Trump e la crisi della General Motors

La leggenda metropolitana alimentata dallo stesso Trump in campagna elettorale e data per scontata sino a poche settimane fa, era che gli Usa sarebbero stati il primo paese ad uscire dalla crisi, che l'economia andava a gonfie vele e che i posti di lavoro sarebbero aumentati in progressione geometrica.

Non c'è una sola parola del presidente americano che risponda a verità. Gli Usa sono stati i primi ad adottare delle misure finanziarie che sono costate ufficialmente (QE) oltre 12 mila miliardi di dollari, il 60% del PIL americano, nel vano tentativo di uscire dalla crisi rimettendo in sesto l'apparato bancario nazionale. Hanno esportato fraudolentemente la crisi investendo tutti i mercati finanziari mondiali con i propri titoli tossici, mercato europeo compreso, facendo pagare una quota consistente della crisi al resto del mondo, creando disastri economici che ancora oggi permangono con tutti i fattori “collaterali “ del caso. Nonostante questo l'economia americana dalla crisi non è uscita ed un primo esempio è dato dalla situazione fallimentare della General Motors.

Sono ben 14.700 i posti di lavoro persi a causa della “improvvisa” proposta di chiusura di 5 fabbriche della General Motors nel Nord America: una in Canada e 4 tra Ohio e Michigan. I licenziamenti immediati, senza nessuna consultazione sindacale che comunque sarebbe stata ininfluente, riguardano 6 mila operai e 8.100 lavoratori del settore impiegatizio. Inoltre la GM ha chiesto a 18 mila lavoratori di andare in pre pensionamento con tanto di decurtazione della retribuzione pensionistica di circa il 30%.

Quello della GM non è un caso singolo ma solo la punta di un intero settore, quello automobilistico, che è in crisi profonda da anni. Al riguardo va ricordato che la GM, al tempo dello scoppio della crisi nel 2008, fu una delle imprese salvate dallo Stato, altrimenti avrebbe chiuso i battenti dieci anni fa.

Che poi l'economia americana, sotto la guida del tycoon, avrebbe fatto passi da gigante e creato milioni di posti di lavoro è risultato essere una beffa. Intanto gli stabilimenti della GM sono proprio in quei due stati, Ohio e Michigan, che Trump ha sottratto ai democratici con la promesse di un nuovo rilancio nel settore automobilistico. Poi i “nuovi posti di lavoro” creati su tutto il territorio americano sono poche centinaia di migliaia, posti precari, a termine, anche di pochi giorni, sottopagati e senza nessuna copertura sanitaria.

Tutta l'economia americana è letteralmente coperta da debiti che, tra pubblico e privato, arrivano a 247 mila miliardi di dollari, di cui ben otto mila riguardano il settore industriale. Ciò è possibile grazie alla forza del dollaro e alla forza delle armi pronte ad entrare in funzione al minimo pericolo per la traballante economia americana. Il presidente Trump, rozzamente, da cow boy arrogante, sta affrontando la situazione da par suo. Rinnega gli accordi sul clima di Parigi, diserta le assisi internazionali, rinuncia ad incontrare Putin rinunciando a qualsiasi mediazione alla crisi con l'Ucraina, anzi dandole maggiore impulso. In compenso ha le sue truppe che sparano in mezzo mondo, dalla Libia alla Siria, dallo Yemen all'Africa centrale con il solito scopo imperialistico di mettere le mani sulle materie prime strategiche, di imporre il dollaro come divisa universale e di distruggere per ricostruire in un'ottica di barbarie che non è solo indice della crisi economica americana ma di un capitalismo che non riesce ad uscire da questa crisi. E tutto fa pensare che ne stia preparando un'altra ancora più profonda con la conseguente dilatazione dei fronti di guerra e del loro nefasto fardello di miseria e morte.

FD
Lunedì, December 3, 2018