Casta, malaffare, mafia, corruzione sono un prodotto del capitalismo

Combatterli affrontando il problema alla radice

Scandali, stipendi d'oro, benefit, corruzione, tangenti, concussione, mafie, appalti d'oro, clientelismo, appropriazione indebita, parentopoli, tuonano i giornali!

Riforma elettorale, disegni di legge, riduzione dei costi, proclami, appelli, proposte, referendum, tuonano più falsi di Giuda i politicanti, i ministri e i presidenti!

Indignazione, rivolta popolare, forconi, vergogna, ladri, mariuoli, criminali! Si lamentano lavoratori, precari e disoccupati sempre più in miseria ma, senza ben sapere cosa fare, finiscono per accodarsi a movimenti promossi da commercianti, bottegai, piccolo borghesi e imprenditori “onesti” di varia estrazione, tutti saldamente attestati nella difesa dell'interesse di un ceto medio ormai avviato sulla strada della condizione proletaria e da questa terrorizzato.

Questa rabbia, sincera e sana ma, ancora, lontana dal saldarsi alla rabbia che scaturisce negli altri luoghi dove quotidianamente viviamo l'oppressione del sistema: i luoghi di lavoro; questa rabbia spontanea, come già nel 1992-93, rischia di essere solamente strumentalizzata dai soliti benpensanti di turno, gruppetti di attivisti, il più delle volte più presenti in rete che nella vita reale, spesso ispirati da ideologie nazionaliste – neofasciste, grilline, antisignoraggiste, democratiche o riformiste che siano.

Questa rabbia genuina e sana ha dentro di sé un potenziale rivoluzionario e noi internazionalisti dobbiamo impegnarci affinché questo potenziale non si disperda. Affinché, al contrario, prenda una via costruttiva iniziando dall'individuare con chiarezza i motivi originanti i mali che affliggono il nostro tempo, fino ad arrivare a definire i percorsi politici ed organizzativi capaci di affrontare e risolvere il problema una volta per tutte, estirpandolo fin dalle radici. Noi siamo assolutamente determinati ad impegnarci affinché questo avvenga, il presente documento è parte del lavoro che stiamo conducendo in questa direzione, lavoro politico volto a cambiare in prospettiva, ma a cambiare veramente, lo stato di cose presenti.

Per il solo funzionamento degli Organi Istituzionali si spendono circa 6,4 miliardi di euro […] sono oltre 1 milione e 100 mila le persone che vivono direttamente o indirettamente, di politica, il 4,9% degli occupati nel nostro Paese. […] Un esercito composto da quasi 144mila tra parlamentari, ministri, amministratori locali.

studio Uil sui costi della politica, 25/09/2012

Il costo della politica nel suo complesso sfiora i 23 miliardi di euro.

Sole 24 ore, 26/9/2012

Ma parliamo solo di costi diretti , perché se poi andiamo a valutare i “costi indiretti”, ossia il business più sostanzioso, quello fatto di appalti, mazzette, riciclaggio del denaro sporco etc. arriviamo a stime che si assestano intorno ai 250 miliardi di euro l'anno (intorno al 15% del Pil).

È un dato di fatto che in Italia il parlamento, e la politica in generale, costano molto di più che in Inghilterra, Germania e Francia: quasi 10 volte di più. Ma dobbiamo andare oltre il ragionamento semplicistico: “facciamo come la Germania!”, per capire perché in Italia si è sviluppata questa “anomalia”. Il dato riguarda il ritardo con il quale si è andato a formare lo Stato nazionale italiano e le peculiarità della nostra struttura produttiva. Clientelismo, trasformismo, intermediazione della politica rispetto allo sviluppo dei poli industriali, uno strettissimo legame tra Stato e Mafia (1) hanno caratterizzato da sempre lo Stato italiano. In particolare dal secondo dopoguerra, grazie ai fondi del piano Marshall, con la Cassa per il mezzogiorno, l'IRI etc. quantità enormi di capitali sono stati gestiti in maniera clientelare dai potentati politici, oliandone i meccanismi, in un fiorire di micro e mega appalti che hanno fatto dell'Italia degli anni 1970 uno dei paesi più industrializzati al mondo. Se in altri paesi europei il processo di industrializzazione è avvenuto indipendentemente dalla politica collusa, nell'Italia del secondo dopoguerra l'industrializzazione si è sviluppata in larga parte per mezzo di essa, sancendo una delle caratteristiche del capitalismo nostrano: uno sviluppo abnorme e progressivo dell'apparato parassitario politico, la sua centralità nello sviluppo e nella amministrazione della vita economica nazionale. Tale parassitismo è, d'altra parte, riscontrabile in alcuni aspetti caratterizzanti il capitalismo nel bel paese: i mega poli industriali non competitivi ed oggi in via di rottamazione, lo stato delle “grandi opere”, delle infrastrutture, dei trasporti, il livello (2) di corruzione, il clientelismo, il livello del sommerso, del lavoro nero e quindi, sopratutto, la completa compenetrazione tra Stato e Mafia. Caratteristiche che ci avvicinano più ad un paese della periferia del capitale che ad una delle potenze industriali del mondo.

