Il carattere sociale dell'Urss

Veniamo alla questione russa. Chiaramente, con la sua ricomparsa nel 1945, Bordiga non scopre niente di nuovo: la degenerazione capitalistica dell'Urss era un fatto già riconosciuto dalla Sinistra italiana anche senza il parere del suo vecchio capo. un parere rimasto sconosciuto fino ad allora.

Qualcosa di personalmente originale cominciava però - come abbiamo già notato - ad affiorare: poich‚ i miliardari americani dominavano ovunque, era inevitabile - secondo Bordiga - che tutto il mondo, Russia compresa, fosse destinato a diventare nel giro di pochi anni un satellite americano. I dollari avrebbero presto comperato la Russia di Stalin, soffocata dagli enormi debiti di guerra contratti con Washington, e dai nuovi affitti e prestiti che sarebbe stata costretta a ricercare in campo internazionale. Lo stesso si sarebbe verificato in seguito per la Cina.

Dal 1946 al 1950 questo è il succo delle visioni e ipotesi internazionali di Bordiga, tutte smentite dai fatti successivi. Infatti, l'Urss sconfessa i debiti e rifiuta gli aiuti del Piano Marshall, continuando per proprio conto a costruire e diffondere capitalismo. Non solo, ma attacca politicamente e militarmente un po'' dovunque (blocco di Berlino, Praga, Corea, eccetera).

Riguardo alla definizione del carattere sociale dell'Urss, Bordiga ha avuto tempo e modo per una prima identificazione della classe sfruttatrice russa nel "capitalismo internazionale" e nella "dominante oligarchia burocratica interna" (1946):

In effetti la classe che sfrutta il proletariato russo - e che forse in un avvenire poco lontano potrà apparire in piena luce anche all'interno del paese - è costituita attualmente da due forme storiche evidenti: il capitalismo internazionale e questa stessa oligarchia che domina all'interno e sulla quale si appoggiano contadini, mercanti, speculatori arricchiti e intellettuali pronti a cercare i favori del più forte.

Nel 1951, nell'Appello Internazionale steso da Bordiga e poi pubblicato nel 1957, si proclama la degenerazione dello Stato russo, "in cui il proletariato non ha più il potere ", sostenendo che "lo ha in sua vece ormai una ibrida coalizione e fluida associazione tra interessi interni di classi piccolo-borghesi, medio borghesi, intraprenditrici dissimulate, e quelli capitalistici internazionali".

Nel 1952, la classe sfruttatrice viene assimilata agli effetti materiali e sociali della forma di produzione capitalistica in fase di industrializzazione. Di un capitalismo, cioè, che esprimeva tutta la sua potenza impersonale e anonima (al pari di Bordiga...) senza classi dominanti, senza "gruppi nazionali di individui". Le classi sociali... scompaiono.

Nel 1953, in polemica con "quei pezzi di fessi" di Battaglia comunista, Bordiga afferma "l'assenza attuale di una classe borghese statisticamente definibile". Ancora nello stesso anno, in una riunione a Genova e dopo la pubblicazione del suo Dialogato con Stalin, viene annunciata una prima "sufficiente definizione generale del nostro modo di considerare la Russia e la sua economia sociale". Infine (1960) Bordiga riscopre la "burocrazia statale" del capitalismo di Stato e le famose classi intermedie della piccola borghesia urbana e rurale, elevandole così anch'esse al rango di classi sociali e politiche. Addirittura classi dominanti attraverso "un patto sociale di convenienza" con lo Stato capitalista, dopo la caduta delle "mura di Gerico del capitalismo di Stato" (Programma Comunista, n. 15 - 1960), e un deprecato ritorno del "parassitismo piccolo-borghese". Siamo dunque alla visione di una Russia trasformata in "un paese governato da quei servi sciocchi del capitalismo mondiale che sono i piccoli-borghesi" (Programma, n. 24 - 1960).

Senza nulla togliere alla validità di successive pagine lasciateci da Bordiga a commento degli accadimenti storici della Rivoluzione bolscevica e sull'opera politica di Lenin, è pur vero che molta è stata la confusione da lui stesso diffusa per anni attorno a una Russia non tutta "andata" al capitalismo o "ritornata" a esso. E altrettanto dicasi per l'astratta entità applicata allo Stato russo, visto come un comitato di delega degli interessi capitalistici, a guardia di "ibride coalizioni e fluide associazioni" realizzatesi fra sottoclassi sociali, tendenze e convenienze economiche nazionali, manovrate dal capitalismo internazionale.

