lo stato. È nello stato che si realizza l’unità di classe borghese, a fronte della crisi e della minaccia sempre incombente della catastrofe e della rivolta proletaria.

Lo stato allargato e l’AMI possibile

Abbiamo accennato sopra alla tendenza della Comunità Europea a farsi stato. Ecco che tornano i conti: le borghesia europee (metropolitane, abbiamo visto, non quelle, per esempio, balcaniche) in tutte le loro frazioni cercano un mercato più largo di quello nazionale. Ciò può ancora scatenare scontri interni fra le varie frazioni, come abbiamo già avuto modo di sottolineare (3), ma ormai è un fatto che all’Europa unita e al suo Euro come unità monetaria guardano sia gli industrialotti del Nord Est, sia Agnelli e Cuccia.

La dimensione sovranazionale dell’Europa unita sarà la dimensione del nuovo stato.

Già le Direttive Europee hanno, in forza del trattato di Roma, valenza superiore e anzi ispiratrice delle leggi nazionali degli stati aderenti.

E questo nuovo stato sarà, quando sarà, il nuovo centro di aggregazione degli interessi di conservazione innanzitutto e di "competitività" della borghesia europea. Può darsi che ancora non riuscirà ad accumulare sufficiente forza di intervento sui mercati finanziari per contrastare gli eventuali attacchi e controllare i flussi del capitale finanziario, anche se andrà certamente a costituire un discreto fattore di condizionamento. Ma sarà il nuovo, più grande "momento di sintesi" delle diverse componenti della borghesia e dei suoi capitali: produttivi, fondiari e finanziari. Gli articoli della bozza di trattato AMI sono, nella loro parte maggiore ed essenziale, limitativi di questa azione di sintesi, a tutto vantaggio dei centri mondializzati del capitale finanziario. Ecco perché l’AMI non ha avuto e non avrà la strada facile.

Ciò non esclude affatto, anzi, che molte delle norme e interi capitoli di esse lì faticosamente contrattate fra le rappresentanze di tutti gli stati OCSE e le suddette lobby possano trasferirsi nella legislazione del possibile stato unitario europeo. In questo caso, debitamente armonizzate con gli altri capitoli della legislazione statale, andrebbero invece a rafforzare l’unitarietà dello stato stesso, pur sancendo il predominio di fatto del capitale finanziario in forma di legge.

Il Nafta prima dell’Ami

È lo stesso testo che abbiamo citato in apertura a raccontare di un episodio illuminante sulle implicazioni dei rapporti squilibrati fra stati e trattati sovranazionali. Si tratta della norma contenuta nella bozza di trattato Ami che recita:

Una parte contrattante non può espropriare, nazionalizzare direttamente o indirettamente un investimento realizzato sul suo territorio da un investitore di un’altra parte contrattante, né prendere una o più misure d’effetto equivalente (d’ora in avanti denominate "espropriazioni") salvo quando questa espropriazione:
# è effettuata per motivi di interesse pubblico;
# non è discriminatoria;
# rispetta le garanzie previste dalla legge e...
# è accompagnata dal pronto versamento di una indennità adeguata ed effettiva. (4)

Commenta Chesnais:

Una disposizione di questo tipo esiste nei trattati del Nafta, che è il grande modello per gli istigatori dell’AMI. Essa ha già aperto la via una vertenza giudiziaria della società Ethyl contro la stato canadese. Questa impresa, domiciliata negli Usa s’è appoggiata sulle disposizioni meno favorevoli all’ambiente che nel Canada, per reclamare 251 milioni di dollari al governo federale del Canada. Nell’aprile del 1997 questo aveva vietato un additivo alla benzina, denominato MMT - una neurotossina sospetta che danneggia i dispositivi anti-inquinamento delle automobili. Ethyl, unico produttore, ha avviato l’azione contro il governo canadese invocando il fatto che il divieto dell’MMT “equivaleva a una espropriazione dei suoi averi”. Per quanto incredibile possa apparire, la lamentela è stata giudicata ricevibile e sarà giudicata. Se Ethyl vince i contribuenti canadesi dovranno pagare 251 milioni di dollari alla ditta privata.

