Anche l’Olanda ha fatto puff

Fino a poco tempo fa il paese di Bengodi erano gli Stati Uniti. Che si parlasse di occupazione, di assistenza sanitaria o di pensioni sembrava che non ci fosse altro esempio da seguire che l’America. Poi, caparbia, la realtà ha cominciato a emergere e si è scoperto che il Bengodi non era altro che una gigantesca balla. I posti di lavoro creati erano molto meno di quanto lasciavano credere le fonti ufficiali e il numero dei disoccupati, se calcolato con gli stessi parametri in uso in Europa, risultava addirittura superiore a quello medio registrato nel vecchio continente. Di fronte all’evidenza di questi dati, i politici, gli economisti e gli intellettuali borghesi nostrani per un po’ hanno fatto finta di niente, poi, quando ad avallarne l’autenticità sono intervenuti anche personaggi come l’ex ministro del lavoro statunitense, si sono messi alla ricerca di un nuovo modello capace di dare credibilità alla politica dei tagli allo stato sociale e di riduzione dei salari come l’unica politica economica capace di dare soluzione al problema gigantesco della disoccupazione crescente. Così, nel volgere di qualche mese, il Bengodi ha cambiato nome e si è chiamato Olanda. L’Olanda - si dice ancora oggi - ha un tasso di disoccupazione del 7,4 per cento contro un tasso medio europeo del 12 suscettibile di scendere fino al 5 per cento nei prossimi anni se solo si provvedesse a introdurre ulteriore flessibilità nel mercato del lavoro ancora - secondo il pensiero unico dominante - troppo rigido a causa degli elevati oneri sociali. E tutto ciò grazie al fatto di aver per tempo provveduto a riformare il sistema di protezione sociale senza abbatterlo. Un vero miracolo insomma, una terza via fra il modello anglosassone basato sulla più sfrenata liberalizzazione del mercato del lavoro e quello europeo tradizionale ormai in crisi. Un modello capace di coniugare la crescita dell’economia con un bilancio pubblico sano e il benessere dei lavoratori con i bilanci in attivo delle imprese. Poiché l’Olanda è riuscita nella quadratura del cerchio non resta, dunque, che seguirne l’esempio e procedere con più determinazione sulla strada del risanamento dei conti pubblici e alla riforma del cosiddetto stato sociale.

In questi giorni, però, la società di studi e ricerche economiche McKinsey ha reso pubblico un rapporto in cui si fanno le pulci alle statistiche olandesi e così si è scoperto che si, è vero che il tasso di disoccupazione è pari al 7,4 per cento, ma ciò solo grazie al fatto che dal computo sono esclusi gli invalidi che in Olanda costituiscono ben il 9 per cento della popolazione attiva e poiché l’invalidità è riconosciuta a tutti coloro che non sono è in grado di svolgere le mansioni dell’occupazione precedente, essa è quasi sempre un vero e proprio sussidio di disoccupazione. Infatti, se in Olanda le pensioni di invalidità venissero assegnate soltanto a coloro che non sono in grado di svolgere più alcun lavoro come nel resto d’Europa, il tasso di disoccupazione salirebbe immediatamente al 12,6 per cento e supererebbe addirittura il 15 per cento se si tenesse conto dei sussidi che ricevono i lavoratori part-time per le ore non lavorate e che consentono loro di non cercare una seconda occupazione. “ In totale - ci informa La Repubblica - Affari e Finanza del 6/10/1997 - considerando tutte le altre forme di disoccupazione latente, il tasso disoccupazione reale in Olanda sarebbe del 20 per cento.” E pur se la disoccupazione è sottovalutata in tutto il mondo, in nessuno - precisa il rapporto - ... “la differenza fra il tasso ufficiale e il tasso effettivo non è mai così ampia come in Olanda.” Anche se si prendono in considerazione le ore effettivamente lavorate, Il miracolo olandese ne esce alquanto ridimensionato. Nel 1985, a causa dei processi di ristrutturazione esso era pari ai 2 terzi di quello tedesco e statunitense, ma nonostante da allora si sia registrato un certo recupero, nel 1995 il numero di ore lavorate pro capite restava del 10 per cento inferiore a quello tedesco e del 50 per cento inferiore a quello statunitense. Ciò si spiega con il fatto che il numero dei lavoratori part- time in Olanda è il più alto in Europa e supera di un quarto anche quello americano.

I disoccupati olandesi in realtà sono diminuiti solo perché è stato diviso un certo numero di ore di lavoro su un numero più grande di lavoratori e solo la presenza di quegli ammortizzatori sociali che si dice essere il principio di tutti i mali ha impedito che l’impatto di un tale suddivisione sulle condizioni di vita dei lavoratori divenisse drammatico.

Il miracolo Olandese senza i sussidi per le ore non lavorate concessi ai lavoratori in part-time e le pensioni di invalidità elargite con disinvoltura democristiana, non esisterebbe neppure a livello di imbroglio statistico. Come più volte abbiamo sottolineato, l’introduzio-ne della microelettronica nei processi produttivi ha reso la crescita della disoccupazione un fatto permanente e strutturale del capitalismo a cui nessuna politica economica è in grado di dare risposte risolutive tanto è vero che ora anche in Olanda le cose stanno cambiando. Non solo le pensioni di invalidità vengono concesse con sempre minore disinvoltura e negli ultimi anni sono diminuite di circa un terzo, ma si fa sempre più pressante la richiesta di tagliare il sussidio alla disoccupazione che, coprendo circa il 78 per cento del salario medio, disincentiverebbe i disoccupati dalla ricerca di un nuovo lavoro. Insomma, come in Italia, come in America, come in ogni parte del mondo anche in Olanda la musica è sempre la stessa: più lavoro e meno salario, a riprova che i miracoli non sono cose di questo mondo.

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.