Il "movimento" dopo Genova - "Riconversioni" distanti da una corretta impostazione rivoluzionaria

Com'era logico che fosse, le giornate di Genova hanno agitato le acque nel quanto mai variegato mondo di associazioni, partititi, sindacati "di base" e centri sociali che ha gestito la contestazione al vertice G8, ma anche in quell'area movimentista che, pur essendo al di fuori - e contro - del GSF (Genoa Social Forum) si pone in parte sullo stesso terreno ideologico del movimento "no-global".

In questo ultimo mese si è visto un po' di tutto. Moderate e velate autocritiche, buttate lì con il solito astruso linguaggio da politicante che sembra fatto apposta (come è) per spacciare meglio una teoria basata sul niente e una prassi politica che vive di azioni tanto ostentate e clamorose quanto pesantemente sospette di collusioni con le articolazioni dello stato. Aspre critiche e sanguinosi insulti, fino a interventi che, nel più classico stile stalinista, mirano a delegittimare e a infamare certi critici del GSF, accusandoli di parlare lo stesso linguaggio degli ex (?) fascisti di AN e della polizia (vedi, per es., Liberazione dell'11-8-01), salvo poi appellarsi a quest'ultima affinché isoli e persegua i "violenti" (più o meno esplicitamente indicati).

Tratteggiare, sia pure per sommi capi, una sintesi delle posizioni non è del tutto semplice, ma fare un po' di chiarezza in quel groviglio è utile in vista di un inquadramento di classe delle forze in campo.

Non si può allora non cominciare dalle Tute Bianche, le quali hanno visto il loro progetto politico andare letteralmente in pezzi sotto i colpi della violentissima repressione statale. La "disobbedienza civile", i "giochi di guerra" esibiti compiaciuti a televisioni e giornali, le interviste con le dichiarazioni roboanti, si sono rivelate quanto meno un tragico bluff, portando acqua al mulino di chi ritiene che tanta "disinvoltura" non ha tenuto conto dei mutamenti intervenuti nel frattempo nella scena politica. Infatti, anche senza prendere per oro colato la ricostruzione dei fatti di alcuni alti funzionari di polizia rimossi dopo Genova, già da tempo circolava "nell'ambiente" (rete telematica, pubblicazioni, ecc.) l'accusa alle Tute Bianche di concertare direttamente con la polizia sceneggiate mediatiche ossia finti scontri - comunque preordinati - per rafforzare ed estendere il loro prestigio agli occhi di giovani istintivamente insofferenti verso la società, al fine di contenere e smussarne la carica ribellistica. Insomma, non è da ieri che le Tute Bianche sono state indicate come una specie di prolungamento dei DS nel movimento, tanto che Casarini era stato qualificato come porta-borsa ombra di Livia Turco, ex ministra diessina degli affari sociali. Che tali accuse siano vere o meno non è questo il punto (anche se ci paiono più che plausibili), quanto il fatto che il percorso teorico-politico delle Tute Bianche, andando a sbattere contro la materialità delle pallottole e dei blindati, è crollato come un castello di carte, mostrando in maniera lampante i suoi colossali vizi d'origine. Se per le Tute Bianche - ma non solo - è scomparsa la classe operaia, se dunque la ricchezza non si produce più con la fatica operaia, ma ha origine nella immaterialità delle nuove occupazioni e dei nuovi settori, diventa logico assegnare un ruolo centrale a un simbolo, cioè a qualcosa di immateriale, come la famigerata Zona Rossa. Solo a chi scambia le proprie fantasie con la realtà - e/o ha assicurata la compiacenza delle istituzioni borghesi - può dare indicazioni di lotta che, oltre a essere lontane anni luce dalla questione fondamentale (il rapporto capitale-lavoro), mandano allo sbaraglio migliaia e migliaia di persone. Ma davvero c'era qualcuno, tra i capi, convinto che lo stato avrebbe permesso ai manifestanti di assaltare e invadere in massa la Zona Rossa, specialmente dopo quello che era successo a Napoli il 17 marzo scorso? Se ci fosse veramente stato un assalto in massa, invece di uno, ora dovremmo piangere decine di morti. Solamente una totale e irresponsabile incapacità di capire come va il mondo o un ripugnante cinismo che si serve dei caduti sulle piazze per squallidi tornaconti elettoralistici, può arrivare a tanto. Eppure, abbiamo assistito all'una e sentita - in un'assemblea pubblica dopo Genova - l'altra cosa.

Ma di fronte alla clamorosa e annunciata sconfitta politica, quali sono le reazioni delle Tute Bianche? Una serie di frasi ad effetto che, come si diceva, hanno il "pregio" di dire tutto e niente. Casarini prende atto che "si è esaurita la fase della disobbedienza civile [e che] bisogna passare alla disobbedienza sociale" (il manifesto, 3-8-01). Di rimando, nell'assemblea dei centro sociali del Nord-Ovest, tenutasi a Imperia alla fine di agosto, si parla della "capacità di aprire nuovi spazi della politica e della mediazione" (il manifesto, 26-8-01). Che cosa significa disobbedienza sociale, quali sono i soggetti sociali portatori di questa disobbedienza? E ancora, cosa si intende per nuovi spazi di mediazione? Con chi e per cosa? Un'indicazione in tal senso potrebbe venire dallo stesso Casarini che, mentre afferma la necessità di ripensare il modo in cui si è mosso il GSF e le analisi politiche da cui è partito, individua nuovi soggetti sociali tra i "giuristi e i volontari sanitari" presenti a Genova (il manifesto, 3-8-01), una nuova maglia della rete su cui è strutturato e ancor più si dovrà strutturare il movimento "no-global". Da questo punto di vista, niente di nuovo, dato che si insite - né altro ci si doveva aspettare - sul carattere civile, ossia interclassista, delle presunte nuove soggettività sociali.

