La questione meridionale oggi

Mafie, sommerso, economia criminale nel sud Italia

In Italia è sempre stato agitato lo spettro di un certo eccezionalismo meridionale, con la forma di incompiutezza dello sviluppo capitalistico, di infinite sopravvivenze feudali, mafie di origine rurale, una plebe precapitalistica (1) e così via. La corrente della sinistra comunista ha dalle sue origini combattuto questa visione della “questione meridionale”, dimostrando la natura completamente capitalistica dell’economia del Sud Italia e delle sue stesse contraddizioni (2).

ll contenuto preso negli ultimi decenni dall’ideologia dell’eccezionalismo ruota, inevitabilmente, attorno alle mafie e alla peculiare abnormità del sommerso e delle attività criminali finalizzate al profitto, interpretate come ostacoli da rimuovere al fine di uno sviluppo “normale” del capitalismo nel Mezzogiorno (i presunti ostacoli, quindi, passano per non capitalistici o almeno per devianti rispetto al corso naturale del capitalismo).

Le argomentazioni di questo tipo di ideologia sono sostanzialmente le stesse, pur con delle variazioni formali nel copione.

Abbozziamo di seguito una prima analisi della “questione meridionale” oggi, sollevando l’evidenza della natura propriamente capitalistica delle attività criminali, illegali e irregolari con valenza economica. Natura capitalistica per nulla anomala: le forme, la mole e l’intensità che questi fenomeni hanno assunto negli ultimi decenni sono strettamente legate alle necessità scandite alla borghesia dalla crisi strutturale più lunga che il capitalismo abbia mai vissuto (3).

Nella distinzione tra economia sommersa, illegale, criminale e legale c’è costitutivamente un che di artificioso. A interessarci in questa sede è la possibilità di usare queste categorie per tracciare un quadro analitico di alcuni caratteri dell’economia meridionale, dietro cui ci sono povertà, forme brutali di schiavitù salariale, sperequazioni, violenze che la nostra classe subisce. Per praticità di lettura e approfondimento ci atterremo alla definizioni ufficiali dell’OCSE (4), recepite a livello internazionale (5). Indicheremo pertanto:

  • per economia sommersa l’insieme di attività economiche lecite per tipologia ma che sfuggono alla cosiddetta “diretta osservazione” della pubblica amministrazione per evasione fiscale, elusione delle leggi sul lavoro e sulla previdenza;
  • per economia illegale le attività economiche proibite dal codice penale, per esempio la vendita di droga, o attività che non sono illegali in quanto tali ma che vengono svolte da soggetti non autorizzati, come un aborto operato da una mammana, le scommesse clandestine, la vendita al minuto di sigarette di contrabbando.

L’economia legale comprende tutte le altre attività classificate come produttive dai sistemi di contabilità nazionale. Le definizioni internazionali pongono come sinonimi economia illegale ed economia criminale; noi qualificheremo quest’ultima secondo l’accezione più ristretta, quale sottoinsieme composto da attività proibite dal codice penale per la loro natura e non per l’illegalità nel loro svolgimento: la differenza, cioè, tra contrabbando di droga e di sigarette.

Il peso dell’economia sommersa nel Mezzogiorno

In Europa e negli USA il sommerso copre una quota significativa dell’economia di difficile stima, che si valuta approssimativamente tra il 5 e il 20 per cento (6) a seconda dei Paesi; nel 2004 (7) in Italia la percentuale di sommerso sul PIL si collocava in una cifra tra il 16,6 (circa 230 miliardi di euro) e il 17,7 (246 miliardi di euro) per cento, secondo le caute stime dell’ISTAT.

Queste cifre significano un numero enorme di lavoratori costretti a vendere la propria forzalavoro nell’ambito del sommerso.

Nel 2004, in Italia, i lavoratori occupati sono stimati in 24,29 milioni; di questi 2,8 milioni (ca. l’11,5%) sarebbero “non regolari” (8). A ciò bisogna però aggiungere che il dato relativamente alto di lavoratori “regolarmente occupati” risente dell’artifizio contabile nel registrare come lavoro regolare gli esiti della precarizzazione (9), nonché della Legge Bossi-Fini che dal 2002-2003 ha fatto risultare migliaia di immigrati come lavoratori regolari (anche se è notorio che per i lavoratori immigrati non esiste corrispondenza, per lo più, tra realtà e contratto). Dietro le cifre del lavoro regolare si nascondono dunque quote probabilmente significative di lavoratori che ordinariamente lavorano in condizioni extracontrattuali.

