Maghreb: prime prove di rivolta globalizzata

Sulle “rivolte del cous-cous” che hanno coinvolto vari paesi del Nord Africa - e più in generale l'arco di paesi arabi dal Marocco alla Giordania - sono state formulate letture diverse. Prima di tutto bisogna sottolineare come i vari tumulti abbiano cause comuni, legate in ultima istanza alla fase di crisi acuta del capitalismo globale, in difficoltà a generare profitti nel ciclo produttivo ed ormai avvinto nella sua stessa spirale speculativa che, ben lungi dal fornire soluzioni di ampio respiro, ha permesso solo di procrastinare per qualche anno le conseguenze delle strutturali contraddizioni del capitale, amplificandole.

Voci autorevoli, come Stefano Torelli su Limes (1), e vari influenti blogger, come Karim Metref (2), ad esempio, si sono sforzati di sottolineare la natura peculiare della rivolta in Tunisia rispetto alla situazione algerina. Nessuno può mettere in dubbio alcune delle loro semplici e in parte auto-evidenti considerazioni, ma la loro logica si può applicare in effetti ad ogni fenomeno che coinvolga paesi diversi, senza aggiungere molto alla sua comprensione. Invece, sarebbe un grave errore strategico sottovalutare o addirittura negare l'esistenza di una tendenza globale all'acuirsi delle tensioni sociali, che nella regione del Maghreb si stanno manifestando con rivolte contro i rincari dei prodotti alimentari. Questo fenomeno, peraltro, era già ampiamente documentato e prevedibile con una certa precisione. Infatti, come riportato dal Guardian (3),

I dati resi noti dalla FAO dimostrano che i prezzi sono al loro massimo dopo la crisi alimentare del 2008. Il prezzo medio globale di cibo - tra cui cereali, olio, carni e prodotti lattiero-caseari - è stato superiore del 25% nel dicembre 2010 rispetto a dicembre 2009. La scorsa settimana, la benzina ha superato i 90 dollari al barile.

Le tesi espresse a favore di una valutazione diversa, separata, delle rivolte in Tunisia ed Algeria sono variegate, ma alla sostanza perorano tutte l'idea che la rivolta tunisina sia un unicum, diretta essenzialmente contro un despota accerchiato di parenti viziosi e corrotti, infine dimostratosi sanguinario e impresentabile per le borghesie europee che lo sostenevano, in primo luogo quella francese e quella italiana. Non sorprende quindi che sia stato abbandonato, o meglio sacrificato come un pedone isolato, sia dalle elité politiche che dai commentatori e dai cosiddetti “opinion makers”.

Una generazione affamata e senza futuro

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I rincari alimentari sono legati a doppio filo all'aumento dei prezzi dei beni energetici e agli sconvolgimenti climatici che affliggono il pianeta, prima ancora che alle speculazioni basate sui “futures”, che sulla base di questi dati materiali anticipano e portano al parossismo le previsioni sugli andamenti futuri dei prezzi. Ma i rincari sono solo una parte del problema sociale, che è ben più profondo. Ormai il capitalismo in crisi di sovraccumulazione non è in grado di offrire neppure un lavoro da sfruttato, se non a condizioni sempre peggiori, spesso al di sotto della soglia di povertà e addirittura della sopravvivenza. Secondo il Sole 24 Ore (4), per garantirsi “crescita economica e stabilità politico-sociale”, i paesi del Maghreb dovrebbero creare dai 10 ai 15 milioni di posti di lavoro: una missione impossibile. Ai giovani in particolare, che nei paesi del Nord Africa costituiscono il 40% della popolazione, manca il senso di un futuro che valga la pena di essere vissuto. Questa disperazione, questa nausea che non è esistenziale ma sociale, accomuna i giovani proletari e tutte le classi dominate del Maghreb e del mondo intero.

Ma, se il sistema produttivo plasma le condizioni materiali che sono alla base della crisi sociale complessiva, esso genera al contempo le condizioni del suo stesso superamento. Infatti nelle rivolte di oggi nel Maghreb si possono evidenziare una serie di fenomeni nuovi, che marcano la possibile natura delle rivolte della nostra epoca. Innanzitutto, il dominio del capitale esteso all'intero globo impone l'emergere di crisi su scala regionale e globale. La prateria sembra pronta all'incendio, e non mancano le scintille. Quindi non deve sorprendere il fatto che un episodio di angheria, rabbia e disperazione in un mercato provinciale in Tunisia abbia potuto scatenare effetti tanto estesi. C'è però da sottolineare la rapidità dell'espansione oltre confine della rivolta tunisina, che ha avuto nel giro di giorni, o anche ore, eco violente nella vicina Algeria e perfino nella remota Giordania (come abbiamo scritto in un altro articolo). Questo è un dato da tenere in attenta considerazione.

