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Home ›Marea nera: orrore senza fine
Dopo settimane dall'affondamento della Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico il petrolio continua a fuoriuscire a ritmi impressionanti. Il sentimento, di fronte alle terribili immagini trasmesse dalle webcam dal fondo dell'oceano, di fronte al flusso scuro che avvelena uno degli ambienti più belli al mondo, è di preoccupazione e angoscia. L'immagine che abbiamo di fronte è quella di una società decadente che, guidata dal delirio borghese della accumulazione, della crescita a tutti i costi, della fiducia cieca e irrazionale nell'onnipotenza tecnologica, ha evocato dal profondo degli abissi dei demoni che non riesce a controllare.
Purtroppo, al di là delle emozioni viscerali, la situazione è davvero tragica, nei dati attuali e ancor più negli scenari prospettati per la regione. Se è difficile dar credito alle diverse cifre che vengono diffuse più o meno all'impazzata nei comunicati ufficiali e negli studi degli esperti, si tratta comunque di decine di migliaia di barili che ogni giorno si diffondono in mare. (1)
La chiusura del pozzo potrebbe riuscire solo - si spera, almeno - con la tecnica del “relief well”, ossia con l'immissione di cemento alla sua base, in pratica direttamente all'interno del giacimento. Ma questo non sarà possibile prima di aver realizzato altre perforazioni laterali, che richiederanno ancora mesi. E poi bisognerà sperare che qualcuno si faccia carico della ripulitura delle coste, delle acque, dei fondali.
Intanto, una inchiesta del Wall Street Journal, ripresa dal Post, ha documentato tutta una lunga serie di violazioni delle più elementari norme di sicurezza, in una operazione svoltasi, per di più, in condizioni ricche di incognite ed evidentemente incontrollabili. (2) Ma la verità è che il governo stesso degli Stati Uniti non sta facendo assolutamente nulla, perché se prendesse in mano le operazioni dovrebbe rinunciare a gran parte dei risarcimenti dovuti dalla BP. Così quest'ultima - mentre vede il valore delle sue azioni crollare - viene lasciata libera di gestire le operazioni con l'unico obiettivo di minimizzare i suoi costi, continuando quindi a spargere, oltre al petrolio, i veleni disperdenti che, se limitano i danni più visibili e soggetti a risarcimento, sulle coste, tuttavia contribuiscono grandemente a distruggere l'intero ecosistema.
Nelle inchieste sono emersi vari casi di connivenze e collusioni tra politici e compagnie private, anche eclatanti come quello di Lisa Murkowski ed altri senatori che, nonostante il clamore di questi giorni, sono riusciti ad affossare l'innalzamento del tetto massimo di risarcimento per le compagnie petrolifere in caso di incidenti, da 75 milioni a 10 miliardi di dollari. Persino il Sole24Ore, riportando le analisi di Krugman, ha dato voce a certe posizioni in contrasto con il liberismo assoluto. (3) Si fa pure strada la visione apertamente “statalista” - che reclama nelle mani dello stato il controllo, la gestione, o la proprietà formale delle principali imprese - sostenuta da una parte degli economisti borghesi e anche da una consistente parte della “opinione pubblica”, di destra e di sinistra. Ma in realtà le compagnie petrolifere statali agiscono secondo le stesse regole fondamentali che guidano le imprese private; ossia perseguono il massimo profitto, per non perdere posizioni sul mercato globale, e passano sopra ad ogni rispetto per la vita umana e per l'ambiente. Gli innumerevoli “incidenti” provocati in ogni angolo del pianeta (e spesso sottaciuti) dalle aziende petrolifere, statali o no, lo dimostrano. Basterebbe ricordare il caso della Pemex, azienda petrolifera statale messicana, che nel 1979 a seguito dell'esplosione di una piattaforma sul pozzo Ixtoc I riversò nello stesso martoriato Golfo del Messico decine di migliaia di barili di petrolio al giorno, per una decina di mesi. (4)
Obama, con un gesto di bassa demagogia, ha chiesto quale culo prendere a calci, in quanto responsabile del disastro nel Golfo del Messico. Ebbene, tra i culi da prendere a calci, tanto per cominciare, ci sarebbe il suo, assieme ai suoi compari che siedono nei consigli di amministrazione e assieme all'intera classe dirigente. Per questa terribile vicenda, davanti alla classe lavoratrice di tutto il mondo, questa gente dovrebbe rispondere di crimini contro l'umanità e contro tutte le forme di vita di una intera vastissima regione. Quale multa e quale “calcio” potrebbe risarcire il mondo di un disastro per molti versi irreparabile, per i suoi costi umani e ambientali, assolutamente non monetizzabili? La nostra prima preoccupazione dovrebbe essere quella di esautorare l'intera borghesia, disarmarla, impedirle di reiterare negli anni a venire i suoi intollerabili crimini.
Mic(1) Nei giorni scorsi, infatti, si è conclusa nel totale fallimento l'operazione “top kill”, accompagnata dal “junk shot”, ossia il tentativo di otturare il pozzo di Macondo con fanghi densi e altro materiale sparato al suo interno ad alta pressione. L'operazione pare che abbia anzi fratturato in più punti la copertura (casing) in cemento del pozzo, generando ulteriori fuoriuscite di petrolio dal terreno circostante.
Il tentativo attuale, che sta dando qualche risultato, è legato all'installazione di un “riser” sulla bocca del pozzo per catturare una certa quantità di petrolio. Ma il sistema è molto precario, con evidenti incrinature e cedimenti, e deve per forza di cose lasciar fuoriuscire in mare una grossa parte del petrolio. La BP ha annunciato di voler aumentare la quantità recuperata fino a 50 mila barili al giorno, il che quantifica la perdita ad un livello almeno dieci volte superiore alle prime stime. Altri, tra cui il solito Simmons ma anche membri del comitato tecnico del governo, stimano che fuoriescano dal pozzo addirittura 100 mila barili al giorno.
(2) Nelle operazioni risultavano coinvolte la BP, la svizzera Transocean che gestiva la piattaforma, altre aziende come la Schlumberger, i cui tecnici avrebbero dovuto certificare la bontà delle operazioni e che pare abbiano abbandonato la piattaforma poche ore prima del disastro senza firmare alcunché.
(4) Allora, a differenza di oggi, la perforazione era ad appena 50 metri sotto la superficie del mare.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
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