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Home ›Sui nuovi attacchi all'Iraq
Sul sangue iracheno si giocano le nuove strategie americane e le crescenti opposizioni delle altre metropoli
Fra l'uscita dell'ultimo numero del 1998 e questo primo numero del 1999 si è svolto un nuovo episodio della guerra degli Usa e, in subordine, della Gran Bretagna, contro tutti, avente come oggetto e scenario l'Iraq di Saddam Hussein.
Questa attacco con bombardamenti all'Iraq segna un momento di svolta nella strategia americana nell'area, che sembra sfuggire ai più, ma che è importante registrare.
Respingiamo come ridicole oltre che mistificanti le spiegazioni dell'attacco come punizione e prevenzione dell'armamento iracheno con mezzi di distruzione di massa e altre sciocchezze simili.
Gli americani che fanno le pulci ad altri per le distruzioni di massa?! La realtà vede ancora le guerre combattute e i bombardamenti effettuati non per ragioni ideologiche e tanto meno etiche, ma per questioni molto più materiali: grandi interessi economici, controllo ed estrazione delle rendite finanziarie, controllo di materie prime. Nello specifico, ancora una volta il petrolio.
La Guerra del Golfo del 1991 è stata la messa fuori gioco dell'Iraq dal mercato internazionale del petrolio. Si trattava allora non tanto di punire Saddam per la sua invasione del Kuwait, in certo senso proditoriamente quasi stimolata dalla diplomazia degli stessi Stati Uniti, quanto di raggiungere precisi obiettivi così sintetizzabili:
- imporre all'Iraq le sanzioni, prioritariamente volte a impedirgli la vendita del suo petrolio sui mercati internazionali - così si risolveva momentaneamente la tribolata questione delle quote di produzione in sede Opec a vantaggio degli alleati di sempre (Arabia Saudita in testa) e si affermava il "diritto" degli Usa a disporre a proprio piacimento degli approvvigionamenti di petrolio mediorientale;
- tagliare all'Europa la possibilità di realizzare affari con l'Iraq medesimo - le commesse in fase di acquisizione da parte degli stati Europei non erano rilevantissime dal punto di vista puramente quantitativo, ma erano comunque minacciose per la egemonia americana nell'area;
- affermare la indiscutibilità della superpotenza militare americana, costringendo Europa e Giappone, all'interno dell'Onu, ad appoggiare l'attacco, comunque in subordine rispetto alla soverchiante presenza di truppe e armamenti americani.
Tutti notarono allora che 24-48 ore di più nel micidiale attacco di allora sarebbero stati sufficienti a far saltare Saddam e liberare il popolo iracheno del "satanico dittatore", ma che ciò non avvenne. Perché? Perché la permanenza di Saddam al potere avrebbe giustificato la permanenza delle sanzioni, e cioè della esclusione del petrolio iracheno e della "sospensione" degli affari europei con l'Iraq.
Allora, l'Europa la Russia e il Giappone non poterono evitare di partecipare, più politicamente che materialmente, all'attacco, nonostante fossero i loro interessi ad essere colpiti, più ancora che le installazioni militari e civili irachene. Eravamo a due anni dalla chiusura ufficiale della guerra fredda fra Nato e Patto di Varsavia e le nuove differenziazioni di fronte, fra centri di convergenza degli interessi imperialistici, erano solo agli inizi, individuabili da noi come linee di tendenza, ma non ancora chiaramente percepite dalle borghesie direttamente coinvolte.
Ma da allora, la dinamica della crisi ha materializzato quelle tendenze, accelerando i processi di differenziazioni e divisione nel blocco precedentemente monolitico detto "occidentale".
Tutti i movimenti e le guerriglie diplomatiche dell'Europa (leggi Germania e sua "corte") sono state volte a meglio delineare i propri autonomi interessi di fronte agli Usa. Da qualche anno ciò è andato ancor più evidenziandosi con l'impegno delle centrali diplomatiche, economiche e politiche europee nel mettere in questione la arroganza degli Usa nell'imporre sanzioni in giro per il mondo. Anche il Papa è stato, o si è, mobilitato con un significativo viaggio a Cuba, a testimoniare la "ingiustizia" delle sanzioni americane. Argomento di scena era la povera isola caraibica, ma il significato andava oltre e comprendeva l'Iraq.
