L'incubo nucleare - Le centrali nucleari sono sicure?

Da un’opuscolo pubblicato nel 1986 a seguito del disastro di Chernobyl

Il primo problema da affrontare è questo: quanto e sino a che punto sono sicure le centrali nucleari? Ovvero: i sistemi di controllo forniscono garanzie di sicurezza per l'immediato e alla prova del tempo?

È vero che gli impianti nucleari contengono molti sistemi di controllo per prevenire gli incidenti; tali sistemi prevedono l'uso di molteplici barriere fra materiali radioattivi e l'ambiente esterno e sono studiati per poter fronteggiare gli "incidenti di progetto". Per altri tipi di incidenti non esiste nessun tipo di difesa idonea. L'unica attenuante sarebbe l'alta "improbabilità" del loro verificarsi. Ma, lo sappiamo, i piccoli incidenti sono all'ordine del giorno senza che se ne possano conoscere i loro reali effetti sull'ambiente circostante. Ma come stanno invece le cose per quanto riguarda la possibilità di incidenti gravi? Vorremmo citare una fonte non sospetta di "antinuclearismo" come l'americana Fondazione Ford che nel "Progetto per una politica dell'energia" del 1975 dice chiaramente che la rottura (per i reattori ad acqua leggera) di uno dei grossi tubi che portano l'acqua di raffreddamento dal nocciolo del reattore all'esterno e viceversa non è impossibile.

In questa eventualità - continua - dovrebbe intervenire il sistema di raffreddamento di emergenza che fornirebbe al nocciolo altro refrigerante, impedendo cosi che l'incidente diventi pericoloso per la sicurezza pubblica. Ma se avvenisse una rottura nelle tubazioni e se anche il sistema di emergenza non funzionasse, il calore generato basterebbe a fondere il combustibile in pochi minuti; allora tutta una catena di eventi porterebbe ad una fuga di radioattività attraverso tutte le strutture di contenimento, con conseguenze ambientali potenzialmente catastrofiche; alla fine il combustibile fonderebbe tutti i manufatti circostanti.

Ma c'è di più. Più avanti si può leggere:

nel caso, ad esempio, di una rottura del contenitore del reattore stesso, il sistema di raffreddamento di emergenza non potrebbe impedire una massiccia fuoriuscita di radioattività verso l'ambiente stesso.

Da cosa inoltre dovrebbe dipendere la sicurezza delle centrali? I rischi connessi al loro funzionamento dipendono ovviamente da vari fattori fra cui: densità demografica, sismicità, efficienza dei sistemi di emergenza, piani di evacuazione, controllo dei sistemi ecc. Potremmo subito fare una facile critica, condivisa peraltro ormai quasi da tutti, che nessuna precauzione è stata mai seriamente presa per ciò che riguarda i suddetti fattori di rischio. Le centrali sorgono e sorgeranno laddove il capitalismo ritiene di ottenere minimi costi di gestione per aumentare il più possibile i preventivati margini di profitto.

La sicurezza è però anche padronanza delle tecnologie. Basta guardare ai dati per comprendere come la tecnologia nucleare sia una tecnologia assolutamente immatura. Gli impianti devono continuamente essere spenti a causa di guasti continui. Si registrano tempi e tassi di utilizzazione (veramente troppo modesti per megaimpianti di tale fatta) che vanno dal 40 al 60 per cento nel migliore dei casi.

Ma può tale tecnologia maturare a danno e a spese dell'intera specie umana? I tempi di tale maturazione potrebbero essere oltremodo lunghi e nel frattempo aumenterebbero a dismisura le possibilità di gravi incidenti e, dunque, di un inquinamento atmosferico da radiazioni di livello catastrofico.

Un reattore nucleare è costituito da milioni di componenti. Ciò obbliga ad abbandonare un controllo deterministico sull'impianto. Non è mai possibile conoscere costantemente e in ogni punto lo stato del sistema; allora si ricorre ad un controllo di tipo statistico, fondato sul calcolo delle probabilità. E di più non si può fare.