Il fronte delle reti sociali

Come riportano varie fonti, tra cui ArsTechnica e Il Sole 24 Ore, le reti sociali come Twitter e Facebook stanno giocando un ruolo importante nel caratterizzare le dinamiche delle rivolte:

Per quelli che cercano notizie dell'ultimo minuto, Twitter si sta dimostrando una fonte straordinaria. Scrittori come Dima Khatib di Al-Jazeera e il commentatore Sultan Al-Qassemi stanno raccogliendo e analizzando notizie quasi minuto per minuto (5).

Zouheir Makhlouf, blogger di Tunisi, è diventato un mito nella rete. Con la sua telecamerina ha ripreso tutto, le cariche della polizia, le gomme bruciate, le auto girate in mezzo alla strada, i morti. I video sono commentati dalla sua voce: “Dappertutto lo stesso scenario, un serpente a mille strade ha invaso le strade scandndo lo slogan Ben Ali barra barra [Ben Ali vai via]” (...) El general, rapper autore del brano “Ascoltami signor presidente”, ne ha cantato le gesta, con parole di protesta e di invito ad aprire gli occhi rivolto ai giovani del suo paese (6).

Ad inasprire gli animi contro il regime, potrebbero avere avuto un ruolo anche i cablogrammi pubblicati da WikiLeaks che hanno dato peso e rafforzato lo sdegno popolare verso la corruzione e l'arroganza della casta familiare che circondava Ben Ali. Oltre a descrizioni fornite con dovizia di particolari sui lussi, gli sprechi e i vizi della famiglia presidenziale - insediata in palazzi e ville estive, riempite di veri e propri tesori, con piscine immense e persino tigri in gabbia, attorniata da schiere di persone di servizio - nei dispacci di Robert Godec, l'ambasciatore statunitense a Tunisi, si leggono valutazioni e giudizi niente affatto lusinghieri. Senza dubbio la pubblicazione di questi documenti ha contribuito all'indebolimento di Ben Alì sul piano internazionale e inevitabilmente anche sul piano interno.

La “partita virtuale” non è affatto terminata e continua ad essere giocata senza esclusione di colpi, tra le autorità e gli organi di repressione statale, da una parte, i dimostranti, i blogger e gran parte della popolazione, dall'altra. Il governo, da un mese a questa parte, ha reagito ad ogni minaccia proveniente dalla rete bloccando siti, blog, profili e pagine di attivisti scomodi. Ma le armi messe in campo sono state anche più raffinate, includendo l'iniezione di codice malevolo all'interno delle pagine di login di Facebook, per esempio. Questo ha permesso alle autorità di prendere il controllo di diverse utenze, alterandone quindi il profilo e i contenuti pubblicati. La politica di Facebook, che impedisce l'adozione di pseudonimi, sta infine impedendo agli utenti di riprendere il controllo dei propri profili.

Il collettivo Anonymous, già famoso per le iniziative a supporto di Wikileaks, è intervenuto attivamente con attacchi ai siti governativi. Su diversi siti hackerati, in solidarietà ai dimostranti, ha campeggiato per diverso tempo il seguente annuncio:

Voi avete unilateralmente dichiarato la guerra alla libertà di espressione, alla democrazia e al vostro popolo. Anonymous aiuta il popolo tunisino nella sua lotta contro l'oppressione.

Gli hacker, da tutto il mondo, hanno inoltre aiutato e guidato diversi attivisti tunisini nelle operazioni sotterranee su Internet, sfruttando e ampliando a livello locale l'infrastruttura di Tor, che garantisce un buon livello di anonimato e riservatezza nelle attività sulla rete.

Sindacato e assemblee territoriali

Naturalmente, ogni enfasi unipolare sull'importanza di Internet è fuori luogo. Parlare di una “cyber rivolta” è semplicemente una falsificazione. In Tunisia la rivolta è riuscita a scacciare Ben Ali solo grazie alle dimostrazioni portate nelle strade e nelle piazze, dopo scontri violenti con le forze dell'ordine costituito, dopo che circa un centinaio di morti ha lasciato il suo sangue sull'asfalto. A decine gli stessi attivisti web sono stati identificati, interrogati, perseguitati, incarcerati.

