La finanziaria e il prode Bertinotti

Nel mondo delle effimere apparenze anche i socialde-mocratici, quando alzano la cresta, sembrano fare paura alla borghesia. In un momento in cui tutto congiura contro il mondo del lavoro, quando gli attacchi alla classe lavoratrice dilagano dalle normative sui contratti al contenimento dei salari, dalla precarietà del posto di lavoro alla disoccupazione, dalla condizioni di vita sempre più precarie allo smantellamento dello Stato sociale, che bello sentire, con tutti i limiti politici e programmatici di questo mondo, qualcuno che parla in difesa degli interessi di chi lavora. Quanti cuori proletari , in questi giorni di latente crisi del governo sulla tanto discussa finanziaria, hanno palpitato in sintonia con le “ferme” parole dell’onorevole Bertinotti. Quante illusioni e false speranze sono state alimentate da Rifondazione comunista che ha prodotto sullo scenario della crisi economica italiana la sua rappresentazione politica. Ma pur tenendo conto dei limiti del neo riformismo, della matrice borghese di Rifondazione, del particolaris-simo momento storico nel quale le vicende economiche e politiche italiane sono legate all’Europa e alla sua costituenda struttura monetaria, é vera gloria, oppure siamo in presenza del solito gioco delle parti praticato per l’ennesima volta sulle spalle di chi lavora e crea la ricchezza sociale.

Rifondazione ha tuonato che questa finanziaria non l’avrebbe mai votata anche a costo di mettere in crisi quel Governo di centro sinistra che ha potuto nascere anche, se non soprattutto, grazie ai suoi voti. Rilanciando sul terreno dell’occupazione, delle pensioni di anzianità, sull’orario di lavoro a 35 ore entro il duemila e sull’assunzione da parte dell’Iri di trecentomila giovani disoccupati meridionali nell’arco di cinque anni. No, dunque, alla finanziaria perché nel suo contenuto, oltre alle “giuste” mazzate non c’é traccia di politiche economiche che vadano incontro alla disoccupazione, che si ispirino allo sviluppo economico nel meridione e che tutelino in qualche modo i pensionati e i pensionandi dopo decenni di lavoro, e che quindi, questo ulteriore sacrificio da 25 mila miliardi finirebbe per favorire soltanto l’imprenditoria, il capitale e nulla andrebbe al già tartassato mondo del lavoro. Ben detto, ma a questo punto si impongono una serie di considerazioni. La prima, sulla quale hanno insistito tutti, dagli avversari agli alleati politici della coalizione di Governo. Perché Rifondazione dopo aver accettato finanziarie ben più pesanti per oltre 100 mila miliardi si è impuntato proprio su questa. Perché ha firmato a luglio il Dpef che non solo disciplinava questa stessa finanziaria ma che prevedeva un onere sotto forma di tagli e di tasse di 10 mila miliardi in più di quello che poi é stato proposto dal Governo Prodi. Perché dopo aver contribuito a risanare i bilanci dello Stato secondo i parametri di Maastricht, interamente pagati dai lavoratori, necessità europeista condivisa anche se soltanto successivamente, ad un passo dal “successo” finale Bertinotti e compagni hanno mostrato di voler vanificare quella costruzione di politiche dei sacrifici che porta ,tra le altre, anche la loro firma.

La seconda. Perché Bertinotti ha puntato i piedi sulla più blanda delle finanziarie quando avrebbe dovuto scatenarsi su quelle precedenti molto più pesanti sia in termini quantitativi che di qualità negli attacchi contro il mondo del lavoro.

La terza. Perché Bertinotti, indipendentemente da quest’ultima stangatina, ha appoggiato un Governo che era palesemente nato con il compito di sferrare il più grande attacco ai lavoratori nella storia politica dell’Italia, almeno dal secondo dopoguerra ad oggi.

Ed infine, perché proporre demagogicamente una serie di rivendicazioni che non sono assolutamente compatibili con il capitalismo italiano né oggi, né nel duemila, quando nemmeno un anno fa ha firmato quell’orrendo “patto per il lavoro” che per un pugno di posti di lavoro, 20 mila sui 100 mila promessi e mai realizzati, ha consentito al capitale di usufruire dei contratti d’area, dei salari d’ingresso, dei contratti a brevissimo termine e della più selvaggia mobilità, per non parlare del lavoro interinale ecc.

Le risposte sono state pronte e semplici, dette e ridette e ribadite in Parlamento nella seduta del 7 ottobre in risposta alle domande del Ministro Prodi e alle accuse degli avversari politici. “Abbiamo appoggiato la nascita del Governo di centro sinistra per battere le destre e non abbiamo votato questa finanziaria, dopo aver accettato le altre, perché ritenevamo che quest’ultima fosse quella dello sviluppo, della occupazione”. Un po’ come dire, dopo tante finanziarie di sacrifici, almeno una di sviluppo economico e che tenesse conto dei posti di lavoro soprattutto nel Meridione.

