L'attentato alla moschea di Samarra, preludio di altre guerre

Dopo tre anni di democrazia d'importazione l'Iraq sprofonda

La grande cupola d’oro della moschea Askariya, a Samarra, risalente al califfato abbaside di Al Mutasim non c’è più. Uno dei maggiori mausolei sciiti in Iraq è stato distrutto. C’è chi dice sia stato attaccato da un gruppo di uomini armati mentre altre fonti parlano di un missile lanciato contro la cupola. La prima reazione all’attentato ha trovato espressione in veri e propri pogrom contro i sunniti con centinaia di morti, 168 moschee assaltate e di cui molte date alle fiamme, ulema assassinati. C’è stata una caccia al sunnita di cui le responsabilità più gravi sono riconducibili all’ayatollah Al Sistani, capo riconosciuto del Consiglio superiore per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), la cui longa manus militare, le milizie Al Badr, squadroni della morte a tutti gli effetti, hanno avuto modo di mettere a ferro e fuoco centinaia di moschee in poco tempo. Vien da pensare che se il tutto non fosse stato preordinato a tavolino tale tempismo forse non avrebbe avuto modo di trovare concreta espressione. D’altronde non si capisce come sia stato possibile l’attentato essendo Samarra città sunnita, facendo parte del famigerato triangolo sunnita, con una sua popolazione tra le più ostili alla presenza americana ma soprattutto essendo stata letteralmente sigillata dalla “coalizione dei volenterosi” per tutto l’intero perimetro con un terrapieno e considerato che il compito di proteggere la moschea era stato affidato all’esercito nazionale il cui 90% è costituito da elementi sciiti delle brigate Al Badr. C’è da ritenere che c’entrino veramente i sunniti, Al Zarqawi, Bin Laden o altre figure mitiche o non sarebbe magari più realistico dare una sfoltita al novero delle opzioni? D’altro canto anche il nazismo tentò di accreditare la versione che ad incendiare il Reichstag fossero stati gli ebrei. Possiamo essere anche smentiti ma la convivenza ultrasecolare tra sunniti, sciiti, curdi e turcomanni li ha portati quasi mai, al di là delle dispute teologiche, alla distruzione di luoghi di culto. È percezione diffusa che possano essere altri i veri burattinai o anche i bari che stanno giocando questa partita. Giorni addietro l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, con fare surreale dichiarava alla CNN che il peggio era passato con l’avvalorare ancor di più una certa immagine di confusione e di straniamento che è propria degli USA in una fase in cui tentano di riprendere il controllo di una situazione che tende a sfuggir loro di mano. La tornata elettorale di dicembre ha risolto pressoché niente; i partiti che si avvalgono di milizie armate non hanno provveduto a scioglierle e i conflitti che avrebbero dovuto trovare un punto di mediazione in sede parlamentare continuano a trovare soluzione più puntuale per le strade con morti e ammazzamenti quotidiani. Le scarne cifre fanno riferimento ad una “resistenza” di circa 400.000 combattenti Baath, dell’ex-esercito nazionale, di gruppi di fedayn e di altre milizie islamiche con un incremento del 35% su base annua e con attacchi contro le forze della coalizione sull’ordine di 120/130 al giorno. A ciò si aggiungano gli oleodotti fatti saltare ripetutamente fino a ridurre quasi a zero l’export di petrolio e con un saldo di vittime americane, tra morti e feriti, che non attiene certamente alle cifre ufficiali ma a parecchie migliaia di più. A volersi liberare dei “liberatori” non sono soltanto i saddamisti. Il dopo-Samarra è stato punteggiato da grandi manifestazioni di piazza in cui la gente innalzava le bandiere nazionali irachene e gridava slogans contro gli occupanti “ameriqi”. Una guerra ripugnante e meschina ha avuto, paradossalmente, la capacità di raggiungere questo risultato! Altro che scontro religioso o confessionale! Ciò che è stato sbrigativamente etichettato come guerra civile è uno scontro tutto politico per il potere in cui ci sono tanti attori con importanza ed incidenza diverse. Allorquando il Baath iracheno sostiene che le stragi susseguenti all’attentato di Samarra facciano parte di un copione che vede contrapposti, su suolo iracheno, gli USA e l’Iran non è che vada, in larga parte, tanto lontano dal vero. Si ragiona, è vero, su semplici ipotesi, più o meno plausibili, ma sta di fatto che la tanto sbandierata “transizione” è solo formalmente conclusa. Gli USA, nel tentativo di contenere e neutralizzare una resistenza sempre più forte e radicata, avevano, da un anno a questa parte con la “Conferenza di riconciliazione” del Cairo, cercato di sedurre e inglobare un certo moderatismo sunnita che avrebbe anche dovuto fungere da argine alle velleità sempre più invasive di una gerarchia sciita legata a filo doppio con Teheran. Poteva andar bene il “caos creativo” che distoglieva talune pressioni sugli americani, poteva andare ancor meglio una spartizione su basi confessionali con l’avallo del nazionalismo iraniano che aveva mire sulla zona sciita di Bassora, salvo poi subdorare il rischio a ciò connesso, ossia portare praticamente l’integralismo degli ayatollah ai confini con le monarchie filo-americane con tutti gli incalcolabili rischi strategici e geopolitici. Si trattava quindi di contenere gli sciiti iracheni e i loro padrini iraniani: gli uni in quanto, alla luce delle posizioni di forza conquistate, al pari dei curdi, grazie proprio all’appoggio e alla protezione degli americani, non accettavano questo ridimensionamento che li avrebbe penalizzati soprattutto in un nuovo ipotetico Iraq liberato dalle forze della coalizione, gli altri in quanto avevano necessità di ricostituire una solidarietà islamica in funzione antiamericana e antisraeliana. È in tale contesto che si situa l’attentato di Samarra, a dimostrazione di un risiko in cui tutti giocano su più tavoli una guerra che dopo tre anni di obbrobri è lungi dall’essersi risolta e che, anzi, ha tutte le caratteristiche di una ulteriore espansione soprattutto in contesti assai limitrofi.

E sì che la fine del (cosiddetto) comunismo avrebbe portato un’epoca di pace e di prosperità...

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.