In Russia, e sempre secondo Bordiga, si muoveva una "borghesia recente che socialmente e politicamente lotta contro i resti feudali". Inevitabilmente sorgeva - per noi - la domanda: "su chi e su cosa porre l'accento per la definizione dei nostri avversari di classe, o dei nostri alleati provvisori, nella realtà feudale da vincere o nella recente borghesia che spiana la strada alla propria esperienza storica?". (Battaglia comunista, luglio 1952). Le risposte, sempre indirette, di Bordiga, e quindi i suoi atteggiamenti politici diffondevano ambiguità ed equivoci: "Lotta per debellare le controrivoluzioni e spingere la economia russa oltre il feudalesimo e il capitalismo, condizionata alla mobilitazione della classe operaia mondiale". La Russia, con nove decimi di resti pre-borghesi, feudali, "tende al capitalismo", mentre il potere statale si sforzava di spingere "il capitalismo in rivoluzionaria marcia sull'Asia".

Si comprende benissimo, in questo alternarsi di incerti giudizi, la prudente raccomandazione fatta da Bordiga ai compagni, ancora nel luglio 1951: "sulla analisi e definizione della odierna società russa penso che si può e si deve dire poco e con circospezione". E nello stesso anno, in una riunione a Napoli, affermava: "L'analisi della controrivoluzione in Russia e la sua riduzione in formule non è problema centrale per la strategia del movimento proletario nella ripresa che si attende, poich‚ non si tratta della prima controrivoluzione e il marxismo ne ha conosciuto e studiato tutta una serie".

Infine, con il XX Congresso del Pcus, per Bordiga e i suoi allievi si rendeva evidente "la definitiva liquidazione dello stalinismo in sede ideologica e poi politica"; solo allora - e qui siamo alla Grande Confessione bordighista! - "si chiudeva veramente il periodo rivoluzionario della Russia moderna". Il "progressista" Stalin lasciava il posto al "conservatore" Kruscev: "In altre parole, lo Stato russo non è più uno Stato in divenire, bensì è uno Stato 'arrivato'" (Programma Comunista, n. 15 - 1957). Restava solo da correggere la famosa distinzione tra il capitalismo n.1 (gli Usa) e il capitalismo n. 2 (l'Urss). Bordiga liquidava ora ogni polemica in merito ricorrendo a un'altra sottile variante tattica: "Sconfessione di ogni appoggio al militarismo imperiale russo. Aperto disfattismo contro quello americano".

L'integrazione dell'Urss nel campo imperialistico rimaneva comunque sempre per Bordiga un riconoscimento teorico senza una diretta conseguenza politica. Per la sua visione strategica, e lo vedremo in seguito, la rivoluzione "perde il tempo se non fa fuori lo Stato di Washington".

Simpatie strategiche

L'affermazione - storicamente valida per il marxismo fino al 1870 - che i lavoratori si battono con la grande borghesia contro la nobiltà, il clero e la piccola borghesia reazionaria per bloccare possibili restaurazioni feudali e dinastiche, conduce Bordiga a una conclusione "anti-indifferentista": "poich‚ lo sforzo del potere russo è oggi (1952) non verso il socialismo ma verso il capitalismo, in rivoluzionaria marcia sull'Asia", ecco che il proletariato deve continuare a... scommettere sugli esiti favorevoli o contrari delle guerre imperialiste, distinguendo le forze più giovani da quelle senili del capitalismo.

Un esempio:

È di grande importanza per il nuovo movimento proletario valutare il fatto storico che con l'alleanza di Mosca con Londra, Parigi e Washington nella guerra contro l'Asse, lo Stato russo ha contribuito alla soluzione conservatrice della guerra.

E al presente (siamo sempre nel 1952), il "movimento marxista non tralignato" fa il tifo per una sconfitta degli Stati Uniti nella futura guerra contro l'Urss; nel frattempo resta in attesa che la rivoluzione, se proprio vuol trionfare, si decida ad abbattersi innanzitutto su Washington. Inutile, e persino "controproducente", ogni altro sforzo.

Le originali direttive tattico-strategiche, tanto nello scontro imperialistico appena conclusosi e quanto per quello in preparazione, evitavano - opportunamente - il ricorso a una diretta "solidarietà proletaria politica e militare", ma invitavano a "decifrare" a tavolino quei processi storici, "adeguandovi la strategia internazionale dei partiti rivoluzionari". Ovvero, nel caso del secondo conflitto mondiale, l'errore commesso fu quello di non aver favorito "una catastrofe almeno nel centro statale di Londra" e quindi un "probabile" (ma poi non tanto...) crollo di Berlino, seguito da un incendio dell'intera Europa. Non averlo fatto, ecco per Bordiga il grave torto di Stalin.