Ora, in questo caso, a giudicare saranno i tribunali normali, che si troveranno a esprimere un loro autonomo giudizio sul predominio o meno dell’interesse privato sulla legislazione ambientale pubblica e di conseguenza sul rapporto gerarchico fra capitoli del trattato Nafta e legislazione nazionale. Nella bozza Ami si trattava invece di affidare simili giudizi a corti arbitrali fatte di emissari dello stesso grande capitale finanziario.

Già la causa in pendenza in Canada mette in forte questione agli occhi delle borghesie metropolitane la congruità di certe norme di un trattato come il Nafta con gli interessi dei loro stessi stati. D’altra parte, lo stato e la borghesia messicana, costretti al gioco del Nafta, hanno voce in capitolo proporzionale alla loro forza, quindi quasi zero a fronte di giganti come gli Usa e il Canada. Ma non mancano di manifestare il loro disagio come dimostrano anche le recenti lamentazioni di Cardenas, governatore del distretto federale messicano, che riportiamo in nota. (5)

Una prima conclusione

Possiamo dunque concludere che il trattato AMI è:

  • da una parte il tentativo, per ora mal riuscito, del grande capitale internazionale, finanziario-industriale di regolamentare, con la forza di trattati fra gli Stati, la sua totale libertà di movimento a scala internazionale alla ricerca del massimo profitto e/o della massima rendita finanziaria, al di sopra di qualunque vincolo di qualunque tipo (sanitario, ambientale, sociale, finanche di equilibrio interborghese); il fatto stesso che si cercasse di imporre agli stati un trattato che di fatto li svuotava del potere di controllo e di mediazione interborghese che è loro proprio, ha posto il maggiore ostacolo sul suo cammino;
  • dall’altra è significativo, pur avendo subito la battuta d’arresto, dell’enorme potere dei centri finanziari e delle corporation globalizzate, che hanno spinto le delegazioni governative OCSE, in totale riservatezza, a sedersi regolarmente attorno a un tavolo assieme agli "esperti" delle corporation stesse per tramare ai danni degli stati.

Abbiamo accennato sopra che il suo contenuto sarà con tutta probabilità trasferito nella legislazione interna dello stato allargato europeo.

Cadrebbero, in questo caso, molte delle condizioni che rendevano la bozza AMI impresentabile davanti a vasti strati della borghesia. Si tratterebbe infatti del corpo stesso del diritto amministrativo del nuovo grande stato, a protezione sì dell’investimento di capitali, ma dei capitali europei con riserve sempre più forti nei confronti di quelli, poniamo, americani o giapponesi.

D’altra parte, non si deve mai perdere di vista la situazione generale in cui i vari fenomeni si manifestano. Ed è una situazione di crisi. È la più lunga crisi di ciclo d’accumulazione che il capitalismo abbia mai vissuto e il suo stesso trascinarsi senza nessuna delle due soluzioni possibili (guerra imperialista o rivoluzione proletaria), agita e confonde sempre di più il gioco di tendenze e controtendenze interne alla classe dominante.

Le spinte del capitale finanziario globalizzato verso l’assolutizzazione della sua libertà di movimento e di rapina del plusvalore in forma di interessi e rendite finanziarie cozzano contro gli istinti di sopravvivenza del "profitto industriale" e di quegli strati di borghesia "localizzata" che se ne appropriano. Poiché non è ipotizzabile una guerra del capitale finanziario contro gli stati, è inevitabile che siano invece gli stati a coagulare gli interessi delle une e delle altre frazioni del capitale e della borghesia sul proprio terreno, in naturale concorrenza l’uno con gli altri e di fatto in marcia verso lo schieramento di fronti, di per sè sempre forieri di guerra.

