I lavoratori della "Giglio" tra rischio di licenziamento e solito sabotaggio sindacale antioperaio

Il latte fa bene, ma prima di tutto al padrone

Anche la culla del riformismo e del cosiddetto pieno impiego ossia l'Emilia, e in particolare la provincia di Reggio Emilia, è ferita dal procedere inesorabile delle leggi del capitalismo che, spinto dalle necessità di sopravvivenza nelle giungla feroce della concorrenza internazionale, non ci pensa nemmeno un secondo a stracciare accordi stipulati con "controparti" già compiacenti (il sindacato) e a buttare in mezzo a una strada pezzi grandi e piccoli di classe operaia in "esubero" rispetto all'unica cosa che veramente conti in questa società: il profitto capitalistico. Stiamo parlando della Parmalat, colosso mondiale nel campo del latte e derivati, che ha deciso di smantellare lo stabilimento "Giglio" di Reggio E. e di licenziare i circa 300 dipendenti ossia i superstiti di precedenti "cure dimagranti" avvenute dopo l'acquisizione dello stabilimento reggiano da parte della multinazionale parmense. In effetti, la "Giglio" fino a pochi anni fa, sia per numero di lavoratori sia per volume d'affari, era uno dei fiori all'occhiello della cooperazione "rossa" di Reggio, che tra aspre critiche da parte degli agricoltori associati (secondo la voce popolare ampiamente raggirati dai vertici della cooperativa, alias PDS) fu venduta o, meglio, "svenduta per due soldi alla Parmalat", come si è espresso uno scioperante al picchetto davanti ai cancelli dello stabilimento (Ultime notizie, 30 novembre). Nel dramma, anche la beffa, frutto amaro tanto delle logiche padronale che della politica collaborazionista, quindi antioperaia, del sindacato. Infatti, tra i futuri licenziati c'è un gruppo di lavoratori già a suo tempo dichiarati "esuberanti" (come suona l'ipocrita linguaggio borghese) quando l'azienda di Parma chiuse la sua fabbrica di Sermide, nel mantovano; a loro, però, fu offerta la possibilità di essere assunti alla "Giglio" (circa 70 Km da casa) con la promessa che a Reggio nessuno avrebbe più toccato il loro posto di lavoro. Così alcuni di loro si trasferirono con la famiglia nella città emiliana, mentre altri stanno ancora facendo i pendolari; tuttavia, nonostante questi sacrifici aggiuntivi, si trovano di nuovo al punto di partenza, a dover affrontare un'altra volta una "lotta inutile" (parole loro). Che il modo in cui i sindacati hanno impostato la "lotta" (le virgolette sono più che mai d'obbligo) sia inutile è dimostrato e confermato dalle iniziative messe in campo per contrastare (?) l'attacco padronale. I soliti insulsi appelli seguiti da incontri di circostanza con le autorità e i politicanti locali, dichiarazioni che fanno leva sul senso di responsabilità dell'azienda (!!!), ma, soprattutto, scioperi indetti e attuati in modo tale da evitare accuratamente di "fare male" sul serio agli interessi dell'impresa. A parte il blocco degli straordinari - il minimo del minimo - durante lo sciopero con relativo picchetto del 29 novembre, svolto senza disturbare il traffico né il politicantume centro-sinistro lì presente per motivi di bottega, sindacati e RSU hanno tranquillamente permesso che le autocisterne entrassero e uscissero dallo stabilimento per le operazioni di carico e scarico del latte fresco raccolto negli allevamenti. In pratica, il settore vitale del ciclo produttivo non è stato minimamente intaccato, cioè gli operai sono stati costretti a recitare ancora una volta il copione degli scioperi-burla (che in fondo danneggiano solo gli scioperanti) preparato dal sindacato. E pensare che in provincia di Reggio Emilia c'è ancora chi si ricorda di quando, fine anni '40-primi'50, i braccianti agricoli - nonostante lo stalinismo imperante - scatenarono lotte durissime contro gli agrari (prima fascisti e poi democratici) durante le quali i muggiti disperati delle vacche non munte, piene di latte fino a scoppiare, riempivano le campagne della "Bassa". Allora, sebbene non senza rammarico da parte degli scioperanti, non si esitava a colpire anche le povere bestie, se questo poteva servire a piegare il padrone, mentre oggi, in nome della "civile convivenza", guai ad avvicinarsi a qualche tonnellata di gomma e acciaio su cui viaggia il prezioso latte. Tutto ciò è la logica conseguenza della politica concertativa dei sindacati che non dicono mai di no alla sostanza delle richieste padronali; come ha osservato un operaio, per di più stagionale: "Abbiamo accettato ogni condizione: dai turni alle cinque del mattino a quelli di notte. Non abbiamo mai detto no e ora ci mettono per strada" (Ultime notizie, cit.).

L'insoddisfazione operaia nei confronti di sindacato e DS emersa ai cancelli della "Giglio" per noi è certamente un segnale incoraggiante, sebbene sia ancora troppo poco per poter dire se queste sono le prime avvisaglie che annunciano un'effettiva e duratura perdita di consenso verso DS e sindacati, il cui "controllo del territorio" reggiano è pressoché totale. È certo, però, che senza la presenza del partito rivoluzionario ogni critica, ogni contestazione alla sinistra borghese, integralmente antioperaia, molto facilmente si trasformerà in delusione, passività e disimpegno, a tutto vantaggio del nostro storico nemico di classe. Ci pensi sopra, chi ci legge...

Lambrusco

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.