Ancora repressione militare in Birmania

La brutale soldataglia contro i proletari è al servizio dell’imperialismo

Ennesima tragedia di una frazione del proletariato internazionale nelle grinfie dell’imperialismo. Da una parte le potenze emergenti come Cina e India, e non solo, che vogliono preservare i loro interessi nel paese, dall’altra l’odiato regime militare al potere che esercita una dura repressione di stato, composto da una casta privilegiata e corrotta che governa da oltre quaranta anni una delle nazioni più povere del mondo.

Le proteste sono scoppiate lo scorso mese di agosto in seguito all’aumento del 500% del prezzo della benzina, e conseguentemente dei trasporti e dei generi di prima necessità. A muoversi per primi in modo organizzato sono stati i monaci buddisti ai quali si è subito unita la popolazione, stanca della miseria in cui vive e dei soprusi dei militari.

La mobilitazione dei monaci evidentemente non è stato un fatto casuale, ma un piano preparato da tempo che doveva trovare la situazione giusta per attuarsi. Troppi sono gli appetiti occidentali per le ingenti risorse naturali della Birmania, evidentemente qualcuno vuole recuperare il terreno perduto a causa della concorrenza delle potenze emergenti.

Non a caso i religiosi hanno marciato verso la casa di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione agli arresti domiciliari che aveva vinto le elezioni nel 1990, esito evidentemente non previsto dalla giunta militare, invalidato subito dopo con conseguente arresto e persecuzione degli avversari politici. Oggi come allora la violenta repressione si è abbattuta sui dimostranti, ma il regime scricchiola e le manovre per la sua uscita di scena sono cominciate. Naturalmente gli attori principali non si trovano in casa, ma è dallo scontro interimperialistico che si determinerà un nuovo esito.

La stampa borghese ovviamente approfitta del caso Birmania per far passare l’idea, ancora una volta, che all’origine del fallimento del regime c’è una imprimitura, un marchio d’origine comunista, quale causa di disumanità e miseria. Tale accusa viene giustificata dal fatto che il paese una volta liberatosi dal colonialismo inglese nel dopoguerra, per primo viene riconosciuto dalla diplomazia dell’ex Unione Sovietica, e che tra i due stati si instaura da allora un lungo rapporto di “amicizia”.

Il colpo di stato militare nel 1962 condotto dal Generale Ne Win, il quale copia il modello collettivista sovietico, viene spacciato come “via birmana al socialismo” guidato da militari “marxisti”. Questa merce avariata venduta per quattro soldi come comunismo, ma in tutto e per tutto si trattava del più brutale capitalismo, attraverso le nazionalizzazioni delle maggiori industrie e delle materie prime, ha permesso l’arricchimento della stretta cerchia di borghesia militare al potere, mentre dilagava la povertà tra la popolazione.

Successivamente, dopo i massacri del 1988, la caduta dell’Urss e il nuovo vento liberista che spirava all’orizzonte, il regime si adeguava alla nuova situazione aprendosi maggiormente al mercato internazionale, facendo ingenti affari con la vendita all’estero delle principali ricchezze del paese: gas, petrolio, legname, pietre preziose, oppio.

All’inizio degli anni novanta i primi a sfruttare le enormi risorse del sottosuolo, la Birmania è tra i maggiori detentori mondiali di gas naturale, furono la Total francese e l’Unocal statunitense, i cui investimenti sono ancora oggi i più considerevoli effettuati da investitori stranieri nel paese. La messa in opera del gasdotto fu affidata all’italiana Saipem del Gruppo Eni.

Tutta l’operazione che doveva portare il gas dal gigantesco giacimento del mare delle Andatane fino in Thailandia fu una tragedia per la popolazione locale, in quanto i militari per preparare il terreno al percorso della pipeline e alle sue infrastrutture sgombrarono villaggi con la forza commettendo atrocità di ogni genere, riducendo la stessa popolazione locale ai lavori forzati per costringerla a lavorare al progetto praticamente a costo zero. Le stesse multinazionali furono accusate di complicità con l’esercito.

Ai vecchi predoni occidentali oggi se ne sono aggiunti di nuovi: Cina, India, Russia. In particolare la Cina è la potenza emergente che ha gran voce in capitolo in quel paese. Negli ultimi anni è diventata il maggiore investitore e ha ottenuto dal regime quasi tutte le concessioni per lo sfruttamento di gas e petrolio, e cosa importantissima il permesso di costruire la pipeline che dal porto birmano di Sittwe porterà il petrolio medio orientale alla provincia cinese dello Yunnan, evitando strategicamente la rotta attuale dello stretto di Malacca, molto più lunga e meno “sicura”.

Ogni angolo della terra dove sono presenti gli idrocarburi è potenzialmente un luogo di conflitto. Le risoluzioni dell’Onu contro i regimi dittatoriali che non rispettano i diritti umani nascondono tanta ipocrisia, e sono la foglia di fico, soprattutto dell’occidente, per coprire i propri misfatti. Ancora recentemente il regime militare birmano ha ricevuto indirettamente, tramite l’India, elicotteri da combattimento i cui componenti sono prodotti da europei e americani.

La stessa India, decantata quale democrazia emergente in contrapposizione all’antidemocratica Cina, con la quale concorre ferocemente per la supremazia in oriente, ha dato un esempio di ciò che veramente è la democrazia borghese.

New Delhi fino a tre anni fa sosteneva decisamente Aung San Suu Kyi e il suo partito della Lega per la democrazia, poi la fame energetica che contraddistingue India e Cina e la gara per il diritto di effettuare prospezioni per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio, ha prevalso. L’India ha abbandonato l’opposizione birmana e ha iniziato a rifornire di armi la giunta del generale Than Shwe.

Gli affari sono affari e il capitalismo è capitalismo in tutte le sue versioni, democratico o autoritario. Non è questa falsa alternativa, tutta ideologica, che può risolvere le misere condizioni del proletariato, soprattutto di quello della periferia del capitalismo.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.