Quanto sopra è quello che i radical socialdemocratici si rifiutano di considerare. Ciò è alla base e contemporaneamente appare il prodotto delle loro aberrazioni sul significato dell’Ami stesso.

La prima aberrazione di giudizio è quella moralistico-giuridica:

Nel caso dovesse essere firmato e poi ratificato, l’AMI eserciterebbe una influenza globale sul diritto nazionale francese [o italiano - NdR] in ragione dello statuto di trattato che si propone di accordargli. I trattati internazionali ratificati da un paese hanno, nell’ordine giuridico interno, un valore superiore a quello delle leggi... (6)

È vero; infatti il trattato che lega i paesi della Comunità europea esercita proprio quel ruolo sulle legislazioni nazionali e le Direttive Europee hanno il potere di imporre nuove leggi e/o variazioni a quelle esistenti a scala nazionale. E allora? In realtà. la critica/preoccupazione dei signori di Le Monde Diplomatique è volta alla difesa di uno spazio autonomo europeo - all’interno del quale regolamentare i rapporti fra stato e imprese - contro le ipotesi di interferenza dei giganti americani e giapponesi.

La seconda, più grave aberrazione è quella politica. La pretesa dei radical socialdemocratici di aver fermato l’AMI, fa da supporto a quella ancor maggiore di poter democraticamente "fermare, invertire, cambiare trasformare" la mondializzazione. Qui si misura tutta la portata del neo-riformismo e dei programmi appunto riformisti delle forze che a quella "lotta" si ispirano, fino a Rifondazione comunista (bertinottiana) compresa.

Allo scenario reale, che vede giganteggiare i giochi interni alla borghesia e ai suoi stati, si sostituisce il risibile teatrino dei socialdemocratici radicali e delle ONG contro... il capitale stesso.

Vezzi vecchi e nuovi della socialdemocrazia

C’è un vezzo ormai radicato nella socialdemocrazia, che definiamo neo- proprio per questo.

Al fondo la socialdemocrazia riformista mantiene la "invariante" caratteristica di credere e far credere che il capitalismo e i guasti del capitalismo siano in qualche modo superabili tramite le riforme e la lunga marcia attraverso le istituzioni del medesimo stato capitalista. Ma fra quella tradizionale e la neo-socialdemocrazia c’è una differenza nel "referente", nel soggetto sociale che si ritiene portatore delle istanze di riforma e dunque soggetto politico delle riforme stesse. Mentre la socialdemocrazia tradizionale manteneva un riferimento certo nella classe operaia, la classe lavoratrice, come classe distinta dalla borghesia e dalla piccola borghesia, con le quali si potevano eventualmente stabilire alleanze contingenti, la neo-socialdemocrazia si distingue per un riferimento molto più sfumato ai lavoratori dipendenti e molto più accentuato verso una pretesa "società civile", verso il cittadino, indifferenziato dal punto di vista di classe, ma che proprio per essere cittadino dovrebbe lottare contro i mali della società con le armi che la sua "cittadinanza" gli conferisce: il voto, la pressione democratica, le campagne civili, fino alla disobbedienza civile.

Altra caratteristica invariante della socialdemocrazia è l’idealismo che informa tutto il suo pensiero e in tutte le sue varianti. L’idealismo classico, quello che al fondo ritiene che la storia proceda in virtù di un motore primario che risiederebbe nelle idee che gli uomini si fanno di sé e del mondo e che starebbero alla base dei mutamenti negli ordinamenti sociali e nei modi di produrre e distribuire.

Consegue da questa visione che se certe idee si dimostrano in qualche modo "giuste", valide e capaci di conquistare gli spiriti più aperti e sensibili, finiranno per vincere sulle forze del male e conquistare a sé anche gli spiriti più lenti e restii alla innovazione, inducendo così la mutazione desiderata nelle "cose", negli assetti sociali e nei modi di produrre e distribuire.

