Elezioni politiche Berlusconi vince, ma Veltroni non perde

Con la scomparsa della falsa sinistra radicale si è chiuso un intero ciclo politico

Se ci si attiene alla semplice conta dei voti, l’ultima tornata elettorale si è conclusa senza ombra di dubbio con la netta vittoria della colazione di destra guidata dal Pdl di Berlusconi, con la sconfitta del Partito democratico guidato da Veltroni e la debacle della Sinistra Arcobaleno che è stata letteralmente spazzata via sia alla Camera che al Senato. Ma se si va oltre i numeri nudi e crudi, e si colloca il dato elettorale nel più generale processo politico che lo ha determinato, ci si accorge che in realtà la linea di demarcazione fra sconfitti e vincitori è meno netta di quanto appaia, soprattutto per quel che riguarda il neonato Partito democratico.

Nel moderno sistema capitalistico, infatti, in conseguenza dei poderosi processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali, nonché dell’affermarsi del capitale finanziario nelle sue forme più evolute (capitale fittizio), ha determinato una concentrazione del potere tale per cui il parlamento da luogo di mediazione, sia fra le diverse componenti della borghesia che fra questa nel suo insieme e il proletariato, si è, nel corso del tempo, trasformato in un semplice luogo di ratifica di decisioni prese, fuori di esso, nelle ristrette alcove del potere economico-finanziario.

Pertanto, nella misura in cui, in parlamento potevano accedervi anche forze che anche solo formalmente rappresentavano interessi e istanze sociali non del tutto collimanti con le esigenze della conservazione capitalistica, la democrazia borghese di tipo rappresentativo è divenuto sempre più un impaccio da rimuovere ad ogni costo. E questo è stato compito che il Pd si è dato sin dalla sua nascita.

Alla luce dei risultati elettorali, dunque, e in considerazione del fatto che, così come auspicato, un intero ciclo politico si è definitivamente chiuso, è dunque difficile sostenere che il Pd sia stato veramente sconfitto. Ha preso invece una sonora batosta la cosiddetta sinistra radicale. Ma contrariamente a quanto è apparso solo in minima parte questa sconfitta può essere addebitata alla campagna elettorale condotta contro di lei da Veltroni e soci.

La cosiddetta sinistra cosiddetta radicale deve infatti la sua scomparsa dalla geografia politica parlamentare innanzitutto all’essere, le forze che la compongono, un residuo del vecchio Pci e, in ultima istanza, del riformismo stalinista. Non avendo mai mutato il loro dna, non hanno compreso, poco importa se in buona o cattiva fede, che nel moderno sistema capitalistico è ormai strutturalmente negato qualsiasi spazio per ogni tipo di riformismo sia quello classico della tradizione socialista della Seconda Internazionale sia quello di tipo keynesiano. L’idea che il neo-liberismo sia una scelta politica della borghesia e ultimo approdo di un percorso figlio delle contraddizioni proprie del processo di accumulazione del capitale che periodicamente ne determinano la crisi, le ha illusi, e loro hanno hanno illuso i lavoratori, che sarebbe bastato entrare nella famosa stanza dei bottoni per poter imprimere una svolta alla politica economica neoliberista a favore di un più equilibrato processo di distribuzione della ricchezza. Sono, invece, rimaste letteralmente stritolate nelle spire del governo Prodi che, interpretando con grande coerenza il proprio ruolo, ha imposto:

  1. il rapido rientro del debito pubblico nei parametri di Maastricht, così come chiesto dalla Bce;
  2. una sostanziosa riduzione del carico fiscale a carico delle imprese che la reclamavano per poter far fronte all’accresciuta competitività internazionale.

Ai lavoratori, invece, nonostante l’unanime riconoscimento del loro progressivo impoverimento, non ha lasciato neppure le famose briciole, anzi ha inasprito il loro carico fiscale provocando così, insieme alla inflazione ormai galoppante, un loro ulteriore e rapido impoverimento.

Che dunque una buona parte del mondo del lavoro non votasse più per quell’accozzaglia di sedicenti socialisti, comunisti, ambientalisti e chi più ne ha più ne metta, era il minimo che potesse accadere.

Per parte nostra però, avendo assunto una posizione coerentemente astensionista, sbaglieremmo di grosso se ritenessimo che alla sconfitta di queste forze classe corrisponderà automaticamente il rilancio di una forte opposizione di classe.

Gisto o sbagliato che fosse, agli occhi di ampi strati del proletariato, soprattutto di quello industriale, quelle forze rappresentavano comunque un argine al feroce attacco che il capitale sta conducendo da anni contro di loro, pertanto, almeno nel breve e medio periodo, non potranno non risentire il contraccolpo in termini di maggior e pessimismo per il futuro. Inoltre le poche avanguardie ancorate sul terreno del più coerente anticapitalismo sono talmente ridotte al lumicino che difficilmente potranno sin d’ora costituire un punto di riferimento per un eventuale ripresa della lotta di classe per effetto della pesante crisi che si annuncia . Né può essere ignorato il fatto che siamo in presenza di un paradosso molto complicato: mentre, da un lato, il socialismo diventa ogni giorno di più un’autentica necessità, dall’altro rischia di perdere qualsiasi significato e di apparire poco più di un bella speranza svanita per sempre.

Tocca dunque ai rivoluzionari, agevolati dalla definitiva scomparsa dell’ultimo inganno pseudo-riformista, il compito di individuare, tenendo conto delle profonde modificazioni intervenute nell’organizzazione e nella divisione internazionale del lavoro, i percorsi e gli strumenti necessari affinché una moderna e autentica opposizione anticapitalistica possa finalmente vedere la luce.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.