L'Appello Internazionale - che abbiamo qua e là citato - fu redatto da Bordiga nell'estate 1951 e, secondo quanto scrisse in seguito Programma, il suo principale scopo sarebbe stato quello di "chiarire le questioni interne". Prendendo per buona una simile presentazione del documento (pubblicato dallo stesso Bordiga su Programma n. 18 - 1957), legittimo diventa il dubbio che in realtà qualcuno accarezzasse l'idea di provocare una divisione interna al partito, viste le critiche che furono immediatamente sollevate al momento della stesura del documento (1951). Nella corrispondenza allora intercorsa fra Damen e Bordiga, il primo tentò appunto di chiarire queste divergenze, invitando il secondo a meglio delineare le proprie posizioni. (Vedi "Cinque lettere e un profilo del dissenso" in Prometeo n. 3 - aprile 1952; ora anche in: O.Damen, "Bordiga, valori e limiti di una esperienza nella storia della Sinistra italiana").

Alla categoria delle formulazioni concettuali paradossali, tipica nelle costruzioni teorico-politiche di Bordiga, si può far risalire l'accenno - contenuto nel documento - all'errore commesso dallo stalinismo con la valutazione politico-strategica applicata nell'ultima guerra mondiale: "troppo tardi governo e stato maggiore russo riconoscono il potere imperialista occidentale più minaccioso di quello tedesco, agli stessi loro fini ormai di aperto carattere nazionale". E ancora una volta si dimostra che la esibizione di una "fedeltà rigorosa ai principi dell'immutabile via" non è sempre sufficiente a evitare scivoloni opportunistici, nella loro applicazione pratica sulla realtà storica. Anche se, mancando la debita traduzione in precisi comportamenti e azioni tattiche, era sempre possibile cavarsela di fronte agli estasiati ammiratori: chi mai e in coerenza con il giudizio sopra citato ("meglio, per Stalin e per noi, sarebbe stato combattere l'imperialismo occidentale che non quello tedesco") ha avuto il coraggio di scendere in mezzo ai proletari a diffondere e spiegare simili simpatie e indicazioni politiche?

Il capitalismo di stato

Nella sua tarda età, Bordiga si distingueva per le "battute", gli "sfottò" e il vizietto di attribuire ai compagni, con lui in dissenso, opinioni facili da controbattere ma lontane dal loro reale modo di vedere e giudicare. (Famosa la battuta con cui arrivò a tacciare Lenin di "gran borghese" e Stalin di "rivoluzionario romantico".). Il "vezzo" veniva imitato dai luogotenenti nelle retrovie del Centro Organico; così si accusava Battaglia comunista, accomunandola con le posizioni del gruppo francese Socialisme ou Barbarie, di ritenere l'economia dello Stato russo "nè capitalista nè socialista, per cui dovrà essere altra cosa: burocrazia, capitalismo di Stato, ecc.". E sempre a noi, "tipi spassosamente categoriali", venne attribuita da Bordiga la scoperta: "il capitalismo di Stato è nato dopo la seconda guerra mondiale, in quanto un giorno l'economia entrò nello Stato e quindi la nuova posizione: dopo il 1943 tutto è mutato..." (Programma Comunista, n. 6 - 1953).

Premesso che - come scriveva lo stesso Bordiga nel '46 - "non si tratta di una subordinazione parziale del capitale allo stato, ma di una subordinazione ulteriore dello stato al capitale", nessuno di noi si è mai sognato di capovolgere i termini del rapporto fra economia e stato. Che poi il capitalismo di stato si perdesse all'indietro nei secoli, come sosteneva Bordiga, la formuletta faceva a pugni sia con la realtà storica e sia con il marxismo, il quale analizzò nel tempo storico il classico ciclo dalla libera concorrenza ai trust e quindi al capitalismo di stato.

Sentiamo in proposito quello che sosteneva Lenin.