Osservando i dati per regione e aggregandoli per aree (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud) emerge che nel Mezzogiorno la percentuale di lavoratori in condizioni di lavoro “irregolari” ammonta a oltre il 170% della media nazionale, ad oltre 2 volte e mezzo quella delle regioni del Nord e al 185 per cento del Centro Italia:

Area Sommerso
Italia 13,4%
Nord-ovest 8,3%
Nord-est 9,3%
Centro 2,3%
Sud 22,8%
Tab. 1. Fonte: La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali. ISTAT 2005

Senza il ricorso ad attività in nero, o grigie (parzialmente occultate), molte imprese non riuscirebbero affatto a sopravvivere.

Per capire la situazione del Sud di oggi bisogna prendere le mosse dagli anni Settanta, quando si avvia la crisi economica del capitalismo internazionale che si prolunga sino ad oggi, informando di sé anche le particolarità regionali del sistema capitalistico. A differenza di quelle regioni che nel Nord conoscono amplissimi processi di ristrutturazione, le regioni del Mezzogiorno patiscono violentemente una concorrenza internazionale che le vede quasi del tutto disarmate.

La crisi impone alla borghesia italiana la chiusura dell’epoca del sostegno economico all’industria meridionale, per indirizzare altrove le risorse necessarie a garantire complessivamente dei profitti alla classe dominante (10).

Negli ultimi tempi la crisi dell’industria meridionale ha fatto registrare una riduzione del 3,9%, circa 34 mila posti di lavoro in meno, soprattutto per la competizione di paesi come la Cina e l’India nei settori a più bassi livelli di costi del lavoro. (11)

La “desertificazione economica” (12) nel Sud rende per lo più insostenibili anche i costi fortemente ridotti garantiti dalla flessibilità e dal precariato; per ottenere quote di profitto la borghesia meridionale sta tendendo ad accentuare il ricorso alle attività economiche in nero o in grigio (13).

I lavoratori che subiscono le condizioni irregolari senza altra fonte di reddito sono al Sud il 26%, quasi tre volte la percentuale del Centro- Nord, dove invece è più alta la quota di chi ha un’occupazione regolare ma è costretto ad un secondo lavoro in nero per mettere assieme un salario capace di sostentarlo (8,3% contro il 7,4). Le variazioni del tasso di irregolarità sono forti nei vari settori. Nel Mezzogiorno l’80% dei lavoratori agricoli è irregolare (680 mila persone), il 60% nelle imprese di costruzione (320 mila operai), il 33% nei servizi di carattere privato (910 mila), il 28% nelle industrie (220 mila) (14).

Il carattere proprio del sommerso negli ultimi anni è la destrutturazione, cioè la perdita del suo profilo originario. Nel 2002 le imprese del sommerso erano il 22,3% delle unità produttive, nel 2005 scendono al 9,7% (5% al Centro-Nord, 17% al Sud contro il 34% del 2002). Aumenta però il ricorso delle imprese regolari a forme di lavoro extracontrattuali. Cresce l’occupazione irregolare in imprese in nero, 12,9% nel 2002 e 14,2% nel 2005, con un aumento nel Sud e nel Nord-Est e una riduzione nel Nord-Ovest e nel Centro. Gli immigrati rappresentano il 60% dei lavoratori irregolari (15), in particolare concentrati nel Centro-Nord, mentre al Sud a essere coinvolti sono soprattutto giovani e disoccupati.

Redditi e condizioni economiche nel Mezzogiorno

Povero, più povero, poverissimo. Così il Newsweek (16) ha titolato nel 2005 la sua inchiesta sul Meridione, che se fosse un Paese indipendente sarebbe il più povero della Comunità Europa. Da uno studio (17) che ha incrociato dati relativi alla qualità della vita (attraverso alcuni indicatori quantitativi, come numero asili, centri sociali per anziani ecc., a prescindere quindi dalle percezioni di qualità), all’occupazione, alla ricchezza prodotta il Sud risulta essere “il fanalino di coda” dell’Europa, compresi i Paesi dell’Est. Risultano addirittura allarmanti dati come il tasso di mortalità infantile nel primo mese di vita: Calabria e Basilicata registrano un tasso del 5,7 per mille, il 400% dei dati del Nord Europa e il doppio del resto dell’Europa mediterranea.