Cresceva in sostanza la pressione europea russa e giapponese verso la fine dell'embargo. Agli Usa serviva trovare una scusa per:
- confermare in prima istanza la necessità delle sanzioni;
- mettere in atto una nuova strategia che prevedesse anche la rimozione/eliminazione/uccisione di Saddam.
Non può reggere all'infinito la storiella delle sanzioni all'Iraq con la scusa di Saddam e, opportunamente, da qualche tempo, le dichiarazioni di membri responsabili dell'amministrazione americana e dello stesso Clinton circa la necessità di rimuovere Saddam suonano più sincere.
È ovvio che, via Saddam e al potere un governo amico, le sanzioni cesserebbero e il petrolio iracheno riprenderebbe a fluire sui mercati, con conseguente ulteriore ribasso del già depresso prezzo del barile e/o grandi problemi nella redistribuzione delle quote in sede Opec. Vuoi vedere che gli Usa rinunciano alla egemonia totale sull'area? Sarebbe come pensare che gli interessi imperialistici americani possano crollare di fronte alle pressioni politiche delle borghesie europee e agli... "incitamenti morali" del pontefice cattolico. No, la strategia alternativa è pronta e non da oggi. In ballo c'è invece il petrolio del mar Caspio.
Lì la partita è ancora più grande. Il disegno americano è quello di sottrarre all'influenza russa ed europea lo sfruttamento di questi giacimenti trattando con i governi del Turkmenistan e del Kazakhstan l'installazione di nuovi pozzi tecnologicamente avanzati, di ulteriori trivellazioni e della costruzione di oleodotti. Questi oleodotti,, bypassando l'Iran, possono passare soltanto dall'Afganistan e Pakistan per arrivare all'oceano indiano, o dall'Azerbarjan-Armenia-Turchia e quindi al Meditterraneo. Mentre la prima ipotesi è lunga e costosa, la seconda passerebbe attraverso i territori di paesi attualmente alleati della Russia. Un percorso alternativo potrebbe essere quello di farlo passare attraverso la zona curda dell'Iran e dell'Iraq avendo come terminale sia la Turchia che la Siria.
In questo disegno americano rientra perfettamente la eliminazione di Saddam e la creazione di un governo amico degli americani in Iraq. E si spiega altrettanto perfettamente la rinuncia all'embargo: l'abbassamento del prezzo del petrolio perde qualunque rilevanza di fronte alla possibilità per gli Usa di controllare di fatto il 90% degli approvvigionamenti mondiali di petrolio, quello russo compreso.
Al medesimo scopo già nel settembre scorso il governo di Clinton ha promesso di concedere ai Curdi di Barzani e a quelli di Talabani una ampia autonomia e protezione se rinunciavano all'indipendenza delle zone di loro competenza. La cosa è avvenuta, e a quel punto occorreva fare fuori il Pkk di Ocalan, finora unica formazione curda, in territorio turco, a perseguire l'unità dei Curdi e l'indipendenza dell'area, ponendosi non solo fuori dai giochi ma contro gli interessi americani. Osserviamo di passaggio che da qui deriva la sua vicenda con la fuga in Italia e la successiva invocazione di una "soluzione politica". Ma di questo avremo ancora modo di dire.
Al fondo rimane una politica sempre più aggressiva degli Usa, che non tarderà a replicare gli attacchi all'Iraq e le politiche tese alla realizzazione del piano suddetto, e la crescente opposizione degli stati europei (Gran Bretagna esclusa, per la sua continuità economica e politica con gli Usa), della Russia e del Giappone allo strapotere americano. E in questo quadro è ovvio che l'Onu inizi ad essere travolto, e svuotato
Ciò ha grandi significati nella definizione dei nuovi fronti imperialisti contrapposti, ma è già il quadro entro cui si collocheranno le lotte proletarie ove e quando riprendessero ad affacciarsi sulla scena.
Perché tutto ciò avviene nella condizione per ora di passività del proletariato, sfruttato e dileggiato dal capitale.
Mentre quindi continuiamo a seguire le dinamiche della crisi di ciclo del capitale, conformate anche da questi rimescolamenti di carte, e coerentemente con questa analisi, chiamiamo le avanguardie proletarie a raccogliere le scarse e sparse forze per combattere più efficacemente le mistificazioni della borghesia e dei suoi servi politici e giornalistici e preparare le condizioni soggettive della nuova insorgenza proletaria.
m.jrBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 1999
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