Funambolismi ideologici nel libro bianco di Biagi

Nel Libro bianco sul mercato del lavoro (di cui il professor Biagi fu uno dei principali estensori, seguendo - a suo dire - una "ispirazione etica e religiosa"), colui che vende la propria forza-lavoro in cambio di una somma di denaro, cioè "il prestatore di lavoro", viene definito per l'oggi e soprattutto per il domani come "un collaboratore che opera all'interno di un ciclo". All'insegna quindi della variabilità, poiché "il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si possono alternare fasi di lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione professionale". Aggiungiamo noi: e di sempre più lunghi periodi di disoccupazione. Massima flessibilità, e quindi precarietà, provvisorietà, esclusione e massima disperazione...

Punti fermi, fra tante variabili, sono - per Biagi - le istituzioni che rappresenterebbero le "parti" presenti nella società, e il governo che al di sopra delle parti gestirebbe l'interesse generale. Le "relazioni sociali" fra istituzioni e governo hanno, negli ultimi decenni, sperimentato logiche e modelli differenti (nella forma ma non certamente nella sostanza). Dal corporativismo al consociativismo e al dialogo. Ma nella attuale situazione di avanzata crisi capitalistica,

se le parti sociali non si mettono d'accordo, qualcuno deve pur decidere e saranno il Governo e il Parlamento secondo le regole democratiche. Bisogna avere il coraggio e la volontà politica di dire che non si possono dare a tutti gli stessi diritti [o le stesse garanzie, come dice il Governatore Fazio]. Tanto più che le parti sociali non sono elette dai cittadini mentre il Parlamento sì, e questa non è questione da poco...

Dunque, eletto dai cittadini (borghesi predominanti e proletari sottomessi) è il Parlamento a decidere, attraverso la maggioranza dei partiti borghesi che di volta in volta sostengono i vari Governi, quali debbano essere le condizioni di lavoro e di vita dei proletari. Lo devono fare - è questo il bello della faccenda - ufficialmente per il bene comune, presente e futuro di tutti, ma in realtà (questo Biagi non lo dice) per gli interessi di una parte sociale - quella che detta norme politiche, etiche e religiose - ed affinché il modo di produzione e distribuzione che quegli interessi alimenta e concretizza non sia messo in pericolo dalle pretese dell'altra parte sociale.

Che un individuo faccia parte di una parte sociale (noi, per evitare almeno il pasticcio dei termini, diremo classe) o di un'altra, non dipende certo da una votazione dei cittadini, per l'appunto già divisi e contrapposti nella società. Dunque, logica borghese vuole che non sarebbe affatto una democrazia quella che fosse costretta - per qualche malsana tentazione "dell'ideologia e dell'utopia" o peggio ancora della "violenza utopica" a cui potrebbe abbandonarsi una delle parti - a riconoscere diritti di emancipazione economica e sociale uguali per tutti, mettendo cioè quelli che non possiedono nelle stesse condizioni d'esistenza di quelli che possiedono. Sarebbe una assurda utopia che anche l'etica e la religione condannano! Come volevasi dimostrare...

Stiamo seguendo il dibattito (in sintesi reso noto a fine luglio) che Biagi ebbe - due mesi prima di essere assassinato non si sa ancora bene da chi e per che cosa - con i rappresentanti della Consulta per i problemi sociali della Cei, i quali gli contrapponevano le loro "preoccupazioni etiche e pastorali" e gli raccomandavano prudenza per non esacerbare gli animi. Il timore, dichiarato: "sminuendo il ruolo del sindacato, alla fine si può sgretolare tutto". E i prelati si spacciavano per "difensori dei diritti e della dignità della persona", al pari di un Cofferati che nella conquista di diritti formali vede (o meglio fa vedere) l'emancipazione dell'individuo, ferme restando le differenti posizioni e condizioni economiche basate sullo sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale. Infatti, come precisa:

non siamo un sindacato massimalista; non chiediamo meno ore di lavoro, più stipendi e pensioni. Abbiamo solo la pretesa di difendere la dignità delle persone.

E poiché, sempre secondo Cofferati, "nella storia italiana il riformismo di stampo marxista si è sempre affiancato a quello cattolico", anche per le protezioni sociali e per i diritti gli "elementi di comunanza" sarebbero profondi e da sostenere uniti. Questo dopo aver ridotto il marxismo ad una barzelletta per i salotti episcopali e per quelli dei democratici progressisti.

"Sperimentatore pragmatico", Biagi aveva un compito, e uno stipendio, ben definito:

razionalizzare i mutamenti sociali ed economici che -- sempre a suo dire -- vanno accettati come sono: non si possono fermare, per cui al loro interno si debbono trovare e costruire le nuove regole.

Imposte dal Parlamento e dal Governo.

Biagi espone lucidamente la logica del capitale. I limiti, innegabili anche per lui, della situazione economica dominante impongono - per la conservazione dell'insieme - soluzioni obbligate. Inutile menar il can per l'aia: va legato ai principi e ai valori assoluti delle "nuove terapie e regole". Se protesta, va bastonato. Per il suo bene.

In sintesi, e Biagi lo annuncia senza mezzi termini in quel dibattito, gli imprenditori non possono più assumere a tempo indeterminato, per un posto fisso, i lavoratori a loro momentaneamente necessari. E questo lo aveva detto anche un D'Alema.

Quanto alle obiezioni ecclesiastiche rivolte a Biagi, da destra vengono respinte come "filippiche cariche di superficialità culturale e ideologismo utopico" (A Socci, Il Foglio,27/7). Soprattutto perché la Consulta Cei "non evoca mai Gesù Cristo" e non medita, come fa invece il Patriarca di Venezia, Scola, "sull'incommensurabile amore di Gesù". Un amore che giustificherebbe "la grandezza morale del compromesso contro il fanatismo ideologico, fondando una vera e sana laicità". La stessa che avrebbe ispirato il cattolico riformatore Biagi.

Seguendo quest'altra patriarcale filippica apprendiamo che l'arbitro del compromesso, in cui una parte sociale, i proletari, si sacrifica "civilmente" per il bene dell'altra, i borghesi, ritorna ad essere "la persona del cittadino, mai isolato ma immerso, fin dalla nascita, in comunità. L'arbitro, quindi, è in ultima analisi il popolo, nell'articolata complessità di diversi soggetti presenti nella compagine sociale". È questa la democrazia pienamente compiuta, la democrazia cristiana.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.