L'astensionismo di Cofferati - Tradimento o coerenza borghese?

Spira un vento gelido tra il "popolo di sinistra", tra i girotondini che fino a pochi mesi fa circondavano i palazzi del potere e animavano folkloristici raduni in difesa della Costituzione, tra i manifestanti che il 23 marzo scorso si erano riversati a Roma per difendere l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: San Sergio (Cofferati), ha deciso di astenersi alla prossima farsa referendaria. Da uomo pubblico qual è, sta difendendo questa decisione nelle interviste rilasciate a destra e a manca, nelle assemblee dei comitati per il "sì" costituiti dalla rete dell'associazioni

smo di sinistra, di fronte a un pubblico che, deluso o irritato, è ancora sotto shock per una decisione che appare assolutamente incomprensibile. Come può essere che lo stesso uomo che si è fatto promotore della più grande manifestazione della storia d'Italia, della raccolta di cinque milioni di firme per una proposta di legge sulla "giusta causa" nei licenziamenti, ora sposi pari pari il punto di vista della destra più sguaiatamente antioperaia e della sinistra vile e meschina alla D'Alema? Perché questo novello "salvatore della patria" si è messo contro tutti coloro che fino a ieri lo consideravano la carta vincente di una sinistra rinata? Effettivamente la risposta è complessa, e anche chi non ha mai creduto al mito del Cinese, né tantomeno all'equivoco di una CGIL che avrebbe ritrovato la propria identità perduta di sindacato combattivo, deve procedere per ipotesi, più che per sentenze, sulle ragioni di una scelta che ha appannato l'immagine, un tempo smagliante, dell'ex segretario della CGIL.

Prima di proseguire, è utile, però, puntualizzare alcune cose in merito al mito cofferatiano.

Si sa che il capitalismo ha perfezionato come mai prima la capacità di manipolare le masse, di creare dal niente figure mitiche che incarnano - in modo distorto - le aspirazioni, il desiderio di felicità e di riscatto di esseri umani dominati dagli spietati meccanismi della società borghese. Se l'ala destra della borghesia italiana ha partorito il pataccaro Berlusconi, che impersona il mito dell'uomo che si è fatto da sé, l'ala sinistra, con le istituzioni di quello che un tempo si chiamava movimento operaio (in primis, il sindacato) ha saputo costruire nel giro di due anni il carisma del Cinese, fino a quel momento grigia figura di burocrate sindacale. Infatti, in alcune vertenze dal valore altamente simbolico, la CGIL rifiutò di firmare accordi con la direzione aziendale, vedi, per es., alla FIAT di Cassino all'inizio del 2001, e cominciarono a volare parole grosse tra il maggiore sindacato italiano e la Confindustria. Notare che allora il centro-sinistra era ancora al governo, un centro-sinistra a cui Cofferati non aveva mai negato nulla quando si trattava di sottoscrivere accordi dai costi pesantissimi per i lavoratori. Non per niente - sono gli stessi dati ISTAT a dirlo - l'esplosione dei contratti atipici è avvenuta proprio tra il 1996 e il 2001 (il manifesto,22-05-03), quando la precarizzazione della forza-lavoro è diventata un elemento strutturale dell'organizzazione del lavoro, in linea, del resto, con quanto è accaduto negli altri paesi industrializzati. Il "Pacchetto Treu", il cosiddetto Patto di Natale, senza dimenticare la riforma pensionistica del governo Dini, portano tutte la firma della CGIL, oltre che di CISL e UIL. Ma nei primi mesi del 2001, quando la salita al governo della destra era molto probabile, la CGIL ha cominciato a costruirsi quella finta immagine di sindacato combattivo di cui si parlava più indietro. Finta perché il sindacato - nella fattispecie la CGIL - è quello che è e non può cambiare natura, come confermano, se mai ce ne fosse bisogno, i contratti settoriali e di categoria che nel frattempo ha continuato a formare a danno dei lavoratori. Naturalmente, questo non significa che tra CGIL e Confindustria non ci sia stata e non ci sia scontro reale, ma è uno scontro che si svolge tutto sul terreno borghese, che non si sogna nemmeno di mettere in discussione i rapporti capitalistici. La nuova immagine impressa da Cofferati al suo sindacato si è andata definendo con la vittoria elettorale del centrodestra, interpretando il ruolo dell'anima vitale della sinistra, contrapposta a quella anemica e smidollata dei Fassino e dei Rutelli; l'apertura al movimento no-global e la "clamorosa" presa di posizione contro la guerra sono momenti cruciali di questo percorso. L'operazione è ampiamente riuscita, tanto che, senza l'intervento massiccio della CGIL, mai avremmo visto cortei oceanici sfilare per le vie delle città. Improvvisamente, tutti (o quasi) hanno dimenticato l'appoggio dato dai confederali (e dunque anche di Cofferati) alla guerra in Serbia nel '99, tutti (o quasi) hanno scordato la promessa di sciopero generale contro l'ennesimo episodio di aggressione dell'imperialismo anglo-americano, uno sciopero, di fatto, mai avvenuto.

