Guerra pace e ancora guerra - I talebani sono stati annientati ma il conflitto non è finito

Bin Laden non si sa dove sia, il mullah Omar sembra essere scomparso nel nulla. I due principali obiettivi della guerra americana al terrorismo sono ancora uccel di bosco ma non importa, il... grande scopo è stato raggiunto: il governo dei Talebani è stato eliminato dall'Afghanistan e si è creata la prima grande premessa alla realizzazione della via di percorrenza e di controllo del gasdotto e dell'oleodotto che di lì devono passare.

Mentre infuriavano i bombardamenti dei B52 su tutto ciò che poteva rappresentare un obiettivo militare e anche su ciò che obiettivo militare non era ma che era funzionale all'esasperazione della popolazione civile in chiave anti talebana, la consegna ai media americani ed europei era di non pronunciare la parola petrolio.

L'operazione bellica doveva passare come la lotta del mondo civile contro la barbarie del fondamentalismo, della democrazia contro il terrorismo, e in nessun caso dovevano emergere i reali motivi economici e strategici che ne sono alla radice. Una sorta di complice silenzio che soltanto qua e là è stato rotto, per breve tempo e per piccoli accenni.

La recita del silenzio continua anche adesso che il nemico è stato sconfitto e che, in apparenza, altro non ci sarebbe da fare se non di "aiutare" la popolazione afgana ad incamminarsi verso la democrazia, così come recita il decalogo del perfetto colonialista.

Nei fatti, Bin Laden e Omar a parte, di cui non frega niente a nessuno se non per dare un ulteriore credito alla giustificazione originariamente fornita alla guerra, le partita inizia adesso ed è giocata contemporaneamente su due tavoli.

Il primo è quello interno. Se lo scopo dell'annientamento dei Talebani era quello di sbarazzarsi di una forza politica che aveva dimostrato di non essere affidabile per i progetti petroliferi della compagnia petrolifera UNOCAL e del governo americano, ora l'obiettivo è quello di favorire un governo ad hoc, anche se con tutti i problemi del caso.

L'ostacolo maggiore è quello di soddisfare le richieste, non tanto delle etnie, ma degli interessi che ne stanno dietro. Uno è la distribuzione delle cariche dei ministeri per la gestione del potere politico, l'altra è rappresentata dalla distribuzione dei futuri introiti derivanti dalla costruzione - manutenzione e rendita legati al passaggio delle pipelines. La diplomazia armata americana ha fatto di tutto per favorire nel governo transitorio la presenza dei gruppi etnici più importanti, non certo per garantire una soluzione "democratica" del futuro istituzionale afgano, quanto per garantirsi un governo a più largo spettro possibile in modo da non correre rischi o di correrne il meno possibile. Tra i rappresentanti delle etnie Pashtun, tajika e uzbeka, tra i Hazarà e i Pashtun che si sono combattuti per decenni, più dell'odio accumulato e della reciproca diffidenza, contano i dollari e le future prospettive di guadagno. Per Washington va bene insediare quelli che un tempo erano i suoi alleati contro l'URSS e che poi sono diventati i nemici dei suoi amici, i Talebani, che oggi ritornano ad essere alleati. Vanno bene i monarchici, gli anti monarchici, i Talebani pentiti, quelli come Dostum che hanno cambiato fronte almeno tre volte, l'importante è che questo impasto politico regga e consenta al governo americano di realizzare il suo ambizioso progetto.

Il secondo tavolo è quello internazionale, ben più complesso e difficile da comporre.

Agli esordi della guerra il governo Bush ha fortemente voluto gestire la questione da solo, andando contro gli interessi di Russia, Iran ed Europa. Suo era l'obiettivo, suoi erano gli interessi economici e strategici da non condividersi con nessuno, tantomeno con gli "alleati" competitori.

Dopo quella del Golfo e del Kossovo, la guerra afgana avrebbe dovuto consegnare all'imperialismo americano il monopolio della gestione delle risorse petrolifere più importanti, assicurargli con il dollaro quale unità monetaria di scambio le rendite petrolifere mondiali e l'acquisizione del controllo strategico dell'area euro - asiatica.

Ma proprio per questo l'ostilità dei "partner" occidentali e orientali si è fatta sentire, meno di quanto avrebbero voluto, dato il loro basso peso politico e militare, ma più di quanto l'arroganza americana si sarebbe aspettato.

In più la campagna d'Afganistan ha messo in fibrillazione stati e popolazioni che vanno dai confini caucasici della Russia sino alla Cina, passando dal Pakistan e dall'India rinfocolando vecchie diatribe, non ultime quelle del Cachemire.

Il controllo dell'impero, insomma, sta diventando un problema a cui gli USA attendono con sempre maggior difficoltà come dimostrano peraltro gli ultimi sviluppi del conflitto israelo-palestinese che proprio quando sembrava destinato a una qualche forma di composizione o di attenuazione è riesploso con rinnovata virulenza.

La conquista di Kabul da parte dell'Alleanza del Nord, che avrebbe potuto essere effettuata con venti giorni di anticipo, è avvenuta il giorno stesso in cui Putin e Bush erano a colloquio. I documenti ufficiali non sono stati resi pubblici ma è verosimile supporre che la Russia abbia strappato agli USA non soltanto mano libera nella questione cecena ma anche una partecipazione di minoranza allo sfruttamento del petrolio caspico a cui non ha mai voluto rinunciare, e per una boccata d'ossigeno per la sua disastrata e economia, e per rilanciarsi, anche se timidamente, come potenza in quell'area che per decenni è stata un suo indiscusso feudo.

Quando il governo di Washington ha riproposto il tormentone Iraq quale ulteriore obiettivo nella lotta contro gli "Stati Canaglia", si è visto rifiutare l'ipotesi da parte di Germania e Francia.

La terza guerra petrolifera ha inoltre accelerato i tempi della costruzione di un esercito europeo che in prospettiva dovrebbe limitare lo strapotere USA in termini di esercizio della forza nella gestione degli interessi economici e strategici sullo scenario internazionale. Il polo imperialistico europeo, ancora debole e contraddittorio sul terreno dell'unità, è spinto dagli eventi bellici e dalla crisi economica internazionale ad accelerare il suo cammino, pena la permanente esclusione da ogni forma di spartizione imperialistica. Nel frattempo i singoli paesi europei hanno voluto essere militarmente presenti, anche se da semplici comprimari, pur di accampare il diritto ad avere almeno le briciole dell'operazione "libertà duratura". Il tutto, come da copione, senza nominare la parola petrolio, anche se il premier Karzai, dopo la sua investitura ha dichiarato: "La caduta di Kandahar e del governo talebano aprono nuove prospettive. Ora possiamo pensare alla costruzione dell'oleodotto".

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.