Nucleare sì, nucleare no - Le tragicomiche contorsioni dei politicanti nostrani

È opinione diffusa che l'Italia goda - per così dire - della peggior classe politica europea. Probabilmente è vero, ma questo primato è stato ottenuto anche per la disinvoltura con cui, contrariamente al resto dell'Europa, la “casta” mostra, al popolo tutto, se stessa per come è, senza veri o falsi pudori. La cosa, in fondo, non è priva di aspetti positivi, se così li vogliamo chiamare, dato che tutti possono toccare con mano sia la distanza abissale che separa pochi privilegiati dalla grande maggioranza della popolazione (a cominciare dal proletariato), che la correttezza di quello che per noi è una dato incontestabile, cioè che i governi, nella sostanza, non sono altro che i comitati d'affari della borghesia, amministratori per suo conto della cosiddetta società civile. Che dire, infatti, della perfetta sintonia tra le parole della Marcegaglia e quelle di alcuni esponenti del governo in tema di energia? Quando il dramma delle centrali nucleari giapponesi ha cominciato a delinearsi, la presidentessa di Confindustria, fiutando subito l'aria cattiva per uno dei più grandi e criminali business del nostro tempo, ha rilasciato una dichiarazione, immediatamente ripetuta a pappagallo dai “nostri” governanti: «è importante non agire in modo emotivo come l'Italia ha fatto in altre situazioni» (IL Sole24ore, 16 marzo 2011). In parole povere, nessuno pensi di tornare indietro sul programma di costruzione delle centrali atomiche, a partire, ben inteso, dal governo. Di fronte a questo “alto” ammonimento, i ministri Romani e Prestigiacomo (che, come si sa, con grande senso dell'umorismo, il Berlusca l'ha messa a tutela dell'ambiente) non si sono fatti pregare, anzi, hanno ripreso pari pari le parole del capo confindustriale, tanto che la parola d'ordine “no emotion” è diventato il ritornello stucchevole di ogni esternazione pubblica.

D'accordo, che c'importa del plutonio con le sue radiazioni letali ultramillenarie, che c'importa dei tumori, delle mutazioni genetiche, delle sofferenze a scala apocalittica che ci può regalare l'uso capitalistico dell'atomo: manteniamo i nervi saldi e andiamo a vedere se l'energia nucleare è almeno conveniente alla collettività, anche restando dentro il quadro del capitalismo.

La questione è complessa e non pretendiamo certo di affrontarla in maniera approfondita nei limiti di questa nota, ma una cosa è certa: da qualunque parte la si guardi, i conti non tornano. Giusto perché i conti relativi ai costi sono enormi, a fronte dei possibili benefici in termini di produzione di energia, oggi la costruzione di nuove centrali è praticamente ferma ovunque. Solo in Finlandia se ne sta facendo una, ma la spesa preventivata è almeno raddoppiata e (per fortuna) siamo ancora lontani dalla chiusura del cantiere. Il problema principale, anche per i mitici (?) reattori di terza generazione ipersicuri (??), è proprio la messa in sicurezza - passateci il termine - dell'impianto. Per diminuire i rischi - attenzione, non per azzerarli; ma qui si sta parlando di plutonio, non di emissioni alla Bertoldo... - e risolvere i problemi che via via sorgono in fase di costruzione - non da ultimi, le mazzette - la centrale è diventata un pozzo senza fondo. Una volta finito il suo ciclo di attività, poi, ci saranno le spese per la demolizione dell'impianto e per lo stockaggio delle scorie, che, oggi, nessuno sa dove metterle, a meno che non conti balle grossolane. Ma le spese per il funerale delle centrali - costruite per lo più dai trenta ai quaranta anni fa, per cui molte sono prossime alle esequie - erano state di molto sottostimate, tanto che, secondo diversi esperti, se si tiene conto, come deve essere in ogni contabilità che si rispetti, anche di quella voce, allora i sostenitori dell'economicità del nucleare dovrebbero semplicemente nascondersi. Qual è il costo di una nuova centrale nucleare, in attesa che fra venti o trenta o quarant'anni compaiano i favoleggiati reattori di quarta generazione? Per Fulvio Conti, amministratore delegato dell'Enel, un reattore costa quattro miliardi e mezzo di euro (c'è chi dice sette), il che, moltiplicato per quattro - quelli da realizzare subito, degli otto programmati - fa ovviamente diciotto miliardi. Ma se si cominciasse a costruirli domani, sarebbero pronti, lavorando molto in fretta, non prima di sette anni e alla fine coprirebbero il 4% del fabbisogno di energia. Tanto per avere un'idea delle alternative, con diciotto miliardi di euro si potrebbe installare circa un milione di impianti fotovoltaici domestici, calcolando - con larghezza - il costo di ogni impianto sui ventimila euro.

Anche dal punto di vista dell'occupazione, il confronto non regge: sempre secondo Confindustria (Il Sole24ore, cit.), la “filiera nucleare potrebbe generare” ventimila posti di lavoro, ma tenuto conto che il settore delle energie rinnovabili, in sei/sette anni, è cresciuto da poche migliaia ad alcune decine di migliaia di occupati, si può ipotizzare che un “incentivo” da diciotto miliardi ne genererebbe molti di più dei ventimila indotti dal nucleare. Invece, en passant, il governo che fa? Taglia, anche retroattivamente, gli aiuti alla “green economy”, non perché questa si collochi fuori dal modo di produzione capitalistico, niente affatto, ma semplicemente perché la lobby d'affari dell'atomo è molto più potente di quella “verde”.

Infine, per chiudere questa rapida carrellata sui costi economici, anche ammesso, ma per niente concesso, che ancora l'energia da fonti rinnovabili non sia abbastanza competitiva, perché i processi produttivi si trovano allo stadio poco più che iniziale, si potrebbe rispondere, banalmente, che quando venne inventato il treno, un buon cavallo rimase per parecchi tempo il mezzo di trasporto più efficiente, eppure l'avvenire è stato del treno, non del cavallo. Quindi, anche senza prendere in considerazione un uso radicalmente diverso dell'energia - possibile solo in una società completamente diversa - rimanendo dunque dentro un'ottica borghese, la logica del “nucleare” è piena di falle. Ma le uniche falle che interessano ai politicanti sono quelle della cadrega. Difatti, dopo le bellicose dichiarazioni “anti-emozioni” del governo, sono cominciati i distinguo, perché la paura dell'atomo può far perdere voti. Allora, per cominciare, la banda governativa ha collocato il referendum in una data diversa da quella delle elezioni amministrative, così da rendere più difficoltoso il raggiungimento del quorum. Poi, ha detto che ci vuole una fase di riflessione e che terrà conto del parere delle regioni, i cui “governatori”, di ambo gli schieramenti, si sono però scoperti quasi tutti antinuclearisti o si improvvisano contorsionisti, come Formigoni, il quale, incurante del ridicolo, ha sentenziato che la Lombardia non ha bisogno di centrali atomiche, in quanto è autosufficiente dal punto di vista energetico.

Che i politicanti siano delle belle facce di... bronzo è risaputo; anche per questo, vale sempre la solita domanda: comprereste una centrale nucleare da questa gente?

CB

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.