Con il piano Marshall i politici di turno vennero sottomessi all'alleato Atlantico mentre, dal canto loro, gli USA erano interessati a mantenere in Italia una condizione di corruzione diffusa, clientelismo, legami con la mafia etc. che gli avrebbero permesso di controllare meglio il Paese all'interno di una strategia volta ad impedire l'espansione dell'Unione Sovietica a Ovest; ricordiamo che allora il quadro geo-politico internazionale era tutto compreso all’interno dello scontro imperialistico tra la falsa democrazia degli Usa e il falso comunismo dell’Urss. Questo è il dato politico-economico sul cui sfondo si è strutturato il capitalismo contemporaneo italiano.

Quando nel 1992, con tangentopoli, il sistema della “corruzione sistematica” è venuto a galla, ciò che è accaduto è che il costo crescente di quell'apparato politico-amministrativo era divenuto incompatibile con una economia che iniziava seriamente a vacillare. Da notare che, negli stessi anni, la medesima incongruenza tra un costo abnorme dell'apparato statale ed una economia sempre più in difficoltà contribuiva a causare il crollo del falso socialismo sovietico. Ma il terremoto non poteva risolvere il problema perché il Sistema economico restava il medesimo: grazie ad un rinnovato accordo tra Stato e Mafia, il sacrificio di alcune teste, l'avvio di pesantissime riforme volte a far pagare ai lavoratori dipendenti i costi della crisi (concertazione, pensioni, scala mobile...) il sistema parassitario, identico a sé stesso, si rigenerò ingigantendosi nella Seconda Repubblica, il problema era solo rimandato, le storie di corruzione e ladrocini vari, legali o illegali, di questi giorni ne sono la dimostrazione.

In molti, giustamente, si indignano per i costi della politica ma, finiscono unicamente per invocare il taglio al finanziamento pubblico dei partiti, la fine della corruzione, dell'evasione fiscale, etc: “l'italia può e deve fare come la Germania!”. Ma qui non è la Germania, è l'Italia.

Là il capitalismo si è sviluppato nel corso dell'Otto-Novecento grazie al fiorire di industrie capitaliste mentre lo Stato ha svolto più che altro una funzione di regolazione. In Italia è avvenuto l'esatto contrario: una unificazione nazionale tardiva avvenuta nella forma di un alleanza tra le borghesie del nord e del sud, in larghissima parte, ai danni del proletariato meridionale; uno Stato nazionale che si è costituito in un paese che per ancora un secolo e più rimarrà prevalentemente agricolo, poi, lo sviluppo di un apparato industriale avvenuto non per “virtù propria” ma, in larghissima parte, grazie a finanziamenti provenienti dallo Stato, finanziamenti che prima di arrivare a destinazione passavano attraverso i soliti ingranaggi del clientelismo, della corruzione e della concussione. Questo è il capitalismo italiano, imperialismo straccione che nessuna riforma potrà cambiare nella sostanza. Il ruolo che l'imperialismo europeo ha assegnato al Bel paese è quello di fornitore di manodopera a basso costo, subordinata ai bisogni degli apparati industriali nord europei. Nessun rigurgito nazionalista o retorica simil-fascista potrà cambiare lo storico dato di fatto del capitalismo straccione italiano.

