La Russia scarica 80 mld di debito americano

Un breve commento alla notizia di stampa apparsa sul quotidiano “Il Sole 24 ore” del giorno 24 luglio 2018 in cui si annuncia con giustificato allarme che la Russia ha venduto 80 miliardi di debito americano, ovvero di titoli di stato emessi dal governo di Washington per riconvertirli in Yen.

La mossa di Putin, anche se apparentemente improvvisa, era largamente attesa. Già mesi fa, come peraltro la Cina, Putin aveva dichiarato che la vendita delle sua merci, in primis petrolio e gas, si sarebbero effettuate in rubli e non in dollari. In quella fase la lotta dei dazi e dell'embargo commerciale su alcuni prodotti russi era solo all'inizio, e la mossa di Putin tendeva a fare del rublo una divisa che desse fastidio al dollaro incrinandone, almeno, l'egemonia totale sui mercati monetari.

Ma l'era Trump sta accelerando tutti i conflitti, da quello commerciale e quello monetario e finanziario, con una aggressività che non ha riscontri nella recente storia dell'imperialismo americano. Putin ha "improvvisamente" venduto titoli di stato americano per 80 miliardi di dollari convertendoli in Yen. Certo è una ritorsione che l'imperialismo russo ha adottato contro le pesanti misure di Trump, che hanno lo scopo di isolare l'economia russa dall'Europa e dal resto del mondo, per fiaccarne la resistenza e per renderla, da pericoloso concorrente, a comprimario nello scenario imperialistico mondiale. Ma è anche una misura che riduce i rischi della Russia dalla dipendenza del dollaro per quanto riguarda le scorte in valuta pregiata e in “asset” espressi in dollari. C'è poi il tentativo di correre meno rischi nei suoi pagamenti con l'estero che sino ad oggi venivano fatti in dollari, ben sapendo che la politica di Trump è orientata ad un rafforzamento del dollaro, aumentando i tassi d'interesse, il che comporterebbe un maggiore costo in valuta per i medesimi debiti precedentemente contratti.

Come si dice nell'articolo citato, se la stessa cosa la facesse la Cina (che detiene nelle sue casse oltre un trilione di dollari, più 800 miliardi gestiti dagli investitori speculativi cinesi), per gli Usa sarebbe una catastrofe finanziaria, e non solo, tenuto conto che l'economia reale americana vive sul debito e sul ruolo egemone del dollaro.

Uscendo però dai meccanismi valutari e dalle reciproche provocazioni, siamo in presenza di una fase storica che dire critica sarebbe un tiepido eufemismo. Dalla guerra dei dazi alla guerra delle divise, il passo è breve. Russia, soprattutto, e Cina accusano gli Usa di essere il parassita mondiale che usa il dollaro per ricattare tutte le economie internazionali, comprese quelle dei cosiddetti paesi emergenti, e di amministrare una rendita parassitaria basata sulla superiorità del dollaro quale mezzo di scambio di tutte le merci, quelle energetiche in particolare, che le consente di vivere al di sopra delle proprie capacità, usando la forza per mantenere questo stato di cose.

Mai come in questo momento il dollaro e l'Usa Army vogliono dettare legge, anche a rischio di rompere quel tenue equilibrio che sino ad adesso ha impedito al capitalismo mondiale in crisi di precipitare nel baratro di una guerra generalizzata.

FD
Giovedì, August 9, 2018