Della “rivoluzione” catalana

Il 27 ottobre il governo catalano ha dichiarato l'indipendenza formale dalla Spagna, che a sua volta contestualmente ne ha abolito l'autonomia. Nell'articolo di seguito ne indichiamo i caratteri di fondo, i motivi e le dinamiche politiche che hanno contraddistinto il conflitto fra Madrid e Barcellona, e l'indirizzo politico principale che ha catalizzato il terreno di mobilitazione di classi e strati di classe in Catalogna, che si sono fatte carico di portare in alto la bandiera dell'indipendentismo. Che il governo catalano abbia deciso di optare per la dichiarazione di indipendenza sull' “ultimo metro” della crisi è dovuto alla oramai effettiva presa d'atto della chiusura di ogni spazio di mediazione sia interna che internazionale , ricerca di una mediazione impossibile che ha contraddistinto ogni suo passo dal 1 ottobre in poi. In questo senso la crisi non si chiude ma cambia il suo carattere principale. La dichiarazione “di guerra” del governo di Madrid, avvallato da tutte le centrali imperialiste, porta lo scontro sul piano della forza reale e delle misure che si renderanno necessarie per ripristinare “l'ordine costituzionale”. In questa guerra fra “briganti borghesi” a rispettiva tutela dei propri interessi l'un contro l'altro schierati, il proletariato catalano e l'intero proletariato spagnolo rischia di pagare un prezzo altissimo.
Se la vicenda catalana rammenta a tutti la vera essenza del potere borghese, altrettanto ricorda come questo sia affrontabile solo in una unità di interessi e di schieramento dell'intero proletariato, non sotto le false bandiere di un “indipendentismo” borghese, ma sotto quelle dell'indipendenza di classe, che superi muri nazionali e interclassiti. E concretamente la ripresa di un progetto di “indipendenza di classe” dovrà farsi strada facendo i conti con le terribili condizioni poste dal potere borghese. Ma la caduta di ogni illusione sulla palingenesi del sistema a seguito dell'abbraccio di una frazione borghese contro l'altra, sarà solo il primo passaggio per ricostruire la trama della forza politica e organizzativa indipendente del proletariato. Alle sparute avanguardie spetta un compito immenso e difficilissimo.

Apparenza dello scontro lealismo vs indipendentismo

Il duro scontro che oppone Madrid a Barcellona - che si tinge da un lato, della mobilitazione lealista di massa accanto alla più sostanziale repressione, economica e politica; dall'altra sponda, nell'issare la bandiera dell'indipendentismo e della democrazia contro il potere “oligarchico” - va ricondotto, nelle sue ragioni di fondo, al quadro di crisi complessiva che ha investito il sistema capitalistico e nelle relative misure che i vari Stati hanno messo in piedi per farvi fronte.

Ridefinizione degli assetti statali

Questo processo a ogni passaggio ha rideterminato i livelli di compatibilità economiche funzionali alla riproduzione del sistema capitalistico nel suo insieme ed è stato la spinta di fondo su cui si sono andati a ridisegnare assetti istituzionali, decisionali, politici e le relazioni politiche e sociali fra le classi.

L'accentramento dei poteri e delle decisioni negli esecutivi, la massima centralizzazione del controllo dei fattori di spesa correlate a politiche economiche di “lacrime e sangue”, la ridefinizione autoritaria dei rapporti politici e sociali nelle relazioni di classe, ne sono stati i caratteri salienti.

Indirizzi funzionali anche al ruolo che gli Stati nazionali hanno avuto nel sostenere il processo di concentrazione e centralizzazione capitalistico, imperniato sulla costruzione di un blocco imperialista europeo, quale ambito idoneo a sostenere i livelli di concorrenza internazionale e, al contempo, a far fronte al ruolo adeguato a sostenere gli eventi di crisi e l'impegno militare a livello internazionale.

Un processo per niente lineare ed indolore, che nel suo procedere ha sollevato contraddizioni e lacerazioni.

Conseguenze sociali di tali riassetti

Le varie politiche di austerità messe in atto hanno intaccato profondamente le condizioni di vita del proletariato, riversandosi anche su quegli strati di classe di piccola e media borghesia che nelle fasi precedenti godevano di margini ancora sostenibili alla propria riproduzione in quanto settori di classe.

