Fusioni, che passione: avanza il "bello del capitalismo" e anche la borghesia comincia a preoccuparsi

I vari settori della produzione sono dominati da giganteschi oligopoli nazionali e internazionali. Non più, come nel passato, solo acquisti di aziende deboli da parte delle forti, ma fusioni - gestite da colossali capitali finanziari internazionali - fra grandi imprese, entro e fuori i confini nazionali. Società che hanno già liquidato o assorbito, nei rispettivi settori, le imprese minori e che ora si concentrano su specifiche attività, inglobando le aziende rimaste sul mercato, comprese quelle fino a ieri statali.

La crisi dei profitti (nel rapporto con i colossali capitali investiti), l'esigenza di riduzione dei costi e la mondializzazione del mercato, impongono al capitale queste "scelte competitive". La fase capitalistica, nella quale era possibile realizzare l'aumento dei profitti attraverso lo sviluppo della produzione, è definitivamente tramontata. La produzione è stagnante e i profitti possono aumentare, o quantomeno non diminuire, soltanto tagliando i costi di produzione. Soprattutto eliminando doppioni di sedi, sovrapposizione di uffici, unità produttive e posti di lavoro con il conseguenti massicci licenziamenti. Ed oggi tutte le industrie funzionano molto al di sotto delle loro reali capacità produttive (mediamente il 30% in meno), mentre mezza umanità manca dei beni di prima necessità e gli Stati cosiddetti emergenti hanno debiti verso le maggiori banche mondiali di ben 2.400 mld di dollari.

L'Europa è investita da questo fenomeno di mega fusioni e acquisizioni nei principali settori dell'auto, aeronautica, alta tecnologia, telecomunicazioni, farmaceutica, sull'esempio americano e sotto la spinta del mercato e della sua moneta unica. L'accentramento bancario, negli Usa e in Giappone, ha portato da sei a tre le maggiori banche mondiali. Fra i motivi comuni che spingono a queste fusioni vi sono il calo dei depositi a favore di investimenti azionari e speculativi, e il diminuito ruolo di intermediario esercitato dal sistema bancario tradizionale. Esso deve a questo punto trasformarsi in un gigantesco supermarket finanziario, con attività più di investimento che di prestito, servizi assicurativi, fondi mutui e di pensione.

Queste trasformazioni, oltre che per il peso assunto dal mercato finanziario e per le esigenze di sopravvivenza competitiva, sono inoltre dettate dai movimenti borsistici sempre più frenetici. Massimizzando il valore delle imprese con fusioni e acquisizioni settoriali, i titoli azionari sono momentaneamente trascinati in un vortice di sopravvalutazioni, manovre speculative, patteggiamenti o scontri fra i management in lizza. Le Borse salgono e scendono di fronte a una situazione economico-finanziaria ad alto rischio, con i colpi e i contraccolpi dovuti a una enorme massa di liquidità monetaria in frenetica circolazione, affamata di impossibili profitti.

All'ultimo Forum economico di Davos, in Svizzera, questa situazione mondiale ha molto preoccupato i leader planetari del capitalismo alle prese, fra l'altro, con il terremoto economico e finanziario che scuote l'Asia e l'America Latina. Fra inflazioni, deflazioni e reflazioni, occhi puntati sul Brasile dove a presiedere la Banca Centrale è stato chiamato Fraga, ex braccio destro di G. Soros, il maggiore speculatore del mondo. Il Brasile galleggia in un regime di scambio fluttuante dopo aver contratto un debito di 41,5 mld di dollari col FMI. La tendenza è quella di una totale "dollarizzazione" della economia brasiliana, al seguito di quella argentina già in regime monetario di parità col dollaro attraverso la doppia valuta. Gli Usa affilano gli artigli.

Il capitale ha comunque trovato il suo economista-filosofo-filantropo in quel finanziere Soros che vanta, nel personale curriculum di "speculatore del villaggio globale", le brigantesche operazioni contro la sterlina (e la lira) del 1992, con un attivo di 3.500 mld di lire, successivamente persi con la svalutazione del rublo. Protagonisti i suoi giganteschi fondi di investimento che però, l'anno scorso, hanno perso oltre il 24% del loro valore. Con la pretesa di disegnare il futuro ordine finanziario del pianeta, Soros va ora acquistando o vendendo milioni di azioni di società britanniche, texane, coreane, argentine. Fra cataste di carta moneta, mentre i giochi si fanno sempre più duri, il "mago della finanza" è convinto di contrastare così la crisi del capitalismo globale, ovvero di colmare la fossa nella quale sta precipitando la architettura finanziaria sognata dagli apprendisti stregoni della "Società aperta", cara alle fantasie dell'antideterminista Popper.

Ed a proposito di fosse, a Davos sembra sia stata addobbata la bara del pensiero unico liberale. Fra i cervelloni borghesi si parla ora della necessità di "un qualche tipo di controllo del traffico di capitali" (così il ministro tedesco delle Finanze). Si tratterebbe cioè di rendere sostenibile uno sviluppo che va assumendo le precise caratteristiche di un allarmante declino economico e sociale. Nessuno, in realtà, sa che pesci pigliare e si limita ad osservare le scarpe rotte e le lattine vuote che qualche sofisticato professore stacca dagli ami della propria lenza.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.