Lasciamo al lettore la fatica e il gusto di rintracciare questa trama di fondo nel pensiero politico del vecchio Pci e della nuova Rifondazione, come nel pensiero e nella azione della SPD tedesca o del vecchio Labour inglese, come nel pensiero e nell’azione di qualunque altro partito borghese o della Chiesa.

Ma in quest’ordine di idee capita spesso di incorrere in gravi infortuni interpretativi, uno dei quali è proprio quello che abbiamo in esame.

L’AMI ha suscitato, dal momento in cui ne è stato reso noto il progetto, una forte ondata di indignazione democratica (di cui Le Monde Diplomatique si è fatto capofila e ispiratore); ha subito poi una battuta d’arresto: il poi si trasforma in "dunque" e il merito di averlo bloccato va all’ondata di indignazione stessa.

La natura degli interessi che andava a toccare, i rapporti interni alla classe dominante che andava a squilibrare, il fatto che i suoi contenuti di difesa del grande capitale possano benissimo essere ripresi all’interno della legislazione di una Europa unita - tutto questo sparisce, per lasciar posto al trionfo ... delle ONG.

Nulla di preoccupante se la cosa si fermasse lì. Di grulli che scambiano le lucciole per lanterne e vedono il dito che indica la Luna invece che la Luna, è pieno il mondo, senza che questo ne abbia particolarmente a soffrire. E invece ecco puntuale la indicazione politica, lanciata alle masse di cittadini: avanti così verso obiettivi tanto più grandi quanto più irrealizzabili. Leggiamo:

Questa battaglia [contro l’AMI] sarà tanto più efficace quanto più si volgerà all’avvenire. La prima fase di questa lotta contro l’AMI ha già contribuito a consolidare un processo in corso da diversi anni, l’incontro sui temi di campagne comuni di associazioni e di sindacati che prima collaboravano meno. Questo incontro ha permesso anche di rafforzare il sentimento che la "mondializzazione" non è inevitabile, né inaggirabile, come proclamano i suoi promotori. Se occorre evitare di sopravvalutare l’importanza e la capacità di lotta delle forze che hanno avviato la resistenza, non bisogna tanto meno sottovalutare il potenziale che possono rappresentare delle forze democratiche che lavorano assieme su un obiettivo comune. (7)

È una dichiarazione politica importante, è l’indicazione del fronte unito delle forze politiche, ideologiche, delle associazioni, dei movimenti che in un modo o nell’altro si muovono contro il "neo-liberismo", Con quale obiettivo? Non solo e non tanto quella della sconfitta del liberismo stesso - ormai timidamente contestato anche nei suoi stessi santuari - quanto del blocco del processo di mondializzazione, che in altri termini, equivale a dire il blocco, l’inversione o la modifica di contenuti e obiettivi di una dinamica oggettiva avviata dal capitale.

È una dichiarazione importante perché è di fatto la bandiera di schieramenti politici non indifferenti che comprendono la Rifondazione bertinottiana, i radikal tedeschi e di tutta Europa, ed è la parola d’ordine capace di ridare una identità a quella "sinistra" tanto preoccupata - non a torto - di averla persa. La sinistra si riaggregherà - dopo aver perso pezzi importanti riassorbiti dal pensiero e dalla azione unica e dominante del capitale - proprio su quella base, con le caratteristiche che abbiamo detto sopra e con un programma che, avendo rinunciato definitivamente al socialismo, si adagerà sugli aspetti politici più radicali del Keynesismo, su quello cioè che abbiamo chiamato il neo-keynesismo.

Le prospettive della lotta anticapitalista

La nostra prospettiva immediata, non tanto contro l’AMI, ormai probabilmente defunto, quanto contro il capitale, non è nel lanciare campagne e parole d‘ordine verso la società civile, ma è nella ricostruzione delle condizioni soggettive di una ripresa rivoluzionaria.