La progressiva concentrazione e la centralizzazione del potere economico in poche mani ed in aree geografiche ristrette è una delle leggi fondamentali del capitale. L'Italia si colloca geograficamente appena fuori il fulcro imperialista centro europeo, con le sue spedizioni militari cerca di ritagliarsi qualche piccola posizione di vantaggio, ma il fatto che l'apparato industriale stia venendo smantellato pezzo per pezzo, che i principali marchi industriali vengano svenduti all'estero, che venga formato personale scientifico che poi verrà assunto in paesi dal ben diverso peso economico, tutti questi ed altri processi in corso testimoniano come, nello scacchiere imperialista globale, a noi non sia riservato un ruolo centrale. A differenza della Germania o della Francia.

Niente da fare, quindi? Al contrario! Moltissimo da fare, ma nella direzione giusta.

La denuncia degli esorbitanti costi della politica ha la sua legittimità, ma solo a patto che la si inserisca all'interno di una denuncia del capitalismo nel suo insieme. Senza illudersi che il problema possa risolversi rafforzando la potenza del capitalismo italiano perché:

  1. come abbiamo visto questo è impossibile non essendo storicamente l'Italia che un imperialismo straccione;
  2. perché rafforzare il capitalismo significa sottomettere la classe lavoratrice;
  3. perché la crisi strutturale del capitalismo non è un fatto locale ma attraversa tutto il Sistema nel suo insieme;
  4. perché, quindi, anche in Germania, pur partendo da condizioni strutturali differenti, la crisi si sta abbattendo con violenza sulla classe lavoratrice, a partire dai suoi settori più deboli e dagli immigrati;
  5. perché il parassitismo tipico della politica borghese italiana verrà cancellato solo da un cambiamento radicale del modo di produrre e distribuire la ricchezza in Italia e nel mondo;
  6. perché, anche se fossimo in presenza del miglior capitalismo possibile, senza sprechi, “onesto” e morigerato (siamo ovviamente nel regno dell’utopia), la sua esistenza politica ed economica continuerebbe a basarsi sullo sfruttamento della forza lavoro e rimarrebbe comunque avvolto in una gravissima crisi strutturale.

Noi comunisti internazionalisti sappiamo che la crisi del capitalismo è ancora lontana dal toccare il suo apice e crediamo che verrà il momento nel quale la borghesia e i suoi apparati burocratici e partitici avranno sempre maggiori difficoltà a gestire i danni economici e sociali prodotti dal loro stesso sistema in putrefazione. Allora si presenteranno due alternative: o noi proletari, lavoratori, precari, disoccupati italiani e di tutti i paesi sapremo prendere in mano le redini della società per guidarla verso un nuovo orizzonte, oppure il Sistema capitalista ci trascinerà verso nuove guerre, verso la barbarie e l'imputridimento di ogni relazione sociale. Al crollo dell'impero romano è susseguito quasi un millennio di barbarie.

Insomma, per noi internazionalisti è centrale dare forza al partito proletario, all'organizzazione di quella parte della classe dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati che ha il compito di affermare che cambiare il corso della storia è possibile.

In poche parole noi comunisti non vogliamo semplicemente ridurre i costi della politica, ma vogliamo abolire la politica borghese, i suoi costi ed il capitalismo che li ha generati e che si sviluppa peggiorando ogni giorno di più la condizione della classe lavoratrice italiana ed internazionale.

riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori dei nostri incarichi, alla funzione di "sorveglianti e ai contabili", modestamente retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di ogni specie e di ogni grado): è questo il nostro compito proletario; è da questo che si può e si deve cominciare facendo la rivoluzione proletaria. Questo inizio, fondato sulla grande produzione, porta da se alla graduale "estinzione" di ogni burocrazia, alla graduale instaurazione di un ordine - ordine senza virgolette, ordine diverso dalla schiavitù salariata - in cui le funzioni, sempre più semplificate, di sorveglianza e di contabilità saranno adempiute a turno, da tutti, diverrano poi un'abitudine e finalmente scompariranno in quanto funzioni speciali di una speciale categoria di persone.

Lenin, Stato e rivoluzione, 1917, capitolo III
Diego

(1) Vedi “L’Italia unita e la condanna del Sud”, Giacomo Scalfari, Prometeo 3, VII serie, maggio 2010.

(2) Vedi “Corruzione, mafia, stragi: ecco a voi la borghesia italiana”, Giacomo Scalfari, Battaglia Comunista 4, aprile 2010.

Venerdì, October 26, 2012

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.