Tra ripensamenti e "novità" c'è però un aspetto su cui tutte le componenti del GSF ribadiscono il loro accordo ed è la necessità di non dare spazio alle distinzioni, proposte dai mass media, tra "buoni" e "cattivi". Come dicevamo sul numero scorso del giornale, l'unità è un feticcio a cui viene volentieri sacrificato tutto, in primo luogo la chiarezza e la coerenza delle diverse (?) proposte politiche. Così - almeno stando a quello che si legge in giro - continueranno a convivere sotto lo stesso tetto Rifondazione, che addita il Black Bloc e i "violenti" alla repressione poliziesca, e le Tute Bianche e i Cobas, i quali invece invitano, pur criticandoli, a non criminalizzare, ma viceversa, a recuperare a un sano... riformismo, quei giovani appartenenti al cosiddetto blocco nero. Non solo, ma continueranno la coabitazione Casarini &Co., che hanno una visione magico/religiosa del capitale e della ricchezza (nascerebbero, per l'appunto dal niente, dall'immateriale, non dallo sfruttamento del proletariato) e i Cobas, per i quali, a loro dire, "è centrale il conflitto tra capitale e lavoro" (il manifesto, 15-8-01). Non è qui la sede per tornare sul riformismo radicale dei sindacatini sedicenti di base (l'abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora), ci interessa invece sottolineare una sostanziale ambiguità e reticenza da parte dei Cobas nell'esaminare il dopo Genova. Infatti, anche Bernocchi, nelle interviste rilasciate, fa trasparire una moderata autocritica ("senza più miti delle zone rosse", Liberazione, 31-8-01) evitando però di spiegare da dove e perché siano nati i miti suddetti e il conseguente catastrofico modo di muoversi, né lo "scadenzismo" - cioè la rincorsa ai grandi eventi, come se fossero l'unica ragione di vita politica - per altro criticato, adesso, da gran parte del movimento. Altrettanto poco chiaro è il riferimento (cioè dove voglia andare a parare) a quella parte del centro-sinistra che, secondo il portavoce dei Cobas, non sarebbe ostile o non avrebbe paura dei "no-global" (il manifesto, 15-8-01). Sarebbero forse i Verdi guerrafondai, certi DS "di sinistra", o chi altro? È forse un modo per assicurarsi ancora una volta una sponda istituzionale, soprattutto ora, di fronte alle misure reazionarie annunciate dal governo, tendenti a cancellare o a limitare fortemente la possibilità di manifestare nella capitale e nelle grandi città? O è parte di una strategia di più ampio respiro? Ma, del resto, anche questo non sarebbe altro che la continuazione di quanto è avvenuto finora, visto che, nonostante l'antiliberismo sbandierato a destra e a manca, Verdi e Rifondazione - che hanno sostenuto, a vario titolo, governi "neoliberisti" - sono parti importanti del GSF e dei Social Forum che stanno nascendo un po' dappertutto.

Se queste, a grandi linee, sono le posizioni delle componenti più consistenti del GSF, diversa è la reazione ai fatti di Genova da parte di quell'area che, come si diceva all'inizio, pur essendo movimentista (semplifichiamo per necessità di sintesi, n.d.r.), non si è mai riconosciuta nel GSF, anzi! Poiché è un'area dai contorni non ben definiti, si corre sempre il rischio di cadere nell'approssimazione e nella superficialità, anche perché le critiche - quasi sempre feroci - spesso non toccano il cuore della questione, ma si fermano agli aspetti esteriori, visto che una parte di quest'area condivide i presupposti teorici delle Tute Bianche e di parecchi centri sociali (scomparsa della classe operaia, ricchezza prodotta dall'immateriale, ecc.) una volta facenti parte dell'Autonomia di classe.

Mentre alcuni settori dell'anarchismo rivendicano in toto gli scontri di Genova, senza fare distinzioni tra "blocco nero" e "semplici" partecipanti alle battaglie di strada, additando contemporaneamente le Tute Bianche come delatori, collusi con le istituzioni e infami, per altri il discorso è un po' diverso. Infatti, coloro che si sentono in qualche modo i continuatori di quella che fu l'Autonomia Operaia, pur esprimendo progettualità politiche anche molto diverse tra loro, muovono critiche dello stesso tenore verso il GSF e le Tute Bianche in particolare, ma sviluppano analisi più elaborate sui fatti genovesi. Tuttavia, nella stragrande maggioranza, le critiche si limitano al "pacifismo", all'inettitudine, alla propensione al compromesso istituzionale delle Tute Bianche (per non parlare, ovviamente, di Rifondazione) non pervenendo, anche nei casi migliori, a sviluppare coerentemente con un terreno classista quelle critiche. La cosa non può stupire, visto che le sparute frange dell'Autonomia di classe sinceramente intenzionate a tener ferma la prospettiva anticapitalista, risentono comunque (poco o tanto) del grave inquinamento teorico del marxismo operato per lunghi decenni da stalinismo e socialdemocrazia (anche radicale) uniti. Liberarsi da queste incrostazioni è un processo necessariamente non facile, ma indispensabile, se si vuole lottare concretamente per il superamento di questa società.

Anche per questo eravamo attivamente presenti a Genova, come ovunque si possa e si debba far sentire la voce del programma rivoluzionario anticapita-lista.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.