... Se la libera concorrenza, come regolatrice della produzione e della distribuzione, era stata sostituita nei principali campi dell'economia dal sistema dei trust e dei monopoli già molti decenni prima della guerra, il corso stesso della guerra ha strappato ai gruppi economici il loro ruolo regolatore e direttivo per passarlo direttamente al potere militare e statale". Se le prediche degli opportunisti (moderazione nelle rivendicazioni, sacrifici, eccetera) "potessero influenzare le masse operaie, lo sviluppo del capitale continuerebbe sacrificando numerose generazioni, in forme nuove, ancora più concentrate e mostruose, con la prospettiva fatale di una nuova guerra mondiale. (...) La statizzazione della vita economica, contro la quale tanto protestava il liberalismo capitalistico, è ormai un fatto compiuto. Tornare, non diciamo alla libera concorrenza ma anche soltanto al dominio dei trust, dei sindacati e delle altre piovre capitalistiche è ormai impossibile. La questione è ormai solo quella di sapere chi prenderà possesso della produzione statizzata, se lo Stato imperialistico o lo Stato del proletariato vittorioso.

Dal Manifesto dell'Internazionale Comunista ai proletari del mondo intero - Primo Congresso

Una interpretazione dell'imperialismo

Prima di proseguire sul tema della Russia, diamo uno sguardo all'interpretazione dell'imperialismo da parte di Bordiga. Il quale, nel 1956, dichiarava che l'imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo; una nuova forma politica, basata sull'aggressione e la guerra da parte di un capitalismo che rimane immutato, sempre identico a se stesso. Negando, cioè, quello che invece sosteneva Lenin: il capitalismo si evolve e si sviluppa. Sempre per Lenin, l'imperialismo è un processo di generalizzazione e di socializzazione della produzione, specie nel campo del perfezionamento tecnico-industriale e dell'invenzione.

La concentrazione porta alla monopolizzazione, quindi trascina i capitalisti stessi "in un nuovo ordine sociale che segna la transizione tra la libertà di concorrenza e la socializzazione della produzione". La produzione tende ad essere sociale, l'appropriazione rimane privata. Segue la trasformazione del capitalismo in imperialismo attraverso il potente monopolio delle banche. Al vecchio capitalismo, dove dominava la libera concorrenza, subentra un nuovo capitalismo in cui regna il monopolio, e domina il capitale finanziario. Le caratteristiche essenziali del capitalismo, in generale, restano sempre quelle; esse però continuano e si sviluppano, e...

il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorchè alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rilevarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale.

Sempre Lenin, nel suo Imperialismo

Da qui la classica definizione:

L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è incominciata la ripartizione del mondo fra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.

Il monopolio, che caratterizza l'imperialismo, è il contrario della libera concorrenza, che è la qualità essenziale del capitalismo. A sua volta, "il monopolio non elimina la concorrenza ma coesiste con essa, generando così varie contraddizioni (...) Il monopolio è la transizione del capitalismo a un ordinamento più elevato", in una evoluzione non lineare n‚ graduale, ma sempre contradditoria.

L'imperialismo sarebbe invece, e secondo l'opinione del bordighismo, solo una sovrastruttura, una nuova forma politica del capitalismo che resta immutato? Una politica staccata dall'economia del capitalismo monopolistico?

Ma sono proprio queste posizioni, incarnate allora nel vecchio socialdemocratico, e traditore Kautsky, che Lenin confuta e combatte dimostrando che il capitalismo si trasforma pur rimanendo capitalismo. E rimarcando come non venga eliminato il conflitto tra libera concorrenza e monopolio: esso sopravvive nell'imperialismo al pari del conflitto dialettico, interno alla classe borghese, tra democrazia e fascismo. Entrambi i termini, economici e politici, coesistono contradditoriamente nella realtà concreta dell'epoca storica in cui viviamo: la fase imperialistica dell'economia capitalistica. L'imperialismo continua le qualità fondamentali del capitalismo, ma sviluppa altre caratteristiche economiche sue proprie, dando ai rapporti di produzione una nuova concretezza. Ecco perchè la politica, e l'ideologia, dell'imperialismo non sono separabili dalla sua economia, nella quale si estendono tutte le contraddizioni del sistema. Fondamentalmente - per Lenin e per noi - la stessa monopolizzazione intensifica "l'anarchia inerente alla produzione capitalistica come una totalità".

In che senso si può, allora, parlare dell'imperialismo come di una sovrastruttura del capitalismo? Se - per esempio - partiamo storicamente dall'artigianato urbano, è evidente che la manifattura si eleva (lo diceva anche Marx) come una sovrastruttura della prima base. Avremo successivamente lo sviluppo del macchianario e della grande industria. E così è per le basi da cui si sviluppa il capitale finanziario.

