Gli Usa preparano l'attacco all'Iran?

Dalla Casa Bianca Bush lancia nuovi segnali di guerra

Sono diventati ormai molti i segnali di un possibile attacco degli Usa l'Iran. In questi ultimi mesi la campagna mediatica statunitense e israeliana circa il pericolo costituito dall'Iran per la stabilità di tutto il Medioriente si è fatta serrata e visti i precedenti della guerra in Afghanistan e in Iraq il rischio che si apra nuovo fronte è molto più probabile di quanto si possa pensare. La rozzezza statunitense nel costruire il casus belli non fa allontanare l'amministrazione americana dallo schema finora adottato nelle recenti guerre per il controllo dell'area più importante per la gestione del petrolio. Come in un vecchio film visto e rivisto, l'accusa che viene mossa dagli Stati Uniti al governo di Teheran è quello di lavorare, non tanto segretamente, al progetto di costruire degli ordigni nucleari e costituire pertanto una minaccia per Israele e per gli altri paesi del Medioriente. Tutti ricordano che sono state le armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, che proprio in queste ultime settimane la stessa Casa Bianca ha ufficialmente affermato che non esistevano, a giustificare la seconda guerra del Golfo.

Le smentite del direttore dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica Mohamed El Baradei circa il possesso e/o la preparazione dell'atomica da parte dell'Iran, probabilmente rischiano di fare la stessa finer che fecero quelle degli ispettori dell'Onu circa il possesso delle armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein.

La seconda accusa mossa contro l'Iran, che rende ancor più evidente le tentazioni belliche da parte degli Stati Uniti, è quella di essere il paese che maggiormente finanzia ed arma la guerriglia in Iraq ed in Afghanistan. Tutto d'un colpo vengono scaricate sull'Iran le difficoltà degli Stati Uniti di chiudere i conflitti ancora aperti nell'area mediorientale. Se la democrazia non si è ancora affermata in Afghanistan e in Iraq questo è dovuto al governo di Teheran che con i suoi infiltrati ostacola il processo di pacificazione nei due paesi confinanti. In altre parole per la Casa Bianca ed il Pentagono l'esportazione della democrazia nel mondo per avere un pieno successo deve passare sul cadavere della Repubblica Islamica iraniana, costi anche un'altra guerra.

I progetti statunitensi di scatenare una guerra contro l'Iran sono ormai di dominio pubblico anche se allo stato attuale l'attacco non sembra proprio imminente. L'Iran è un paese vastissimo, dal contesto geografico molto variegato e con una popolazione di 70 milioni di abitanti. L'insieme di questi fattori impone agli Stati Uniti di essere molto accorti nei preparativi bellici. Non è una cosa semplice attaccare un paese dalle caratteristiche come l'Iran, un paese che a differenza di Afghanistan e Iraq possiede una discreta difesa antiaerea ed inoltre può mettere in campo una batteria di missili a media gettata di costruzione russa capace di attaccare e affondare le portaerei a largo del Golfo Persico.

Un secondo elemento che potrebbe rallentare gli impulsi bellici dell'imperialismo statunitense è sicuramente rappresentato proprio dal pantano afghano ed iracheno; i programmi statunitensi di chiudere le due guerre in pochi mesi si sono scontrati con una realtà politica e militare alquanto diversa. Sia in Afghanistan che in Iraq l'armata statunitense sta incontrando ostacoli difficilmente preventivabili prima del conflitto, tanto che a quasi due anni dalla chiusura ufficiale della seconda guerra del Golfo non passa un solo giorno senza che l'esercito americano o quello dei suoi alleati non registrino morti o feriti. Nei loro ottimistici progetti si aspettavano che gli iracheni e gli afghani avrebbero accolto i soldati americani come dei veri liberatori dalla tirannide a cui erano sottosposti, in realtà l'ostilità e l'odio contro le truppe d'invasione è stata così tanta che per gli americani è stato finora impossibile costruire una reale alternativa politica ai precedenti governi.

Per molti osservatori gli Stati Uniti attualmente non sarebbero in grado di sostenere un altro fronte bellico prima di chiudere i conti con i due fronti ancora aperti. Le difficoltà militari e finanziarie derivanti dall'eventuale apertura di un terzo fronte sarebbero insormontabili anche per la prima superpotenza imperialistica del pianeta. Ovviamente le considerazioni degli osservatori borghesi non colgono fino in fondo le reali cause che stanno alla base della politica guerrafondaia degli Stati Uniti in questi ultimi anni. La crisi economica è di una gravità tale che per l'imperialismo americano controllare la gestione del petrolio è diventata una necessità dalla quale non possono più prescindere. Se è vero che l'attuale gruppo di potere alla Casa Bianca è l'espressione di una lobby economico-finanziaria che trae dalla guerra lauti profitti, le cause dei conflitti imperialistici sono da ricercare nelle contraddizioni del processo d'accumulazione capitalistico. Non fare la guerra per gli Stati Uniti significa mettere a repentaglio il controllo della rendita petrolifera dalla quale traggono annualmente qualcosa come oltere 500 miliardi di dollari, necessari per compensare in parte il proprio deficit commerciale con l'estero. Per come si è strutturata l'economia americana in questi ultimi decenni non è ipotizzabile che il petrolio possa essere venduto utilizzando una moneta alternativa al dollaro, per esempio l'euro, senza che gli Stati Uniti non giochino fino in fondo la loro carta migliore, ossia quella militare. La guerra è diventata un affare per le lobby al potere ma anche una necessità per l'imperialismo statunitense per mantenere il proprio dominio sul mondo. Non sappiamo se e quando scatterà l'attacco contro l'Iran, ma gli elementi provenienti dall'economia e i messaggi della politica non lasciano molti dubbi circa il pericolo di un nuovo drammatico fronte di guerra.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.