Da un’analisi della media dei redditi netti delle famiglie, distinte in base alla fonte di reddito e all’area geografica, emerge chiaramente l’accentuata inferiorità del reddito nel Sud Italia:

- Nord Centro Sud e Is. Italia
Lavoro dip. 34.445 33.351 26.586 31.699
Lavoro aut. 42.206 35.843 27.885 36.613
Pens. e trasf. pubblici 21.597 24.228 18.672 21.148
Da Cap. 34.296 21.532 12.103 23.293
Tab. 2 - Media Reddito familiare netto (esclusi i fitti imputati) per famiglie - anno 2004 - Fonte: Reddito e condizionim economiche (2004- 2005), Istat 28/12/2006

Tralasciando i valori insignificanti del reddito da capitale, notoriamente dati dall’imponente evasione fiscale di borghesia grande e piccola, che i dati riportati recuperano solo parzialmente con una stima per difetto del sommerso, bisogna aggiungere a questa tabella un altro dato.

ll 62,3% delle famiglie è al di sotto dell’importo medio indicato in tabella per la forte polarizzazione della ricchezza tra le classi (18), e il 50% non supera i 1863 euro mensili.

Al Sud il reddito medio è di circa 3/4 quello del Nord; in tutte le regioni meridionali il reddito è inferiore alla media nazionale, mentre non c’è regione del Nord dove non sia più alto. Includendo nel calcolo del reddito anche gli affitti imputati il divario cresce dal 24,5 al 27,3%, senza comunque modificare “la struttura delle relazioni precedentemente descritte” (19).

Isolando il quinto dei redditi inferiori risulta una forte concentrazione nel Meridione. A rientrare in questa fascia di reddito è difatti il 38,5% dei nuclei familiari del Sud e delle Isole, mentre al Nord vi rientrano il 10,5% e al Centro il 12,7%.

Nettissimo il divario tra gli estremi: in Sicilia 46,6% e in Basilicata 42,5%, in Toscana 8,1% e in Emilia Romagna 8,7%.

Nei due quinti superiori (redditi alti e medioalti) vi sono al contrario il 49,8% delle famiglie settentrionali, il 47,1% del Centro e appena il 21,1% del Sud e Isole.

Per dare un significato più concreto a queste cifre osserviamo i dati statistici che analizzano il disagio avvertito nelle varie regioni d'Italia.

Regione Arriva a fine mese con molta difficoltà Non riesce a sostenere spese impreviste È stata in arretrato con le bollette Non riesce a riscaldare la casa adeguatamente Non ha avuto soldi per alimentari Non ha avuto soldi per spese mediche Non ha avuto soldi per vestiti necessari
Piemonte 11,4 20,8 6,0 3,1 3,8 7,3 13,6
Valle d'Aosta 6,0 19,9 4,9 2,3 5,5 8,6 10,3
Lombardia 9,6 20,1 4,8 3,0 5,6 6,7 11,9
Trentino Alto Adige 4,4 16,2 2,5 3,6 3,2 4,8 7,7
Bolzano-Bozen 5,3 18,9 2,7 3,8 4,1 6,2 9,6
Trento 3,6 13,7 2,2 3,5 2,4 3,6 6,0
Veneto 10,6 25,5 6,5 8,1 5,3 7,4 13,5
Friuli-Venezia Giulia 10,0 25,5 5,0 5,8 4,9 6,5 12,5
Liguria 10,5 20,4 5,3 5,5 3,8 8,0 11,4
Emilia-Romagna 9,1 20,9 5,4 4,5 5,7 6,9 10,4
Toscana 11,5 19,9 5,8 6,5 4,2 8,5 11,3
Umbria 9,9 29,9 8,4 9,8 5,5 9,3 14,9
Marche 13,0 26,6 5,2 8,0 6,2 9,1 15,0
Lazio 14,7 27,0 9,7 8,5 5,0 10,6 16,7
Abruzzo 14,0 29,5 10,9 11,5 3,9 11,9 16,9
Molise 11,5 22,8 9,1 5,9 1,8 10,7 10,9
Campania 25,7 41,5 16,6 24,7 7,2 24,1 29,6
Puglia 23,6 40,8 13,4 19,2 9,8 20,3 33,1
Basilicata 22,5 29,1 12,3 12,9 5,8 14,2 26,2
Calabria 17,5 46,5 16,0 23,8 7,8 26,3 22,5
Sicilia 25,0 50,5 19,1 27,8 7,3 22,0 31,5
Sardegna 20,7 40,3 8,8 19,9 6,6 14,6 23,2
Italia 14,7 28,9 9,0 10,9 5,8 12,0 17,8
Tab. 3 - Indicatori percentuali di disagio economico per motivo del disagio e regione - per famiglie con le stesse caratteristiche - Dati provvisori anno 2005 (condizioni verificatesi almeno una volta nell'anno precedente l'intervista) - Fonte: Reddito e condizioni economiche in Italia (2004-2005), ISTAT 28 dicembre 2006

