Avanti poco indietro tutta! Il governo abortisce un altro piano d'azione

Con poco più di 6 miliardi a disposizione, rastrellati dal fondo di rotazione come ultima spiaggia, l'impatto di qualsivoglia decreto in favore della competitività diventa risibile secondo la stessa logica del capitalismo. La Confindustria non può che brontolare per i pochi sgravi fiscali concessi e scalpitare di fronte alla stagnazione di una produzione industriale ormai fanalino di coda europeo. Infrastrutture, ricerca scientifica e tecnologica sono indicati come i cardini indispensabili di un rilancio industriale competitivo, seguiti dal blocco delle importazioni di merci contraffatte pur escludendo per ora l'introduzione di dazi protettivi. Le speranze, da destra a sinistra, sono quelle di una diminuzione dei costi aggiuntivi della commercializzazione e di una maggiore produttività dell'uso, già in costante diminuzione, della forza lavoro impiegata nei processi produttivi (ma anche in quelli dei servizi). Da qui la necessità, per la "pace sociale", della proposta sindacale: un qualche ritocco all'indennità di disoccupazione (il Governo offre una indennità del 50%, i Sindacati chiedono il...60%!) e un rifinanziamento della Cassa integrazione. Quanto ai prodotti contraffatti provenienti dall'estero (Cina in primis) si denuncia la perdita complessiva in Europa di 250 mila posti di lavoro: meglio quindi disoccupati cinesi che non europei.

Seguendo le 122 pagine contenenti gli articolati del proclamato "piano d'azione per lo sviluppo", approvato dittatorialmente dalla maggioranza governativa (ma con l'opposizione la musica non cambierebbe), si ingigantisce il fossato esistente tra le esigenze della conservazione capitalistica - produzione per il profitto attraverso lo sfruttamento intensivo della forza lavoro - e quelle delle condizioni di vita dei lavoratori e del proletariato in generale. Qualche dato ufficiale: nelle grandi imprese in un anno sono scomparsi 11.694 posti lavoro, con una contrazione dell'occupazione del 2,7%. Quanto agli stipendi, nel 2004 sarebbero aumentati del 2,1% con una inflazione ufficiale del 2,2. Il sottosegretario di un ormai spettrale Welfare, Sacconi, vede solo l'aumento di addetti nei servizi (+ 0,8%) e ne fa l'obiettivo principale, come anche sostiene il redivivo Tremonti, per il rilancio dell'azienda Italia. La triplice sindacale commenta: "Esiste una questione sindacale" e di conseguenza "ci vuole una politica salariale adeguata", dove al recupero di qualche manciata di euro faccia da contro altare una adeguata remuneratività per il capitale e per la competitività delle sue merci. Intanto si va avanti con un deficit pubblico (2004) pari al 3,2% del Pil: così comunica l'Istat che nello stesso giorno si vede bloccato il proprio sistema informatico e perde così una serie di dati chiave, come quelli articolati sul Pil e sull'indebitamento delle pubbliche amministrazioni. Da notare che l'unità disco in questione operava senza una unità di scorta. La credibilità dell'Istat è ormai al lumicino, nonostante i compiacimenti governativi e i provvidenziali finanziamenti ricevuti per sanare il suo bilancio aziendale. Risultato: calcoli con un carattere solo preliminare e cifre insicure, sufficienti però a fornire al Governo una minima boccata di "profonda soddisfazione" pre elettorale. In sordina, l'Istat si è visto nel frattempo costretto a ritoccare al rialzo (in media dello 0,4%) i deficit degli anni passati: nel 2001 dall'iniziale deficit dell'1,4% si è ora arrivati ad ammettere un suo aggiornamento al 3%, mentre il saldo primario (differenza tra entrate e uscite dei conti pubblici senza calcolare gli interessi pagati sul debito) continua a peggiorare: dal 3,2% del 2002 si è arrivati al 2% nel 2004. Secondo le propagandistiche visioni governative, la pressione fiscale (gettito tributario più gettito per contributi sociali) risulterebbe diminuita nel 2004 scendendo dal 42,8% del 2003 al 41,8. Ma ecco il trucco: nel 2003 erano stati conteggiati quasi 20 miliardi di euro provenienti dalla sanatorie fiscali e pari a un punto e mezzo del Pil. Sempre secondo il Governo, in un primo tempo quelle sanatorie non avrebbero dovuto contare, in modo che già nel 2003 la pressione fiscale fosse da ritenersi in diminuzione rispetto al 41,9% del 2002. Parola dell'ineffabile Schifani. Altro colpo di bacchetta magica e il "ragionamento" non vale più per il 2004, ovvero dal gettito annuale del 2003 non vengono separate le cifre dei condoni e così nel raffronto esce la... "riduzione fiscale". Dall'opposizione si tenta di sostenere il contrario, a sua volta ricorrendo a qualche manipolazione e falsificazione di dati. Quindi, in presenza di una somma fra imposte dirette e indirette che va comunque misurata su un Pil leggermente aumentato, si tace sul fatto che se la classe borghese ha visto una diminuzione delle imposte complessivamente gravanti su di essa, la classe operaia ha subito invece, direttamente o indirettamente, un aggravio di tasse e balzelli vari.

Come stanno in realtà le cose? Dal 2003 al 2004 il carico fiscale (tasse e contributi, questi in definitiva pagati dai lavoratori anche quando figurano a carico dei padroni!) è aumentato dello 0,3% per i single e dello 0,8 per famiglie monoreddito con due figli a carico (Ocse). Per quanto riguarda gli aumenti di imposte locali, contributi e addizionali, la Cgia di Mestre ha segnalato un aumento del gettito dell'addizionale Irpef del 145,2% tra il 2000 e il 2003 e del 157,3% per l'addizionale comunale e il gettito Ici (17%). Colpa, ha commentato il solito Sacconi, "degli aumenti delle retribuzioni dei lavoratori", i quali avrebbero visto (?) salire i salari in media di circa 500 euro tra il 2003 e il 2004. Si tace sempre sulle differenze tra salario lordo e salario netto, quando per uno stipendio cosiddetto medio-alto il risultato è di circa 7.000 euro in meno.

Siamo consapevoli che a questi calcoli non si interessano affatto gli esperti borghesi i quali, tutt'al più, concludono per una immutata pressione fiscale su tutti i "cittadini" del Bel Paese.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.