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Home ›Prime riflessioni sugli scioperi alla Fiat di Pomigliano d’Arco
Quella a cui hanno dato vita gli operai della FIAT, ex ALFA, in tutto il mese di aprile è stata una prima ondata di lotta. Ha vissuto un periodo di incubazione, è esplosa, è arrivata all’apice ed ha ripiegato su se stessa. Si è trattato di una battaglia.
Un momento della guerra del padronato contro la classe operaia, e viceversa. In quanto ondata di lotta non possiamo valutarne l’importanza in base alla vittoria o alla sconfitta (tutti sappiamo che, finché sussiste il capitale, siamo, di fatto, sconfitti). La vittoria più grande è la crescita dell’organizzazione proletaria, l’importanza della lotta sta negli insegnamenti che da questa possiamo trarre per far crescere la nostra forza negli scontri futuri, per contribuire alla crescita delle coscienze di quanti vi hanno partecipato, alla loro crescita politica, alla loro formazione come militanti proletari, futuri dirigenti di un processo rivoluzionario.
La prima riflessione è relativa alla dinamica che si è verificata. Ci sono stati alcuni scioperi indetti dai sindacati di base, poi 2 assemblee durante i corsi, è in queste due assemblee che è nato quello che non abbiamo esitato a definire protagonismo proletario. Ragazzi, giovani operai, hanno valutato la situazione e sono giunti all’unica conclusione possibile: «se veramente qui ci vogliono fare fuori, e se davanti a noi sta la FIAT, abbiamo bisogno di mettere in campo una grande lotta e di condurla con la massima forza. Dobbiamo quindi bloccare la fabbrica e ci dobbiamo organizzare come comitato operaio senza bandiere sindacali: tutti insieme per il reintegro dei 316, tutti i ragazzi, tutti insieme, fino alla fine!» In questo ragionamento si è rotto uno dei pilastri che conserva il meccanismo sociale borghese, quello della delega!
Non hanno delegato a sindacalisti per passione, o per mestiere, la difesa dei loro interessi. Disabituati a parlare in pubblico, un po’ timidi, inesperti, ancora insicuri di loro stessi, hanno dato una grande lezione di democrazia diretta e di autorganizzazione delle lotte dal basso.
Si sono messi in gioco in prima persona, i blocchi si sono organizzati che sembrava una magia, 5 ingressi, tutti presidiati, 24 ore su 24. Hanno mosso il primo passo nella strada giusta, ma questi nuovi eroi della classe operaia sono ancora inesperti e non hanno potuto fare molto - per ora - per contrastare un nemico che ancora fanno fatica ad individuare.
Seconda riflessione. La divisione è l’arma prima che utilizza il potere per dominare e sfruttarci, dividi et impera!
La divisione si produce con le promesse di piccoli avanzamenti, durante il lavoro, dove i lecchini tentano di distinguersi e sono pronti a venderti in cambio di una pacca sulla spalla da parte del capo; la divisione serpeggia quando i lavoratori pensano innanzi tutto ai loro interessi egoistici: alla macchina, alla discoteca, al proprio consumo individuale; la divisione spacca il fronte di classe quando si attacca chi sta peggio di noi, invece di individuare nel possidente colui che ha messo il disperato in condizione di delinquere; la divisione avanza quando i lavoratori permettono ai sindacati di dividerli in differenti parrocchie, ognuna delle quali pretende di rappresentare meglio degli altri gli interessi operai.
Ogni parrocchia sindacale ha un solo obiettivo: arrivare a sedersi al tavolo dei padroni, mangiare con loro, discutere con loro da pari a pari, partecipare alla gestione del potere, il tutto sulla pelle dei lavoratori. Per questo nessuna forma sindacale potrà mai difendere i nostri interessi, perché siamo noi: la nuova generazione che sta vivendo nel fiore degli anni l’odierna crisi economica globale, devastante e distruttrice, che, soli, possiamo difender in prima persona il nostro interesse. Tutti gli altri politicanti, sindacalisti, lecchini, ribelli di professione, sono bruciati, sono talmente dentro i meccanismi e le logiche del potere da essere parte del problema e, non più, della soluzione anche perché...