Secondo dati Istat, punte di particolare disagio avvertito si riscontrano in Campania, dove 1/4 delle famiglie non arriva alla fine del mese; in Sicilia, dove oltre la metà delle famiglie non è in grado di affrontare spese improvvise; in Puglia dove quasi il 10% ha incontrato difficoltà a comprare alimentari e 1/3 non ha potuto acquistare l’abbigliamento necessario. Oltre 1/4 dei calabresi non è riuscito a coprire le spese mediche. In questa condizione complessiva l’economia illegale assicura

una posizione relativamente stabile all’interno del mercato del lavoro a una massa di popolazione dotata di qualificazione medio-bassa. Dagli impiegati regionali agli addetti al commercio al dettaglio, passando per gli operai edili, il modo di produzione mafioso [...] crea un bacino occupazionale duraturo, di massa, serializzato. (20)

D’altro canto la borghesia trova nella forma mafiosa la possibilità di far profitto, anche in un contesto economicamente fragile come quello meridionale all’interno della crisi. Dagli anni Settanta si rafforza inoltre il definirsi di una mafia finanziaria, che

sull’onda dell’esaurimento dei margini di profitto nei mercati dell’edilizia e dell’industria pubblica, si candida con successo a un ruolo di intermediazione delle transazioni finanziarie che nascono a partire dall’esigenza di riciclare i capitali accumulati nelle attività illegali, organizzando una rete sovranazionale che, sulla scia della globalizzazione dei mercati, conosce uno sviluppo tumultuoso. (21)

Le mafie tra sommerso, economia legale e criminale

Per la borghesia il crimine paga. A livello internazionale l’economia criminale conta un capitale accumulato di 1.500 miliardi di dollari, il 5% del “valore netto della produzione complessiva mondiale” (22). Le condizioni economiche meridionali fanno sì che le mafie rappresentino le maggiori multinazionali presenti sul territorio, e che il giro d’affari delle attività criminali superi i 90 miliardi di euro. Questo fatturato ha fatto parlare della mafia come della prima impresa nazionale. A questa definizione i media hanno riservato la massima amplificazione, anche se in realtà si stima il fatturato complessivo dell’economia criminale, che le mafie, quindi una pluralità di imprese e cosche, gestiscono in media per il 45 per cento. Resta rilevante comunque li fatto che ci si riferisce a cifre paragonabili solo a quelle dell’Eni, al doppio di quelle di Fiat ed Enel, a dieci volte quelle della Telecom (23).

- Euro movimentati Gestita dalle mafie
Usura 30 mld 36%
Racket 10 mld 95%
Furti e rapine 7 mld 15%
Truffe 4,6 mld 20%
Contrabbando 2 mld 80%
Pirateria e contraffazione 7,4 mld 70%
Abusivismo 13 mld 20%
Agro-mafia 7,5 mld -
Appalti e forniture 6,5 mld -
Giochi e scommesse 2,5 mld 80%
Totale 90,5 mld 45%
Tab. 4 - Il giro d'affari criminale - Fonti: il manifesto 25/7/06; la repubblica 23/10/2007