È proprio in queste risposte che vanno ricercate le contraddizioni, le falsità e le ingenuità delle posizioni neo riformistiche di Rifondazione. Come sostenere la tesi secondo la quale far nascere e mantenere in vita questo Governo era la necessaria condizione per battere le destre, i loro programmi antipopolari, quando tutti, da Agnelli alla Confindustria hanno esplicitamente dichiarato che il governo di centro sinistra era chia-mato a fare il lavoro sporco. Quel lavoro di attacco e compressione delle condizioni di vita di milioni di lavoratori, sotto forma di conteni-mento del costo del lavoro, finanziarie, smantellamento dello Stato sociale che la destra non avrebbe potuto fare, non perché incapace, ma perché avrebbe riempito le piazze con seri problemi sulla gestione della pace sociale. Il grande capitale, l’insieme dei “poteri forti” e la finanza hanno lavorato perché il Governo Berlusconi cadesse e perché L’Ulivo arri-vasse a gestire l’ennesima politica dei sacrifici, la più dura e pesante che mai sia stata proposta. Solo il governo di centro sinistra avrebbe potuto portare a compimento il lavoro sporco senza riempire le piazze e senza attecchire l’odio di classe. E questo é stato fatto. Quando il Governo Berlusconi aveva varato un progetto di revisione del sistema pensionistico, la sinistra e i sindacati hanno mobilitato un milione di lavoratori creando le condizioni della caduta di quel Governo. Quando la sinis-tra é andata al potere non solo si é messo mano alla riforma delle pensioni ma si é colpita la sanità, si é varata la più pesante delle finanziarie nella storia economica e sociale dell’Italia senza che ci fosse una sola manifestazione, con un solo dimostrante ad opporsi ad un simile attacco. In compenso la sinistra e i Sindacati hanno portato in piazza un milione di manifestanti contro la Lega per l’unità dell’Italia del capitale e dei sacrifici.

Sul fatto, poi, che questa ultima finanziaria potesse essere quella dello sviluppo e della occupazione, che potesse interessarsi della riduzione dell’orario di lavoro e che potesse garantire entro il due mila trecentomila posti di lavoro erogati dall’Iri, sfiora il ridicolo. Innanzitutto va detto che le finan-ziarie, l’attacco ai salari, lo smantellamento del Welfare non sono soltanto un tributo a Maastricht, sono anche, se non soprattutto, il segno di un capi-talismo decadente che per sopravvivere e per tamponare le proprie contraddizio-ni non può che assaltare la forza lavoro, prendersela con i pensionati e i malati. Una seria opposizione a tutto questo avrebbe dovuto passare per una ripresa della lotta di classe, contro tutte le finanziarie e contro la crisi del capitale che le ha generate, non accettandole tutte per poi prendersela con l’ultima, che altro non é che la logica conseguenza di tutte le altre, e che comunque ultima lo é solo per l’anno in corso ma non per quelli a venire.

Nei fatti l’atteggiamento oltranzista di Bertinotti e compagni va visto sotto un altro profilo. In questa occasione Rifondazione ha giocato una partita tutta interna alla “sinistra” nella quale la finanziaria ha rappresentato di volta in volta una occasione, uno strumento da brandire come arma politica, ma non è mai stata il vero obiettivo. Il primo motivo di tanta determina-zione risiede nella rabbia con la quale Rifondazione ha appreso dell’iniziativa del Governo di mettersi preventivamente d’accordo con i Sindacati scavalcandola a piedi pari. Da qui le feroci critiche a Prodi, D’Alema e Cofferati rei di aver tramato alle sue spalle dopo i tanti servigi resi al Governo, dopo aver dimostrato uno straordinario senso di respon-sabilità per le compatibilità del sistema economico e dopo aver fatto ingoiare tanti rospi ai lavoratori manovrando perché il malumore non sfociasse in rabbia o in episodi di violenta contesta-zione.

Il secondo motivo é tutto interno a Rifondazione e alla base. Pur tenendo conto che la sua base sociale é prevalentemente composta da intellettuali e ceto medio, esiste ancora una componente proletaria che ha premuto perché Bertinotti non cedesse per l’ennesima volta, pena una grave crisi interna con rischi di fratture politiche ed organizzative. E Bertinotti non se l’è sentita di fare la voce grossa per poi firmare come aveva fatto in tutte le occasioni precedenti, ma ha dovuto fare soltanto la voce grossa e lì fermarsi.

Il terzo motivo é rappresentato dallo scontro con il Pds di D’Alema, sia per una egemonia elettoralistica nell’ambito della sinistra istituzionale, sia per una revisione in termini proporzionale della legge elettorale che darebbe a Rifondazione più voti, più spazi di manovra, più potere contrattuale all’interno degli schieramenti politici.

Piaccia o no, per il proletariato italiano il destino futuro, così come la quotidiana salvaguardia dei suoi interessi economici, non passano certamente dalle schermaglie politiche di Rifondazione che svariano dalla accettazione di tutte le politiche dei sacrifici alle improbabili richieste radical riformistiche, passando dalle lotte e ripicche con le forze alleate di Governo, ma dalla ripresa della lotta di classe. O il proletariato avrà la forza di esprimere una identità di classe contro ogni forma di governo, contro ogni finanziaria da qualunque parte politica provenga, contro ogni cedimento sul fronte degli interessi di classe, e allora si potranno aprire spiragli di riscossa. Oppure, sia che questo Governo rimanga in piedi o che si vada verso la crisi, sia che si determini l’ennesimo avallo di Rifondazione o meno, tutto, dalle finanziarie alle pensioni, dallo smantellamento dello Stato sociale all’attacco dei salari si abbatterà sulle spalle dei lavoratori perchè questa società capitalistica non può fare altro.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.