In realtà in Tunisia e nel Maghreb si è realizzato un mix esplosivo di comunicazione globale e organizzazione territoriale, dal basso. I proletari tunisini si sono riuniti in ogni posto disponibile: nelle sedi sindacali e in quelle dei partiti di opposizione, nelle università... Sembra, allo stato attuale delle cose, che i primi risultati della battaglia vinta nelle strade dai dimostranti potrebbero essere incassati proprio dalle forze cosiddette “democratiche” di opposizione. Ma resta il fatto che le decisioni prese su come condurre la lotta, gli obiettivi identificati, hanno più volte superato gli argini posti dalle direzioni politiche, espresse ad esempio dal sindacato UGTT. Come riportato dal Manifesto, fino all'ultimo il sindacato ha tentato di salvare il salvabile, provando ad instaurare una mediazione con Ben Ali:

Lo stesso Abid Briki (portavoce del sindacato) critica le parole d'ordine dei manifestanti che si stanno sgolando nella piazza Mohammed Ali, di fronte alla sede del sindacato, da dove partirà il corteo che si andrà sempre più ingrossando per raggiungere la vicina via Bourghiba. Abid Briki, aveva così definito la posizione dei manifestanti: «La gente ragiona come un partito politico dell'opposizione, il loro obiettivo è prendere il potere, noi siamo un sindacato non un partito politico, noi prendiamo posizione sulle riforme». E anche se molte delle rivendicazioni sociali del sindacato coincidevano con quelle della piazza, il sindacato pensava di realizzarle attraverso il dialogo, fino a ieri anche con Ben Ali, anche se «finora il dialogo è assente» ci aveva detto Abid Briki (7).

Ferme restando le enormi differenze, negli obiettivi, nel contesto, nella composizione di classe, le proteste in Tunisia hanno diversi punti in comune con quelle recenti degli studenti in Italia, che si sono dati un rapidissimo coordinamento attraverso Internet e che spesso hanno seguito piuttosto la spontaneità e l'imitazione, anziché le direttive delle forze istituzionali. Inoltre, in entrambi i casi, è stata intuita la criticità e fragilità dell'infrastruttura logistica, fondamentale per la possibilità di delocalizzare e frammentare sul territorio la produzione e per l'organizzazione moderna dei processi produttivi secondo il paradigma just in time. Come gli studenti in Italia hanno moltiplicato quasi istantaneamente i blocchi delle stazioni ferroviarie e perfino delle autostrade, seguendo gli esempi che venivano diffusi rapidamente sui circuiti di YouTube e YouReporter, così in Tunisia, oltre ai palazzi del potere, è stata presa di mira e data alle fiamme la stazione ferroviaria della capitale. Anche in Algeria si sono verificati diversi blocchi stradali, mentre continua tuttora lo sciopero “selvaggio” dei portuali di Algeri cominciato il 4 gennaio, in protesta contro un accordo siglato dal “loro” sindacato e i padroni, che riduce drasticamente la paga per gli straordinari e impone uno schema di turnazione più duro.

Le sfide future

Gli sfruttati del Maghreb hanno dimostrato di saper dispiegare rapidamente - sostanzialmente da soli e spesso contro le direttive sindacali - un pontenziale di lotta davvero eccezionale. Grazie al loro slancio e al loro coraggio, sono riusciti ad ottenere la fuga rocambolesca e vergognosa di Ben Ali e della cricca di potere a lui vicina. Si tratta di una situazione che ben pochi avevano pronosticato nemmeno un mese fa. Ma non basta. Sembra che alcuni militari abbiano fraternizzato con i dimostranti (8), abbandonando le file dei loro commilitoni, che invece pattugliano le strade dall'interno dei blindati e continuano a mietere vittime. Inoltre sono sorti comitati di quartiere (9), per l'autodifesa e per la distribuzione equa dei prodotti espropriati dai grandi magazzini gestiti dall'entourage del presidente decaduto.

Ma ora la prospettiva - allo stato attuale delle cose - è quella di veder sostituito un governo borghese con un altro, forse un po' più presentabile ma altrettanto dispotico e sanguinario, se le esigenze di conservazione del sistema dovessero renderlo opportuno. Il proletariato del Maghreb ha dimostrato di non nutrire più fiducia alcuna nelle istituzioni, includendo spesso politicanti e sindacati. Tuttavia questa sfiducia, pur accompagnata da uno spirito d'iniziativa e organizzazione pratica notevole, non produrrà la soluzione dei problemi strutturali della società capitalistica, alla base della crisi globale come della fame e della disperazione diffuse. Occorre che il proletariato del Maghreb e di tutto il mondo faccia proprio il programma rivoluzionario, cominciando col costituire e rafforzare una organizzazione delle avanguardie di classe, che sbandieri tale programma a livello internazionale. Occorre abbattere alle fondamenta ogni potere borghese, per poter costruire finalmente un sistema sociale organizzato a partire dal basso, senza classi e senza sfruttamento, per il soddisfacimento dei reali bisogni dell'umanità intera e non per i profitti di pochi privilegiati.

Mic, 2011-01-16

(1) temi.repubblica.it

(2) it.peacereporter.net

(3) guardian.co.uk

(4) ilsole24ore.com

(5) arstechnica.com

(6) ilsole24ore.com

(7) G. Sgrena, “Ora vogliamo giustizia e libertà”. ilmanifesto.it

(8) it.peacereporter.net

(9) repubblica.it - ansa.it

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.