Il ricorso all’economia criminale non è una devianza dalla norma capitalistica. Nelle forme particolari che concretamente si danno nei vari contesti regionali, tale ricorso viene favorito dalla crisi strutturale del capitalismo. È il ciclo economico a condizionare il mercato, quindi da una parte la produzione di merci illegali consente opportunità di valorizzazione del capitale altrimenti irrealizzabili, dall’altra la speculazione finanziaria e il parassitismo, tratti propri della fase suprema del capitalismo, trovano nel segmento illegale-criminale una naturale incubatrice. Nella classe dominante ciò comporta non solo il rafforzamento delle organizzazioni criminali e dei capitalisti collusi con esse, ma una vera e propria compenetrazione di tutte le frazioni borghesi, mafiose e non, in ordine a interessi e affari comuni, che sostituiscono semplici relazioni di scambio (24). Il diffuso paradigma di una mafia parassita di capitalisti- vittime è pertanto fortemente parziale: pur se effettivo considerando determinate relazioni, fossero anche migliaia, dal punto di vista complessivo della borghesia non coglie la realtà.

Le attività estorsive, tra l’altro, diventano esse stesse canali per instaurare rapporti nei quali tutte le parti traggono un utile, anche i “vessati” con benefici che spaziano da appalti e forniture a privilegi di natura clientelare e così via. Se da una parte si tratta di un incontro di fatto di interessi all’interno di una relazione fondata sulla violenza e il timore di ritorsioni, dall’altra si normalizza una volontaria contrattazione dei termini della partecipazione allo stesso affare, a partire dalla

predeterminata consapevolezza di poter aumentare gli introiti attraverso gli accordi. E spesso uno dei due contraenti è rappresentato dalle istituzioni. (25)

Ne risulta un’unitarietà fondamentale che sovrasta le conflittualità e le frizioni all’interno della classe dominante, e conferisce un tratto peculiare alla borghesia meridionale.

Quest’unitarietà trova modo di esprimersi in convergenze reali sia attraverso i meccanismi economici propri del capitalismo, sia, come scrivevamo sopra, coi canali aperti da attività criminali come l’estorsione; ma un aspetto da non trascurare è il contatto personale che mette in essere affari e comuni strategie. Uno dei punti di contatto privilegiato tra esponenti mafiosi e altri borghesi è diventata dagli anni 1970 la massoneria:

molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria, [...] perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso da quello punitivo che ha Cosa Nostra. (26)

Nelle logge coperte di Reggio Calabria, nel “Centro sociologico“ di Palermo, nella “Iside 2“ di Trapani e nell’obbedienza “Camea” è documentata la presenza sistematica di esponenti delle cosche, e che le logge sono centri di incontro con la borghesia locale. Così come nelle logge massoniche, anche in alcuni club di servizio della borghesia (Rotary, Kiwanis, Lion) possono crearsi cenacoli di scambi privilegiati e di tessitura di reti tra borghesi, esponenti delle mafie, della politica e delle professioni liberali (27).

Se per la borghesia sono affari dorati, per i lavoratori si tratta di imbarbarimento delle condizioni di lavoro e vita. L’assenza di alternative e la cronica disoccupazione costringono a lavorare spesso al di là dello stesso istinto di autoconservazione. Nel Sud esistono migliaia di piccole fabbriche, difficilmente stimabili, dove lavorano adolescenti, donne, immigrati, con i polmoni avvelenati e le mani segnate dai materiali tossici, dalle colle, dai fumi, con orari che sfondano le 12 ore; sono ancora numerosissime le mutilazioni sul lavoro, e le morti si contano ogni 22 giorno. Ma perdere questo significa perdere ogni possibilità di salario. Con un’evasione scolastica del 24% e una percentuale di minori in condizione di povertà pari a 29,1, esclusi minori immigrati e rom (a fronte di una media nazionale del 17%, comunque seconda in Europa dopo la Grecia) al Sud sono migliaia i minori che entrano da bambini nell’economia sommersa, finendo spesso a nutrire la manovalanza delle mafie. I lavoratori si trovano fortemente isolati e del tutto esposti al ricatto e alla minaccia. I collegamenti nella classe e la saldatura delle lotte sono ostacolati dalla concorrenza e dalla dispersione.

Le ideologie dell’eccezionalismo meridionale contribuiscono, in buona o in cattiva fede, all’accentuazione di queste debolezze prodotte nella classe lavoratrice.