Indubbiamente, tra i partiti del centro-sinistra e Cofferati si è svolto il classico gioco delle parti, pienamente riuscito, per altro, come testimoniano le recenti elezioni amministrative, in cui i DS hanno tratto profitto dalle mobilitazioni di questi mesi, ma è probabile che il disegno politico del Cinese non abbia mai coinciso totalmente con quello ultra moderato di D'Alema-Fassino. Le grigie figure di questi politicanti, il loro piatto moderatismo politico, non potevano e non possono suscitare entusiasmi, né, dunque, risvegliare energie da mobilitare contro un governo che si distingue da quelli precedenti quasi solo per la volgare rozzezza dei suoi componenti.

Solamente un personaggio che sappia trascinare le folle, che sappia parlare loro, può assolvere il compito di rianimare una sinistra ridotta allo stato comatoso.

Partito di lotta e di governo, diceva di se stesso il PCI negli anni '70. Oggi,Cofferati deve aver ritenuto che è possibile riprendere, in versione aggiornata, quello slogan, aprendo ai movimenti della "società civile", ai cattolici "progressisti", altro pezzo importante del movimento no-global. Insomma, Cofferati non ha mai pensato che le mobilitazioni da lui stesso promosse o benedette potessero avere altro sbocco che il parlamento, i DS e l'Ulivo, sia pure rinnovato. Questo, il Cinese, lo spiega chiaramente ad ogni piè sospinto (vedi l'intervista rilasciata all'Espresso n.22-2003). Per lui, l'eventuale allargamento dell'articolo 18 si deve fare attraverso una legge e non attraverso un'arma, quale il referendum, che darebbe troppo spazio all'iniziativa della "piazza", alimenterebbe i "massimalismi" di una certa sinistra e dividerebbe il "popolo" che si è mobilitato in questo ultimo anno e mezzo.

Probabilmente Cofferati ha ragione a sospettare che il referendum sia una trappola tesagli da Rifondazione - diretta concorrente politica - per "sputtanarlo" e intaccare così il suo prestigio agli occhi della "società civile".

In un'intervista a Radio Popolare del 28 maggio scorso, Cofferati giustamente osserva - seppure da un'ottica borghese - che un'eventuale vittoria dei "sì" non estenderebbe automaticamente l'art.18 alle piccolissime imprese, perché poi ci vuole una legge che questo governo non è disposto a fare (ma nemmeno uno di centro-sinistra...); rincara poi la dose con un'altra considerazione, di per sé ovvia, ma ridicola per come è presentata, ossia che i milioni di lavoratori fintamente autonomi (i Co.Co.Co.) sarebbero comunque esclusi dai (possibili) benefici dell'articolo in questione. Verissimo, ma è come se (sempre accettando il terreno borghese), in un naufragio, potendo salvare solo pochi naufraghi, si distruggesse l'unica scialuppa disponibile lasciando annegare tutti. Per non parlare, ovviamente, dell'ipocrisia di chi, in quanto ex segretario della CGIL, ha dato un contributo fondamentale al dilagare delle forme più infami di precarietà.

Indubbiamente, i promotori del referendum hanno giocato un brutto tiro al sig. Cofferati, forse i suoi avversari diessini hanno stappato champagne per il suo calo d'immagine, e la candidatura a sindaco di Bologna può essere un mezzo per togliersi dai piedi uno scomodo personaggio; o forse, per la memoria corta dei "popoli", il referendum è solo una momentanea battuta d'arresto della carriera politica del Cinese. Non ci è dato di sapere con matematica certezza quali nuovi veleni antiproletari si stiano là preparando nei corridoi del potere borghese; conosciamo però l'antidoto universale contro l'intossicazione parlamentare e riformista: la ripresa della lotta di classe.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.