Terza riflessione. La crisi bussa alle porte con le sue dita nodose ed il nauseabondo puzzo della disperazione. Gli scontri per il pane ad Haiti ed in Egitto, e tutto ciò che appare sulle cronache internazionali, ci raccontano di una crisi senza precedenti negli ultimi 60 anni.
Lo abbiamo potuto verificare mentre eravamo a Piazza Dei Martiri ad aspettare: non ci sono più margini di mediazione!
Il capitale pretende e, noi, siamo costretti a cedere. Anche le poche briciole grazie alle quali i sindacati riuscivano a far passare per conquiste operaie i più grandi bidoni della storia, anche quelle briciole sono finite. Ciò significa che il padronato imporrà le sue esigenze (ovvero la nostra miseria) con sempre più odio e ferocia, intimidazioni e repressioni. Ci attende un periodo durissimo, nel quale siamo chiamati a dare fondo ad ogni goccia della nostra forza e della nostra determinazione se vogliamo ancora sperare in un futuro migliore (ed un futuro migliore non è più possibile nel capitalismo!). Anche se il nemico si staglia contro di noi come un gigante vorace, non è detto che sia invincibile, l’esito della guerra dipende da quanto sapremo capitalizzare nelle singole battaglie, e questo dipende solamente da noi che scriviamo, che leggiamo, che lottiamo: che costruiamo quotidianamente la storia.
Quarta riflessione. La fase politica è nuova, il vecchio ciarpame nostalgico, pseudo-radical-alternativo, le vecchie ideologie (comprese quelle degli anni ’60 e ’70) puzzano di antiquato, non ci servono più a nulla, sono solamente una zavorra insostenibile in una situazione dinamica e complessa come quella nella quale ci muoviamo. Non abbiamo bisogno né di bibbie, ne di santi, né di salmi da recitare a memoria.
Abbiamo bisogno di comprensione critica del reale, abbiamo bisogno di capire le radici sulle quali si fonda l’ingiustizia ed il potere distruttivo di questa società, per poterle debellare.
Abbiamo bisogno di strumenti di analisi, e, soprattutto: abbiamo bisogno di risposte! Che fare? Di questo abbiamo bisogno. Qual è la prospettiva? Come si costruisce concretamente?
Cosa dobbiamo e possiamo fare, all’atto pratico, oggi, per rispondere ai problemi impellenti? Di questo abbiamo bisogno! Chi ci gira intorno, nelle assemblee, nei cortei, nelle discussioni, nei volantini è, semplicemente, dall’altra parte della barricata.
Un esempio: in Italia muoiono 4 lavoratori al giorno. Parlare di redistribuzione delle ricchezze, reddito di cittadinanza, diritti, controlli etc. senza affermare con chiarezza che è il capitale la causa dei morti, che il capitale si nutre delle nostre vite, che l’unico vero modo di fermare questo massacro è rovesciare il capitalismo, significa essere complici. Chi non afferma questo non da nessuna risposta, se non un mare di balle, ai nostri bisogni reali, è quindi è complice! Sanno solo parlare meglio di noi, forse, per dare una forma illusoria alla vacuità delle loro posizioni, ma siamo noi, che siamo portatori di posizioni concrete e necessarie, che dobbiamo imparare ad argomentarle e sostenerle. Tutti gli operai ed i lavoratori, in tutti i posti di lavoro devono fare propria questa sfida. Sindacalisti, movimentisti, burocrati, politicanti, riformisti etc. sono solo una grande massa di palloni gonfiati, lo spillo della critica pratica li farà saltare in aria!
Quinta ed ultima riflessione. Durante la lotta di Pomigliano abbiamo affermato la speranza di assistere alla nascita di una nuova generazione di militanti operai. A questi ci rivolgiamo quando sosteniamo che il sindacalismo (tutto) non è utile alla difesa dei nostri interessi di classe, ma anche i comitati di lotta, indispensabili per organizzare lotte vere, si esauriscono con l’esaurirsi della lotta stessa. Quale forma organizzativa ci rimane allora? I lavoratori più coscienti, i gruppi operai devono collegarsi con i militanti della classe che già da oggi lavorano per ricostruire il partito proletario. È questo infatti l’unico strumento che può rompere l’isolamente assordante al quale siamo sottoposti, che può tradurre in prospettive politiche praticabili le rivendicazioni e la rabbia di tutti i proletari.
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Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2008
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