L’obiettivo diventa sconfiggere le mafie, far emergere il sommerso, contrastare i mercati illegali verso l’inconsistente mito di un capitalismo pacifico, produttivo e dinamico. Le declinazioni del meridionalismo spaziano dalle tesi ultra-liberiste a quelle del riformismo più o meno radical, ma convergono invariabilmente nella conservazione del capitalismo. Ma in questi termini non si può nulla. “Il problema del Mezzogiorno è un problema di classe” (28) e come tale va affrontato per interrompere con la lotta di classe un circolo vizioso che ricattabilità e frantumazione dei lavoratori blindano come senza uscita.

Mario Lupoli

(1) A. Bordiga, Il rancido problema del sud italiano, Prometeo II serie n.1, Novembre 1950.

(2) L. Procopio, Questione meridionale e globalizzazione del capitale, Prometeo V serie n.15, Giugno 1998.

(3) Rimandiamo alla vasta trattazione della crisi sui numeri precedenti di Prometeo.

(4) Handbook for Measurement of the Non-observed Economy, OECD 2002.

(5) United Nations, Eurostat, IMF, OECD, Word Bank (1993), Resolution on the fifteenth International Conference of Labour Statisticians, January 1993, concerning statistics on employment in the informal sector; R. Hussmanns (2003), Defining and measuring informal employment, Bureau of Statistics - International Labour Office, Geneva - Switzerland.

(6) Cfr. Indagine Censis, 1998-2002.

(7) Cfr. La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, ISTAT 2006.

(8) Cfr. ibidem.

(9) “La tendenza alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, in termini di orario, durata e attivazione di nuove forme di contratti (come, ad esempio, il lavoro interinale) ha contribuito sensibilmente ad accrescere, nel periodo considerato, il livello dell’occupazione regolare” (Dossier 5: L’economia sommersa e il lavoro non regolare, ISTAT 2005; La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, ISTAT 2004).

(10) Procopio, cit., Prometeo , Giugno 1998.

(11) A. Bevere [a cura di], Questione meridionale e questione criminale. Non solo emergenze, Quaderni di Critica del diritto, 6/07, Napoli 2007, Edizioni Scientifiche Italiane.

(12) Procopio, cit., Prometeo V serie n.15, Giugno 1998.

(13) Cfr. A. Bellavista, Il lavoro sommerso, Torino 2000, Giappichelli.

(14) Cfr. A. Bellavista, cit., Torino 2000.

(15) Cfr. Indagine Censis condotta per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presso 747 testimoni provinciali, individuati tra i rappresentanti del mondo dell’impresa e del lavoro (Cisl, Cgil, Confartigianto, Confcommercio, Confindustria, Cna, Ugl e Uil), delle Istituzioni (Inps, Inail, Camere di Commercio, Servizi per l’Impiego) e del mondo delle professioni (Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro e Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti), Rapporto CENSIS 2005.

(16) B. Nadeau, Poor, Poorer, Poorest, Newswek 2005; 26 sett./3 ott.

(17) M. Bonati, R. Campi, Nascere e crescere oggi in Italia, Roma 2005, Pensiero Scientifico Editore.

(18) Cfr. Reddito e condizioni economiche in Italia (2004-2005), ISTAT dicembre 2006.

(19) Ibidem.

(20) V. Scalia, La mafia ai tempi del postfordismo, Dei Delitti e delle Pene, 3, 2003.

(21) P. Messina, Che cosa è Cosa Nostra, in Limes 2/ 2005 “Come mafia comanda” 22- Ibidem 23-Cfr. “Sos Impresa”, Rapporto 2006 Confesercenti.

(24) Cfr. E. Fantò, Massomafia ‘Ndrangheta, politica e massoneria dal 1970 ai giorni nostri, Roma 1997, Edizione Koinè.

(25) G. Montag, Napoli, il welfare è criminale, 30/ 10/2002, narcomafie.it ; “in una recente inchiesta sui lavori di ristrutturazione della ferrovia Circumvesuviana di Napoli, è emerso che talune imprese affidatarie si sono indirizzate volontariamente all’operato di società edili sub-appaltatrici legate ai clan, ottenendo lavori di bassa resa con costi e guadagni esponenziali”.

(26) Dichiarazione di Leonardo Messina alla Commissione parlamentare., seduta del 4 dicembre 1992.

(27) Agostino Cordova, post-fazione a F. Forgione - P. Mondani, Oltre la Cupola, Milano 1993, Rizzoli.

(28) A. Bordiga, cit., Prometeo II serie n.1, Novembre 1950.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.