Quelle oggettive, rimangono fuori della nostra portata. In parte già esistono (nella crisi di ciclo del capitale) e in parte - quella determinante - risiedono nei rapporti di forza fra le classi, al momento a totale svantaggio del proletariato, "ristrutturato" anch’esso, privato dei suoi vecchi, quantunque mistificatori, punti di riferimento, impaurito e di fatto indebolito dal mostro della disoccupazione e della miseria, in conclusione completamente assente come soggetto di lotte sociali.

Il "superamento", ovvero l’abbattimento del capitalismo, si avrà nel momento in cui le condizioni oggettive della rivoluzione proletaria si fondono con quelle soggettive che risiedono nel forte radicamento all’interno del proletariato del partito rivoluzionario e nella sua funzione di direzione politica della classe stessa.

Nell’immediato dunque il compito prioritario generale è nella ricostruzione del partito di classe rivoluzionario, nella aggregazione dunque delle avanguardie di classe nell’organismo politico capace di radicamento nella classe quale condizione della direzione dell’assalto al cielo.

Non esistono scorciatoie - diciamo ai dubbiosi che si gingillano ancora nell’illusione di spingere i partiti della neo-socialdemocrazia alla riacquisizione del "referente di classe".

I partiti non cambiano di fronte di classe. O stanno sul fronte borghese (e la socialdemcorazia vecchia e nuova è solidamente là) o sono già al di qua, oppure - ed è il caso attuale - sono ancora da ricostruire sulla base del nucleo esistente.

Ovviamente potrà riuscire nell’impresa solo quella organizzazione attrezzata dal punto di vista del metodo di indagine della realtà, delle analisi prodotte e delle capacità di vedere e immergersi nei processi elementari di ripresa possibile della classe. Noi ci riteniamo, insieme ai nostri compagni a scala internazionale, quella organizzazione "nucleare" attorno alla quale può e deve rinascere il partito internazionale di classe proletaria.

Mauro jr. Stefanini

(1) V. Un Curieux AMI qui avance masqué - Dossier di le Monde Diplomatique a cura di François Chesnais, disponibile anche in rete monde-diplomatique.fr , d’ora in poi "AMI masqué".

(2) Idem.

(3) Cfr. Lo stato a due dimensioni, in Prometeo 10 V serie, dicembre 1995.

(4) La norma è contenuta nel capitolo "Protection de l’investissment" della bozza di trattato.

(5) Parlando nel corso della cerimonia di chiusura dell’undicesimo congresso della Confederazione Latino-Americana dei Lavoratori (CLAT) il sindaco di Città del Messico, Cuahutemoc Cardenas, del PRD, ha dichiarato che il Messico e tutta l’America Latina mancano di forti sindacati operai sia per bilanciare i differenti interessi sociali sia per contribuire a una più equa distribuzione della ricchezza.

Il governo di Città del Messico -- ha detto Cardenas -- si oppone a quelle teorie e a quelle politiche che ritengono che i sindacati operai sono pesi morti. Dissentiamo anche da coloro che propongono che le relazioni di lavoro siano imposte unilateralmente.

Cardenas non solo ha fatto appello a un forte movimento sindacale ma ha anche attaccato la teoria economica conservatrice della privatizzazione, della “deregulation” e del libero commercio conosciuta in America Latina come “neo-liberismo”.

Oggi è largamente riconosciuto il fallimento del neo-liberismo, ma solo dopo che si sono verificate numerose crisi economiche, si sono rotti gli apparti produttivi di paesi interi e milioni di persone sono state impoverite.

Da Mexican Labor News And Analysis del 20 Novembre

È qui evidente l’intenzione di criticare la massima realizzazione del “neo-libersimo” in quell’area, il Nafta, formalmente immediato responsabile dei danni lamentati da Cardenas.

(6) Un Cueriex AMI qui avance masqué, citato.

(7) Ibidem.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.