Questa dinamica e le relative contraddizioni che ne sono sorte hanno assunto aspetti peculiari e specifici (sebbene relativi ai caratteri propri della formazione economica e sociale capitalista), ripercuotendosi anche sui rapporti politici, sociali, di classe, di configurazione politica ed istituzionale.

Il terreno di scontro che oppone Madrid e Barcellona affonda le sue radici in questi presupposti di ordine generale declinati nella realtà specifica.

La crisi conduce allo scontro interborghese...

Il nodo fondamentale è stata la ricentralizzazione dei flussi di spesa che ha portato con sé la ristrutturazione dei poteri regionali e delle loro prerogative. Espressione di quella dinamica di crisi che seleziona anche interessi interborghesi, relativi spazi di manovra e mediazione a tutto vantaggio dei settori dominanti di borghesia.

… Mascherandolo come lotta popolare

Il processo di crisi non poteva che mettere in moto le classi sociali, a preservazione e difesa dei propri interessi.

La crescente radicalizzazione dei vari e diversi strati di classe catalani, si è intrecciato con l'iniziativa delle forze politiche dirigenti della regione, affannate alla conservazione dei propri equilibri politici di potere e alla ricerca della preservazione di un assetto di potere consolidato, che nel corso del tempo aveva visto erodere i suoi margini di mediazione e di tenuta complessiva del sistema economico-sociale specifico catalano.

Ben lungi dall'esprimere un punto di vista di alternativa al sistema, la “rivoluzione catalana” si è di fatto caratterizzata per essere un moto di difesa interclassita, per le componenti sociali che vi hanno preso parte e per i contenuti del suo “programma”, nella direzione effettiva in mano alle stesse forze politiche dirigenti della Catalogna.

La bandiera dell'«Indipendentismo» -- fatta propria dalla dirigenza borghese catalana, intorno cui si sono coagulati i vari settori e strati di classi in mobilitazione -- si è fin da subito dimostrata un rilancio ad una partita a poker ad altissimo rischio, sia quando assunta in termini “opportunistici”, al fine di mirare ad una rinegoziazione dei rapporti con il Madrid sullo Statuto di autonomia, sia se assunta come volontà di separazione dallo Stato spagnolo.

Il terreno dello scontro lo sceglie il più forte

Il primo dato obiettivo che risalta dai fatti è che il semplice terreno di “legittimità democratica” richiamato costantemente dal movimento catalano si configura come un indirizzo di prospettiva velleitario ed impotente, ovvero catastrofico, incapace cioè di dare uno sbocco effettivo alla situazione rispetto alle stesse sue proprie richieste. E ciò perché il terreno reale di scontro non è quello che balbettano i catalani, ma quello imposto dagli assetti e dagli interessi capitalistici dei settori dominanti di borghesia nell'odierna fase, di cui lo Stato spagnolo si fa garante in tutto, per tutto e nonostante tutto.

La bandiera dell' «Indipendenza» si infrange contro questo muro, dimostrando tutta la sua inconsistenza politica, poiché il nodo strategico, che non si può aggirare, investe direttamente la questione degli assetti complessivi della borghesia e del suo Stato.

Se da un lato pesano i mille fili che legano la borghesia catalana a quella di Madrid, la stessa ha “ricordato” a Barcellona come lo Stato sia l'organo di dominio della classe dominante e come una volontà propagandata di “separazione” e di aspirazioni “democratiche”, là dove confligga con gli interessi dominanti, sia affrontabile solo come un processo di conflitto politico e militare, per sanare la contraddizione.

La Spagna, in questa sua azione e in quanto Stato borghese, è “oligarchico” né più e né meno di tutte le democrazie rappresentative borghesi in questa fase di acuta crisi dell'imperialismo.

I caratteri della democrazia imperialista, ridefinizione della democrazia in senso autoritario

La Spagna è a pieno titolo una “democrazia imperialista”, seppur con i caratteri specifici dati dalla sua storia.

In quanto stato democratico-borghese ha incorporato al suo interno tutti i termini di dominio sviluppatesi nel corso delle sue vicende storiche - nonché dei livelli di conflitto fra le classi - e di quelli internazionali, che si sono dati. Oggi, dentro la crisi e il riemergere delle contraddizioni, tutti gli Stati democratico-borghesi non solo utilizzano il vecchio armamentario repressivo ma lo sviluppano in modi e dosi relativi ai problemi che affrontano .

