La crisi venezuelana

I recenti avvenimenti politici in Venezuela hanno portato alla ribalta una situazione economica devastante. La lotta per il potere tra Maduro e Guaidò, ovvero tra un presidente rieletto con brogli e frodi e un candidato avversario che si è proclamato presidente, oltre a dare del Venezuela un'immagine grottesca, nasconde i veri scenari di una tragedia economica, politica ed umana.

Facendo dell'estrema sintesi uno strumento di indagine parziale ma corretto, possiamo dire tre cose.

La prima è che nelle vicende politiche che stanno travagliano il governo di Caracas e della sua opposizione, non manca lo zampino degli Usa. Nell'agenda di Trump la crisi venezuelana è la chiave d'ingresso in quel sud America che da troppi anni è sfuggito al controllo di Washington e in cui la crisi attuale, se ben sfruttata, potrebbe ricreare tutte le condizioni di sudditanza economica e politica al grande imperialismo americano. Guaidò non solo ha ricevuto l'avallo e l'aiuto finanziario di Trump, ma se le cose dovessero portare alla guerra civile, all'auto proclamatosi presidente arriveranno armi e investiture politiche che farebbero del Venezuela il perno centrale della “riconquista yankee” di tutto il sud America, Brasile compreso.

La seconda non può che riguardare la causa prima di tutta questa situazione in pericoloso fermento, non tanto nelle sale del governo centrale di Caracas, quanto nelle strade della capitale e dei centri di maggiore importanza economica, ovvero la crisi che ha letteralmente devastato quello che, nelle fantasie bolivariane di Chavez prima e Maduro poi, sarebbe dovuto diventare il “nuovo” socialismo che avrebbe risolto i problemi di una povertà atavica, di uno sfruttamento che non è mai cessato, ergendosi, grazie alla rendita petrolifera, a faro della emancipazione del proletariato venezuelano.. Ma dieci anni di crisi hanno tolto il velo alle false illusioni che i chavisti hanno alimentato all'interno della popolazione venezuelana col solo scopo di mantenersi una solida base elettorale, investendo le briciole della rendita petrolifera in operazioni di welfare a basso costo e ad alto rendimento di consenso politico.

L'inflazione (fine 2018) è arrivata a 1 milione % rendendo i salari praticamente nulli. Con uno stipendio un lavoratore può comprarsi due dozzine di uova o un hamburger non farcito (dati forniti dalla Caritas internazionale).

Il Pil in 5 anni è passato da 480 a 93 miliardi di $, a dimostrazione che, al di fuori delle entrate petrolifere, i due governi bolivariani non hanno pensato minimamente di creare nuove infrastrutture, a reinvestire in settori portanti come l'agricoltura e l'industria leggera. Crollato il prezzo del greggio, tutto è finito, compresa la capacità di estrazione che si è dimezzata. Nel 2015 la produzione petrolifera era di 2,4 milioni di barili giorno, nel 2018 era arrivata a 1,4.

Di riflesso, la popolazione si è trovata sommersa dall'inflazione, con salari da fame, tanto che, secondo le statistiche del FMI, il 91% dei venezuelani vive sotto la soglia di povertà. La disoccupazione è ufficialmente al 34%, ma nella realtà non ci sono dati sufficienti a quantificare il fenomeno. Con un salario medio, per chi ce l'ha, di 5 milioni e 200 mila bolivares (al cambio valgono un dollaro e trenta) si mangia un giorno sperando di essere vivi il giorno dopo.

La terza considerazione riguarda la colossale bugia della via bolivariana al socialismo. Premesso che la crisi ha fatto il suo in termini di devastazione e che il governo Trump anche di più per mettere in crisi il Venezuela, rimane il fatto che da Chavez a Maduro, in stretta continuità strategica, la classe dirigente ha pensato soltanto a sfruttare l'occasione della ricca rendita petrolifera senza pensare seriamente alle sacche di povertà e di disoccupazione che la crisi ha solo messo in maggiore evidenza. La classe dirigente ha concesso con grande parsimonia le briciole di tanto business, solo per garantirsi una base elettorale che le permettesse di continuare ad essere ai vertici di un capitalismo di stato basato sulla ricca rendita petrolifera e contrabbandato per socialismo. La contrapposizione tra Maduro e Guaidò non è lo scontro tra una società socialista in difficoltà e una reazione capitalista all'assalto del potere. E' solamente una pesantissima tensione con scontri violenti di piazza tra manifestanti e polizia, una sorta di latente guerra civile tra chi ha usufruito sino ad ora dei benefici di una ricca rendita petrolifera, esportando capitale finanziario nei paradisi fiscali, giocando alla speculazione sui mercati internazionali senza pensare minimamente all'investimento produttivo interno, e chi, sfruttando la situazione di crisi e il derivante malcontento popolare, si vuole sostituire nella gestione del potere con uguale arrogante cinismo. E come sempre chiamando, in nome di un falso socialismo e di una falsa democrazia, entrambi corrotti sul terreno politico, su quello della speculazione parassitaria, e su quello economico-finanziario, il devastato proletariato venezuelano a combattere una guerra che, da qualunque parte la si guardi, è sempre al di fuori dei suoi interessi di classe.

Sempre che i grandi imperialismi non ritengano di giocarsi la partita venezuelana, il suo petrolio e il suo peso strategico nello scacchiere sudamericano, alla stregua della Siria, dando vita ad un'altra carneficina con riflessi internazionali ancora più tragicamente gravi. Gli schieramenti sono già pronti, da una parte la Russia, Cina e Turchia, dall'altra gli Usa, buona parte dell'Europa con l'appoggio bi-partisan dei paesi sudamericani, che da un'alleanza piuttosto che di un altra, sperano di ricavarne dei vantaggi economici o soltanto politici. Manca la risposta proletaria che va ricostruita, sottraendola alle false promesse e agganciandola a una strategia internazionalista, espressa da un partito internazionale che sia in grado di mostrare ai proletariati del mondo l'unico percorso possibile, quello della rivoluzione, dell'anticapitalismo con qualunque maschera si presenti.

FD, 27 gennaio 2019
Lunedì, January 28, 2019