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Home ›Le elezioni in Venezuela e il rafforzamento del capitalismo di Stato
La via al rafforzamento del capitalismo di Stato, contrabbandata per il nuovo esperimento socialista bolivariano, ha fatto un altro passo in avanti. La mistificazione delle statalizzazioni con la socializzazione dei mezzi di produzione ha trovato il suo inamovibile profeta.
Le recenti elezioni presidenziali in Venezuela sarebbero passate per noi quasi inosservate, come le tre precedenti, se non fosse per alcuni aspetti a dir poco sconcertanti sia per la personalità politica di Chavez, sia per il presunto percorso “patacca” della rivoluzione bolivariana, altrimenti detta via bolivariana al socialismo del XXI secolo.
Hugo Chávez è stato rieletto presidente del Venezuela per la quarta volta. In questo caso ha registrato il suo risultato peggiore, solo il 54,42% preso alle elezioni di domenica 7 ottobre, rispetto al 56,20% del 1998, al 59,76% del 2000, al 59,10% del referendum revocatorio del 2004 e al 62,84% del 2006. Il colonnello è ininterrottamente al potere dal 1999, regolarmente eletto, ma dopo un tentativo di golpe militare fallito nel 1998. Si definisce bolivariano in onore di Simon Bolivar, eroe nazionalista e borghese della guerra d’indipendenza dal colonialismo spagnolo. Dal suo vate politico ha ereditato la determinazione, il protagonismo, il pragmatismo e lo spirito nazionalistico, ma ha dimenticato uno dei suoi più preoccupati ammonimenti in cui diceva che una lunga permanenza al potere comporta derive dittatoriali per chi lo gestisce e pericolose sindromi da sudditanza per le popolazioni che lo subiscono. La sua fortuna elettorale e politica, che ultimamente ha avuto degli alti e bassi (si pensi al voto negativo al primo referendum, 2007, di modifica della costituzione per quanto riguarda la sua possibilità di accedere alla quarta rielezione, poi vinto nel 2009), si basa su alcuni punti ideologico-programmatici di grande impatto populistico ma di scarso contenuto.
Il personaggio si è sempre presentato come uomo di sinistra (Socialista? Comunista? Trotskista? Bolivariano?), difensore dei deboli e grande architetto di una società di uguali in termini politici ed economici. Nulla di tutto questo corrisponde alla realtà se non che, per avere una base che lo sostenesse, si è rivolto alla massa enorme di disperati che vivono nelle bidonville alla periferia delle grandi città come Caracas e al contadiname sparso su tutto il territorio venezuelano, concedendo le misere briciole della rendita petrolifera per continuare a gestire i proventi della commercializzazione dell’oro nero in termini assoluti, sotto l’involucro di un capitalismo di Stato di cui si è eletto unico amministratore. Nonostante le misere, quanto strumentali, sovvenzioni statali, le condizioni di povertà della stragrande maggioranza della popolazione sono rimaste pressoché inalterate. Complice la crisi internazionale, a partire dal 2009 queste condizioni si sono aggravate creando malessere e malcontento anche presso il suo elettorato che o si è astenuto o lo ha votato, ma in termini inferiori alle tornate elettorali precedenti, solo perché paventava una politica apertamente reazionaria da parte dell’altro candidato Henrique Caprile Radonski, espressione di un sedicente centro-sinistra di ispirazione neoliberale.
La crisi ha prodotto una pesante recessione, il Pil è diminuito nel 2009 del 3,2%, del 1,5% nel 2010 mentre è rimasto stazionario nei due anni successivi. E’ calato il prezzo del petrolio e le relative entrate per lo Stato, con la conseguenza di tagliare parte dei sussidi precedentemente erogati, e la disoccupazione, pur diminuita rispetto al 1999, è attestata al 8% secondo i dati governativi.
Crisi a parte, il suo populismo ruota su tre binari.
Il primo già citato, consiste nel dare le briciole a una parte dei diseredati per avere consenso politico e per garantirsi una pace sociale che altrimenti sarebbe fortemente a rischio.
Il secondo si basa su di un diffuso sentimento di antiamericanismo che da sempre attraversa le coscienze dei sudamericani. Antiamericanismo che, pur ferocemente impugnato a parole, non esime il nuovo “leader maximo” di avere negli Usa il partner petrolifero privilegiato, senza il quale le ambizioni egemoniche nel settore energetico dell’area sarebbero drasticamente ridimensionate, con tutte le ricadute negative del caso. “Business is business” e i profitti sono profitti anche nella via bolivariana al socialismo.
Il terzo poggia sull’ambizioso quanto mistificante progetto strategico di fare del Venezuela e, in prospettiva in un’area il più vasto possibile, un progetto di “moderno” socialismo. Al riguardo Chavez si è inventato le “Misiones bolivarianas” che altro non sono che dei centri, prevalentemente in zone agricole e/o di degrado sociale, che soccorrono le popolazioni più indigenti sul terreno della distribuzione alimentare, su quello della prima alfabetizzazione e a difesa degli indios.
Azioni “benemerite”, ma niente di rivoluzionario e che in occidente svolgono le Compagnie di carità, le Organizzazioni borghesi di ispirazione cattolica o iniziative private, senza nemmeno avere la disponibilità di una parte, seppur infima, della rendita petrolifera, ma con il medesimo intento, fatta eccezione per le iniziative private e laiche, di avere un ritorno in termini elettorali. L’altra invenzione è rappresentata dai Comitati di quartiere che avrebbero come maggiore prerogativa quella di chiedere al governo di migliorare le condizioni di vita degli abitanti rappresentati dai Comitati stessi. Altra azione “benemerita”. In qualsiasi società capitalistica e borghese è prevista una simile opportunità, indipendentemente dalla forma associativa che si danno questi comitati. Ed è evidente che una cosa è dare vita a esperienze associative di questo genere, altra cosa è far passare per rivoluzionarie istanze che non si esprimono dal basso, che non esercitano nessun potere, nemmeno marginale e periferico, presentandole come se fossero, senza dirlo esplicitamente, dei Soviet o dei Consigli operai e contadini. In questo caso la mistificazione raggiunge il vertice.
Le Misiones bolivarianas, come i Comitati di quartiere ben lontani dall’essere espressione di base di contadini, proletari e sotto proletari, finiscono per essere solo la strumentale invenzione centralistica partorita dall’alto, senza alcun potere in termini economici e politici, se non quelli di chiedere fondi e migliori condizioni di vita al capo indiscusso di un capitalismo di Stato la cui generosità è proporzionale alla pace sociale che riesce a ottenere. E poi, che senso ha parlare di esperimento socialista in Venezuela quando è palese a chiunque la confusione e l’inganno tra socializzazione dei mezzi di produzione e i processi di nazionalizzazione?
E’ pur vero che nel regime di Chavez ci sono servizi sociali che nel resto del continente sud americano si sognano, è vero che per gli anziani i trasporti pubblici e musei sono gratuiti, ma è anche vero che il leader maximo di Caracas si è ben guardato dal mettere mano ai rapporti di produzione e di distribuzione della ricchezza sociale. Anzi, c’è da prevedere che a completamento del suo mandato ventennale (2019) il decollo dell’esperimento socialista non muoverà nessun passo in avanti, mentre il capitalismo di Stato venezuelano potenzierà tutte le categorie economiche capitalistiche, pur lasciando un minimo di Stato sociale per la sua base elettorale, sino a quando la rendita petrolifera sarà in grado di garantirlo.
FDBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11-12
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