In ciò matura quella tendenza di ridefinizione autoritaria degli stati imperialisti che formalmente non “annulla” il quadro democratico-borghese e i suoi diritti, ma lo svuota e lo ridefinisce dall'interno in nome e per conto degli interessi della classe dominante e delle risposte da dare sui nuovi livelli di compatibilità imposti dalla crisi, non ultimo verso il conflitto di classe, dove il livello di mediazione possibile si dà unicamente intorno al soddisfacimento degli interessi borghesi. Il mezzo coercitivo assume sempre più forma di governo delle contraddizioni o per riportarle su un piano accettabile o azzerarle.

A ragione di ciò basterebbe sottolineare come la Francia, (patria della Liberté, dell'Egalité, della Fraternité) ai primi di ottobre ha reso le misure di “emergenza” - messe in campo dopo gli attacchi degli attivisti dell' Isis e prorogate in questi due anni - permanenti.

Illusione democratica o aperto opportunismo?

Per questo appaiono anche fuori dalla realtà concreta quelle posizioni interne alla sinistra riformista catalana (e non solo) che dentro una equazione meccanicista intravedono il processo indipendentista catalano, oltre modo guidato e plasmato sugli interessi della borghesia catalana, come catalizzatore di un processo democratico generalizzato per tutta la Spagna e dell'Europa. Una posizione meccanicista e idealista perché appunto astrae dai reali fattori politici di scontro generali della realtà capitalistica ed imperialista odierna.

Il punto è che “NON fare la rivoluzione” facendo finta di farla, non è solo sintomo di impotenza o, peggio, di velleità reale, ma prepara il disarmo e la ritirata di domani, quale che né sia lo sbocco : di “compromesso” o di “tradimento” delle classi dirigenti catalane o di “tallone di ferro” di Madrid. Per giunta mandando al massacro della repressione statale decine di migliaia di persone, bruciandone energie entusiasmo e speranze di cambiamento.

Dura lezione dei fatti politici e storici ma la borghesia catalana non può né comprendere né andare oltre, per la prospettiva capitalistica che rappresenta, seppur da un angolazione diversa da quella di Madrid.

Crisi catalana frutto di contraddizioni reali...

Il secondo dato obiettivo che registriamo è che la crisi catalana non è “artificiale”, ovvero solo un processo innestato dall'alto dalle classi dirigenti di quella regione. Come abbiamo visto, al suo sorgere e manifestarsi presiedono i fattori di crisi generale del capitalismo e le sue ricadute sui processi di riassetto dei poteri e delle relazioni fra le classi.

... Ma dalla soluzione politica borghese

Ma se questo è il dato obiettivo, non indifferente è la prospettiva politica in cui l'emergere dei fattori di crisi matura. La crisi ha portato oggettivamente a polarizzare i contrasti di classe. Nel quadro generale due fenomeni si sono distinti quasi generalmente e si sono intrecciati fra loro.

Da un lato, un proletariato che di volta in volta, in difesa delle sue condizioni, ha dato vita a cicli di lotta di “resistenza” alle politiche di austerità della borghesia, ma ciò non ha impedito un ripiegamento generale della sua posizione di classe nei rapporti di forza generali; ma, sopratutto, che si è contraddistinto per la mancanza di una prospettiva generale di alternativa al sistema, limitandosi -- quando e se lo ha fatto -- a respingere gli attacchi subiti e di fatto collocandosi in forma subordinata e ausiliaria ai processi politici generali.

Dall'altro il coagularsi di spinte di strati di piccola e media borghesia colpiti dalla crisi che, al fine di preservare la propria condizione di classe, si sono inseriti all'interno dei processi politici borghesi, in termini di forza di mobilitazione e pressione, cercando uno sbocco alle proprie spinte politiche.

Questo processo, a secondo delle realtà specifiche, della forza immessa dal proletariato e dal carattere delle forze borghesi partecipanti, si è strutturato in prospettive politiche che dal riformismo fuori tempo massimo, ai populismi diversamente declinati, al nazionalismo identitario, hanno coagulato la prospettiva politica principale e generale delle mobilitazioni delle classi interessate.

Anche in Catalogna ciò è avvenuto.

Le mobilitazioni sotto la bandiera dell' «Indipendentismo» hanno coinvolto tutti gli strati e settori di classi colpiti dalla crisi, identificando in questo vessillo la prospettiva per dare soluzione ai propri interessi generali e collante politico che ha dato l'impronta dominante a tutto il movimento protestatario.

