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Home ›Iran: vincono i conservatori - Ma una nuo nuova elite avanza...
La coalizione Abadgaran (Costruttori dell'Iran islamico) si è aggiudicata la tornata elettorale per il rinnovo del parlamento iraniano. Mai come questa volta la competizione ha assunto aspetti così virulenti, esacerbati di sicuro dal fatto che queste elezioni hanno avuto, per il partito del clero, valenza di un definitivo regolamento dei conti coi riformisti di Khatami. È stato fatto di tutto per vincere. Alla vigilia sono stati chiusi quotidiani riformisti così come tantissimi candidati, soprattutto alla periferia, sono stati esclusi dal Consiglio dei Guardiani, l'organismo dei giuristi islamici, in quanto di orientamento riformista. La competizione quindi non si può certo definire libera né tantomeno corretta e tutto questo diventa paradigmatico di una situazione nuova a cui sono correlate analisi ed esigenze anch'esse col marchio della novità.
Forse uno degli aspetti più appariscenti delle guerre di Afghanistan e Iraq è stato quello di aver catapultato l'esercito USA ai confini della repubblica islamica dell'Iran determinando con questo, al di là della retorica antiamericana di routine, nel paese che fu di Zoroastro la necessità più che incombente di dover fare i conti con Satana in persona. E così accade che il doversi raffrontare col nemico per antonomasia venga avvertito sia dal clero sciita ultraconservatore che dai riformisti con diversità che riguardano più il modo dell'approccio che la sostanza del medesimo. I primi propendono per una normalizzazione sotterranea, condotta in maniera molto discreta, che sostanzialmente veda riconosciuto all'Iran un ruolo importante nel progetto di stabilizzazione dell'area al contrario dei secondi che di tali colloqui con gli USA intendono farne oggetto di dibattito pubblico per evidenti ragioni di bottega. Prescindendo dal dibattito politico in atto resta la necessità avvertita dall'entourage economico e politico di uscire dall'isolamento e ritagliarsi un adeguato ambito di agibilità. Vero è che permane il potere degli esegeti più conseguenti del khomeinismo che tende a preservare le strutture politiche e i metodi ereditati dal periodo rivoluzionario e dalla guerra contro l'Iraq. Altrettanto vero è tuttavia l'operare del blocco riformista orientato a far uscire il paese dal conservatorismo politico, sociale e culturale che lo ha tenuto soggiogato per 25 anni. Lo scontro autentico verte però, come sempre, intorno agli interessi economici; del resto in un paese dove il 70% dell'economia è statale è abbastanza ovvio che i conservatori rappresentino gli interessi dei monopoli di stato, della burocrazia ad essi legata, del commercio quando invece i riformisti danno voce alla piccola imprenditoria privata, ai neoliberisti fautori delle privatizzazioni ed a quanti sperano che, smantellando i controlli statali, si possano eliminare anche privilegi e mafie connesse. Oltre a questo, in Iran gioca un ruolo molto importante un'economia, diciamo pure, informale che rappresenta un buon 30% del PIL che così sfugge a qualsiasi conteggio. I settori portanti di questo comparto fantasma sono costituiti dal lavoro nero, inteso in senso classico, quello dell'artigianato e delle piccole fabbriche in cui lavorano donne e bambini, anche sotto i 15 anni, senza che le autorità religiose abbiano niente da eccepire. Poi viene il settore delle Fondazioni, quello più corposo e importante, con annessi all'incirca 10 miliardi di dollari di PIL sommerso all'anno. Esse furono create nel 1979 in concomitanza con l'esproprio di grandi patrimoni e la nazionalizzazione di banche, manifatture, industria chimica e automobilistica perché ne assumessero la gestione. Guidate da figure influenti del clero e come tali importante base del regime si trasformano via via da organizzazioni politico/religiose in soggetti economici, holdings operanti in vari settori, finanche nell'industria petrolifera. C'è poi il traffico della droga nel quale le "gloriose" Guardie della Rivoluzione gestiscono lucrosi affari. Alla fine troviamo il microcosmo dei Bazar con annesse attività illegali come l'usura, per dirne una, per un giro d'affari di quasi 5 miliardi di dollari l'anno. I commercianti, i bazari, principale forza d'urto della rivoluzione khomeinista, sono i sostenitori della nomenclatura ora al potere. Grazie a questo, hanno tratto i profitti più cospicui dalla guerra contro l'Iraq che se da un lato è costata oltre 1 milione di morti di proletari iraniani dall'altro ha favorito l'arricchimento di loschi affaristi a cui è stata data la possibilità di speculare sulle sovvenzioni statali e sui cambi agevolati. Le dinamiche interne iraniane stanno però favorendo l'insediamento di una nuova é lite, nata dalla rivoluzione, dal clero, dalla repubblica islamica e dalla stessa guerra. È una é lite che ha frequentato i licei, ha avuto al contempo responsabilità politiche nonché la possibilità di andare a studiare in università estere e che al rientro in patria si trova bell'e pronta una solida base economica fornita dalle politiche di privatizzazioni portate avanti dall'ex presidente della repubblica Rafsanjani sin dal 1990. Potentati economici come l'Associazione degli specialisti hanno tutto l'interesse nel cercare di aggregarli in quanto, sebbene spesso conservatori sul piano politico e sociale, sono ultramoderni negli affari e soprattutto liberali in materia di rapporti internazionali: il classico passe-partout tramite cui aprirsi verso l'esterno e soprattutto il personale politico con cui sostituire (il quando dipende dall'evolversi della lotta tra le varie fazioni) le é lite tecnocratiche ed islamiche attualmente al potere. Al bando quindi le istrionerie, sano pragmatismo negli affari e soprattutto nelle relazioni internazionali. Ben vengano pertanto gli accordi sul nucleare con i quali la Francia ha saputo giocare al meglio le sue carte: il bisogno di tecnologie è grande e, tenuto conto dell'ostracismo americano, l'iniziativa europea fa comodo. In quest'ottica va valutato il progetto della Renault relativo alla costruzione di uno stabilimento di automobili e di altri progetti similari che vedono nel sistema Iran una più che possibile riproduzione del sistema Cina. Quali che siano gli interessi in gioco la situazione della classe operaia iraniana tenderà a peggiorare. I dati sono molto eloquenti: in Iran esiste una popolazione attiva di quasi 20 milioni di persone a fronte di una popolazione di 70 milioni, e di questi 4 milioni sono disoccupate. A rappresentare e tutelare i loro interessi c'è nessuno: gli ex sinistrorsi son tutti diventati neoliberisti ed i riformisti blaterano solo di liberalizzazione. Sul piano sindacale poi il discorso si fa tragico laddove si pensi che in Iran è prevista, essendo i sindacati illegali, una "Casa del Lavoro" legata ad un falco ultraliberale come Rafsanjani. Gestire il malcontento che esiste rincorrendo illusioni riformiste è solo demenziale in quanto una pur minima ripresa della lotta di classe non può non passare attraverso organismi rappresentativi gestiti dal basso e soprattutto attraverso la costituzione di un partito autenticamente di classe.
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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