L'industrialismo di stato

Torniamo alla questione russa e approfondiamo la scelta - da parte del Bordiga 1952 - della formula "industrialismo di stato". Meglio questa, al posto di quella di "capitalismo di stato", forse perchè in Russia nel settore agricolo (la palla al piede del capitalismo) erano presenti in gran parte solo forme di capitalismo privato? Ma nessuno di noi ha mai pensato che l'unificazione di industria e agricoltura sia un compito del capitalismo di stato invece che del socialismo. Oppure, il vero motivo del rifiuto del capitalismo di stato in Russia ("una frase - scriveva Bordiga - che in sè nulla ci dice") andava ricercato nel fatto che - come sosteneva invece Damen - "il capitalismo di stato portava il segno di classe; l'industrialismo di stato, no, lasciava le cose come stavano o come si desiderava che stessero"?

In effetti, il nocciolo essenziale della questione non era tanto quello di stabilire la più che evidente natura capitalistica del processo economico e del sistema dominante in Russia ormai fin dai lontani anni Trenta, ma quello di individuare e precisare senza alcun equivoco o incertezza le conseguenze politiche da trarre sul terreno dei rapporti di classe e nella lotta contro l'imperialismo internazionale.

Una ulteriore distinzione veniva introdotta da Bordiga fra medio-industrialismo di stato (presente in Russia) e grande industrialismo o capitalismo di stato. La sua formula faceva della Russia un paese nel quale era in corso - sempre secondo il Bordiga delle Tesine sulla Russia, in coda al suo Dialogato con Stalin - "un processo economico di impianto del modo di produzione capitalistico", dopo una rivoluzione contro il potere feudale condotta da forze "tra cui primeggiava il proletariato, ma era pressoch‚ assente una vera borghesia".

Nell'ottobre del 1951, nella corrispondenza con Damen, Bordiga sembra accettare l'assunto che "in Russia si è accumulato e investito, diffondendo industrialismo e potenziale capitalista. Sempre nella stessa forma: capitalismo. Di Stato, aggiungiamo? Sia pure". Attenzione, però: "il capitalismo russo non è la stessa cosa di quello di ogni altro paese". Perchè - la risposta è sconvolgente (da Programma, n. 3, 1953) - in Russia siamo nella "fase in cui il capitalismo sviluppa le forze produttive e ne spinge l'applicazione oltre antichi limiti geografici, formando la trama della rivoluzione mondiale socialista". Saremmo perciò stati ancora in presenza di una Russia nello "stadio della transizione al capitalismo. Stadio quasi rispettabile e non suicida". Un capitalismo "socialmente ancora da sviluppare"; e per il Bordiga del 1952, la "costruzione in Russia di capitalismo industriale" significava - dichiaratamente - "ossia basi del socialismo".

Se una vera borghesia non era stata presente al momento della Rivoluzione, figuriamoci trentacinque anni dopo l'Ottobre Rosso, quando a Bordiga risultava "affermata l'assenza attuale in Russia di una classe borghese statisticamente definibile". Ma era mai possibile - replicava Damen, secondo una "constatazione reale e storicamente inconfutabile" - che "la strapotenza dello Stato sovietico non abbia risolto in concreto il problema di una sua classe dirigente omogenea e forte per la coscienza che ha del proprio essere di classe e della funzione storica che è chiamata a compiere?".

Vero è che la formula bordighiana della "ibrida coalizione e fluida associazione, ecc." si intonava perfettamente - concludeva Damen - "con l'altra formula di una economia che tende al capitalismo. Se tende al capitalismo, vuol dire che in Russia c'è una economia che non è ancora capitalismo, per cui la classe dirigente che la esprime tende essa stessa a divenire capitalista, e non è ancora capitalista".

D'altra parte, nella lettera del 31 luglio 1951 indirizzata a Damen, e alla domanda: "quale l'economia russa odierna, quale la classe nuova, ecc.", Bordiga rispondeva: "non è questo il problema chiave". E così chiariva la sua posizione: "Come l'economia inglese nel 1793 era quanto di più avanzato e la politica quanto di più reazionario, così potrebbe accadere che un paese con evoluti caratteri socialisti della economia sociale facesse una politica di partito e di guerra borghese. Qualunque sia la verità sul processo della economia russa e sulla sua vera 'direzione', la politica di partito e la politica internazionale degli stalinisti sono egualmente fetenti".