Nella mobilitazione generale la contraddizione di classe proletaria non è scomparsa come dato oggettivo, ma ha identificato i suoi interessi e si è collocata in termini politici, organizzativi e di coscienza con quelli dell'ondata indipendentista che ha sommerso tutto. Obiettivamente, la forza della classe proletaria si è collocata in modo subordinato e ausiliario alle forze borghesi dirigenti del processo indipendentista .

Il nazionalismo quale argine all'indipendenza proletaria

La disponibilità alla mobilitazione e a spendersi per la causa “indipendentista” di settori di classe proletaria, non è un punto a favore per intravedere chissà quali condizioni per la direzione del movimento, come qualcuno vagheggia, ma è l'ostacolo per assumere una posizione di indipendenza di classe nel perseguire i propri interessi.

Il nazionalismo, diversamente colorato, è il legaccio storico che ha legato mani e piedi le sorti del proletariato a quelle della borghesia. Il nazionalismo è interclassismo che divide proletari da proletari, sia a livello nazionale che internazionale.

La “rivoluzione catalana” non è andata, e non poteva andare, oltre il limite degli interessi che rappresentava e che l'hanno mossa. Il limite del confine era il limite degli interessi. Non poteva darsi, perché non era proprio alla sua spinta e al suo programma la possibilità (se non teorica ed astratta) di fare riferimento agli altri “popoli di Spagna” per una unità d'azione e di intenti (?!).

Il movimento indipendentista tutto dentro le logiche di leggittimità borghese, le stesse che ne negano l'agibilità

I riferimenti ricercati sono stati l'UE, i vari capi di stato dei paesi imperialisti, premi Nobel, tavoli di mediazione, santini e santoni vari... perché appunto il problema principale era quello di trovare una legittimazione capitalista che pesasse verso Madrid nel riconoscere questo processo indipendentista, dando in cambio garanzie in salsa capitalista. Che poi la UE, le alte cariche dei vari paesi abbiano risposto picche chiarisce ancora meglio come oggi devono essere fatti gli interessi imperialisti.

Alla bandiera nazionalista dell'indipendentismo catalano si è contrapposta sul campo quella altrettanto nazionalista dei lealisti unionisti della Spagna.

E' ovvio che ogni manifestazione messa in campo dalle due parti aveva lo scopo politico di influire a proprio vantaggio sulla condizione della lotta e a legittimazione del proprio agire.

Ma ciò non toglie che allo scontro di Classe contro Classe che come marxisti auspichiamo e a cui lavoriamo, si sia presentato invece lo scontro fra fazioni borghesi con tanto di truppe ausiliarie.

Crediamo che la vicenda catalana - così come quella greca a suo tempo, per altri versi - per quello che ci riguarda continui a vedere un proletariato che data la sua debolezza è intrappolato in una condizione di inferiorità, nonostante, in alcune sue frange, con generosità estrema faccia propria la partecipazione alla lotta. Che il terreno di scontro e gli obiettivi politici siano dettati dalla borghesia è un altro dato di fatto.

Il compito dei rivoluzionari, come in questo caso, pur costretti ad operare sul terreno di scontro imposto dalla borghesia e in condizioni difficilissime, è sempre quello di sottrarre il proletariato alla morsa della borghesia, dando carne e sangue al processo di INDIPENDENZA ED UNITA' DI CLASSE.

Processo di indipendenza ed unità di classe che non sorge per evoluzione spontanea dai movimenti interclassisti, per non parlare di un processo di direzione proletario, ma si configura come piano di rottura e separazione dei propri interessi da questi, proprio facendo i conti con la questione che ogni tipo di “soluzione borghese” alla crisi mai risolverà gli interessi del proletariato. Le “alleanze” transitorie hanno storicamente segnato la risoluzione in senso borghese delle crisi, anche le più acute, e la morte della prospettiva politica di classe, aprendo la strada a nuovi e più selvaggi termini di sfruttamento del proletariato e più stringenti termini di annichilimento della sua forza politica.

La “rivoluzione catalana” non sfugge a questa legge generale. Lo sbocco legalitario borghese, quali che ne sia la messa in forma, prepara la “controrivoluzione” più o meno soft, di domani.

La prospettiva politica del proletariato e della sua avanguardia non potrà che confrontarsi con questa condizione più dura e con i suoi limiti, ma facendo proprio l'insegnamento basilare che il riscatto della classe oppressa o sarà internazionalista - al di là di confini, limiti, corporazioni ecc... - o non sarà.

EJ
Giovedì, October 19, 2017