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Home ›Sulle contestazioni ai sindacalisti a Torino
Sabato 16 maggio, al corteo operaio per l'occupazione e il futuro dei lavoratori Fiat, è esplosa la rabbia degli operai di Pomigliano e Nola; questi ultimi sono stati messi, dopo una dura lotta censurata dai mezzi di informazione, con un accordo siglato da Fiat e sindacati confederali, in un reparto confino nel maggio 2008. Oggi la situazione è peggiorata ed è tutto lo stabilimento di Pomigliano ad essere in pericolo di chiusura a causa della crisi del settore auto e della mega operazione di ristrutturazione di Marchionne & Co. Oggi tutti gli operai Fiat e dell'indotto Fiat sono senza garanzie per il loro futuro lavorativo, così come sono tremendamente più incerte le prospettive future della classe operaia italiana e mondiale.
Al grido "venduti" e "il potere deve essere operaio" un folto gruppo di operai, che si sono radunati intorno al camioncino dello Slai-Cobas, hanno preteso che fossero finalmente degli operai e non dei burocrati a parlare dal palco di un corteo operaio, incontrando la sostanziale indifferenza - malcelato fastidio potrebbero dire alcuni, sostegno passivo potrebbero dire altri - dei molti operai con le bandiere della Fiom lì presenti.
Noi, come lavoratori di Battaglia comunista, ci siamo aggregati alla contestazione e le abbiamo dato il senso e il peso che meritava. Al di là degli energici battibecchi - la lotta di classe non è un pranzo di gala - abbiamo plaudito agli interventi degli operai di Nola e Pomigliano, che hanno giustamente richiamato l'internazionalismo operaio contro la guerra tra poveri che si vorrebbe innescare tra operai italiani, tedeschi e statunitensi (nel caso Fiat) per il posto di lavoro. Infatti, dato che il capitalismo è sempre più internazionale, la risposta operaia alla sua crisi lo deve essere altrettanto. A maggior ragione non deve esserci divisione tra gli operai dei diversi stabilimenti Fiat in Italia. Indichiamo dunque a tutti gli operai - e soprattutto a quelli di Mirafiori - la via della solidarietà con i colleghi di Nola e Pomigliano.
Allo stesso tempo, invitiamo a non dimenticare che sono stati i vertici dei sindacati confederali e i loro cugini fiommini a firmare i contratti peggiorativi delle diverse categorie operaie, a permettere l'introduzione dei contratti precari, a dividere e togliere forza alla classe operaia con scioperi inutili, programmati settimane prima, con la concertazione; dobbiamo ricordare che sono stati sempre loro a rubarci le pensioni, a non far niente contro l'aumento dei carichi di lavoro e dei ritmi che sono la vera causa delle morti sul lavoro sull'altare del profitto padronale. Insomma, se davvero vogliamo difenderci dagli attacchi di un padronato sempre più incattivito dalla crisi, le burocrazie sindacali che ci controllano per contro dei padroni devono essere spazzate via, perché sono il primo ostacolo che gli operai in lotta si trovano e si troveranno davanti; poco importa se la cacciata dei burocrati dal palco davanti al Lingotto sia stata programmata o no, questa c'è stata ed era ora!
Adesso però gli operai, da Torino a Pomigliano, devono superare i sindacati tutti, quelli confederali, venduti, e anche quelli di base: oggettivamente armi spuntate, quando va bene. Gli operai devono prendere la parola nelle assemblee, devono essere protagonisti delle loro lotte, devono solidarizzare al di là delle differenze sindacali, geografiche e di settore per combattere cassintegrazioni e licenziamenti. I lavoratori più combattivi, meno rassegnati, devono cercare di superare l'immobilismo sindacale e, soprattutto se partono lotte vere, dal basso, dovrebbero tentare di collegare tra di loro le diverse esperienze.
Se gli scioperi sono più difficili da fare, perché c'è troppa fame di salario, a maggior ragione è arrivato il momento per gli operai e per tutti i salariati di cominciare a porsi la questione del potere: i padroni non sono necessari, anzi, la produzione per i bisogni umani andrebbe avanti meglio senza di loro; i sindacati non sono indispensabili, le lotte vere si fanno senza sindacato. Gli operai dell'INNSE di Milano che hanno autogestito per più di tre mesi la loro azienda in chiusura senza l'appoggio del loro sindacato di appartenenza (la Fiom) e continuano a presidiarla dagli attacchi del padrone e della polizia sono un piccolo ma eroico esempio di determinazione da seguire.
Però, bisogna andare oltre, dobbiamo difenderci oggi dagli attacchi padronali, per sbarazzarci domani di questo marcio sistema economico e sociale che non ha più niente da offrire se non fame e miseria e guerre, qui come altrove. Ma per unificare politicamente le spinte provenienti dai diversi settori della classe verso questo gigantesco obiettivo c'è bisogno del partito rivoluzionario. Un partito che, avendo da sempre fatto i conti con le aberrazioni dello stalinismo e del cosiddetto socialismo reale, possa costituire l'indispensabile guida politica verso una società finalmente umana.
AS, 2009-05-18Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
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