Bordiga si arrampicava evidentemente sugli specchi, e, cercando di intendere "tutto il quadro storico internazionale marxisticamente, dialetticamente", sbandava pericolosamente. Il suo intento - così scriveva nel luglio del 1951 a Damen:

toglie molta importanza al problema che vi pare, o che pare a molti, il problema chiave: quale l'economia russa, quale la classe nuova, ecc. (...) Non che questo problema non conti, solo che la sua soluzione non risolve tutti gli altri.

Struttura e sovrastruttura, economia e politica

Dunque, la questione della natura dell'economia russa non risolveva - sempre secondo Bordiga, il determinista economico per eccellenza - gli altri problemi delle sovrastrutture. Lo stesso esempio inglese citato sembrava dimostrare soltanto che la corrispondenza tra economia e politica non fosse da intendersi nei termini di un meccanico automatismo. Ma in ogni modo, la politica svolta dall'Inghilterra nel 1793 era una politica feudale in apparenza, mentre nella sostanza, nel principio era una politica borghese.

Il gioco contradditorio dei "si" in economia e dei "no" in politica, o viceversa - rispondeva ancora Damen - veniva svolto da Bordiga tra le maglie di una dialettica formale, e con un determinismo meccanicista che sembrava negarsi soltanto per dare un rilievo preponderante a "una specie di sincronicità non soltanto temporale tra il moto delle cose del sottosuolo e il moto delle forze sociali e politiche della sovrastruttura". Ritenere che una Russia socialista (passata, presente o futura?) potesse esprimere una politica borghese, era una forzatura idealistica, la quale, - tornando all'esempio inglese - schematizzava un complesso processo storico, sottovalutando le forme ideologiche della politica borghese inglese alla fine dell'800 nei riguardi dei papisti interessati a una controrivoluzione feudale, e di un ritorno anti-Napoleone e anti-Convenzione. In realtà non vi era alcuna dissociazione dalla base economica: la politica era feudale nelle apparenze, ma borghese nei fatti, perch‚ corrispondente a una economia borghese.

E va inoltre aggiunto che non "tutte le forze sovrastrutturali inglesi erano in funzione controrivoluzionaria: lo erano in buona parte e prevalenti nella politica estera per la necessità della lotta per il predominio sul continente che la Francia minacciava". Per il resto, "vano e progressivo era il conflitto tra le nuove e ingrandenti forze del moto liberale e l'antico regime" (O.Damen).

Quanto all'esperienza storica russa, con lo sviluppo di una classe borghese all'interno dello stato, unico capitalista-imperialista che dirige l'economia, essa non contraddiceva al principio teorico marxista: lo stato è una sovrastruttura della economia, della classe, della "rete di interessi" (per dirla con Bordiga), dell'in sè della classe. "Il pensare che in tal modo lo stato perda la sua funzione di rappresentare la classe e che viceversa la classe perda la sua funzione di rete di interessi, è privilegio che lasciamo ad Amadeo" (Battaglia comunista, n. 4 - 1953). Per noi, le funzioni di classe e stato restano inalterate, anche là dove - e così possiamo definire il capitalismo di stato - "l'economia trustificata si concretizza nell'ambito dello stato, e con essa lo stato fa corpo" (O.Damen).

Nell'affrontare la questione russa, Bordiga sembrava trascinarsi appresso l'ultima sua valutazione sulla natura sociale dell'Urss, formulata nel novembre 1926 in risposta alla Piattaforma della Sinistra di Korsch: "non si può dire semplicemente che la Russia sia un paese dove si tende verso il capitalismo". Venti anni dopo, nel 1946,in un articolo sul n. 1 di Prometeo, Bordiga si muoveva con evidente difficoltà: ora la definizione era, e in conclusione, quella di "un vasto e potente capitalismo di stato", con una burocrazia di stato che "prende mano a mano le caratteristiche di un ceto padronale", e della "osmosi tra burocrazia di stato e classe del padronato" già in atto nei paesi borghesi.

Ma a una convinta valutazione della economia russa come capitalismo di stato facevano da remora, in Bordiga, alcune considerazioni su una persistente presenza di caratteri socialisti. In fondo, il dubbio che si agitava in Bordiga e che traspariva nelle sue analisi si poteva così sintetizzare: era ancora possibile un intervento politico con l'applicazione di misure in direzione di uno sviluppo delle basi del socialismo? (4) Questo dubbio si originava dalla visione dello Stato russo come "uno stato nazionale della classe capitalistica mondiale", il quale però "non ha ancora esaurito il primo compito [della sua doppia rivoluzione - ndr]: di fare di tutte le Russie un'area di economia mercantile" (Proprietà e Capitale, in Prometeo n. 4 - 1952).