Può essere ciò ritenuto sufficiente? No, perché non è possibile stabilire e prevedere tutte le eventualità che possono determinare un guasto. Per fare un esempio il famoso Rapporto Rasmussen del 1974 dava l'incidente catastrofico, cioè la fusione del nocciolo, con una probabilità di un evento per ogni miliardo di reattori funzionanti per un anno sulla Terra. Poi il Rapporto Lewis del 1978 spostò questa probabilità in una su 100 mila - l milione di reattori in servizio per lo stesso periodo di un anno. Incidenti gravissimi come quelli di Three Mile Island e Chernobyl erano stimati con probabilità di un evento ogni diecimila reattori in funzione. Con soli 340 impianti oggi in servizio in tutto il mondo, si sono avuti i già citati, gravissimi incidenti. Ciò conferma la scarsissima attendibilità che hanno le stime basate sul mero calcolo delle probabilità. Sono calcoli addomesticati, al servizio di sua maestà il capitale. Noi diciamo: "Non si possono e non si devono correre simili rischi, quando sappiamo che la elettricità può essere prodotta in tantissimi modi. Il nucleare è un sistema che mette a repentaglio la vita di interi popoli e, addirittura, la possibilità di sopravvivenza dell'intera specie umana.

Rischi immediati e futuri del nucleare

Oltre al problema degli incidenti, sempre possibili, ve ne sono alcuni di non minore entità e importanza, legati all'uso e all'esistenza delle centrali nucleari. Vediamone alcuni.

  1. Trasporto del combustibile esausto. Il combustibile nucleare, dopo essere stato utilizzato nel reattore, viene trasportato in un impianto di ritrattamento (situato in genere a centinaia di chilometri di distanza) in cui l'uranio e il plutonio verranno separati dagli altri prodotti residui della fissione. Il trasporto avviene per ferrovia, su autocarri o su navi in recipienti schermati in modo da evitare la fuoriuscita di radiazioni. Questa fase è espostissima all'eventualità di incidenti nonostante le rassicurazioni delle autorità; i rischi sono elevatissimi con conseguenti gravissimi pericoli per la collettività a causa della possibilità di fuoriuscita del cesio radioattivo. E poi fino a che punto i contenitori potrebbero resistere? Perché non si sono mai condotte serie sperimentazioni a riguardo con contenitori carichi e in condizioni di incidente simulato per dare un fondamento alla valutazione dei rischi adesso solo teorica? Semplice! Perché sono sperimentazioni costose che non "restituiscono" utili ma solo oneri economici. Al capitalismo è mai interessata la vita delle popolazioni civili più di quanto non interessi il profitto?
  2. Controlli di fabbricazione e di funzionamento. I dati in possesso, riguardanti i controlli qualitativi delle centrali nucleari sono tutt'altro che rassicuranti. Ogniqualvolta viene evidenziato un qualche inghippo, lo si definisce, semplicemente, "disturbo di crescita"; sono invece sintomi di difficoltà di base, strutturali. Lo sfruttamento dell'energia nucleare richiederebbe standard qualitativi in sede di progettazione e di costruzione e, ovviamente, durante il servizio, talmente elevati da risultare da un punto di vista capitalistico, irraggiungibili.
  3. Isolamento delle scorie radioattive. L'eliminazione dei residui letali prodotti nelle centrali nucleari è un problema serissimo che riguarda il presente e il futuro, da quello prossimo a quello più lontano e lontanissimo. I prodotti della fissione come lo stronzio-90 e il cesio-137 vanno isolati per diverse centinaia di anni. Gli attinidi in particolare (come il plutonio-239) , prodotti nei reattori in processi non di fissione, vanno invece isolati per un milione di anni almeno. Come si può avere la certezza che le cosiddette "cripte" di deposito potranno rimanere intatte nel tempo? Il luogo di conservazione deve essere immune da inondazioni, da terremoti e da intromissioni dell'uomo. C'è poi il pericolo che con il passare dei secoli vada perso il ricordo della pericolosità delle zone prescelte. Come sì può ben notare, il capitalismo lascerà una ben pesante eredità alle generazioni future e, soprattutto, alla futura società (quella socialista, per intenderci) che andrà a sostituire quella marcia e putrescente del presente.
  4. Smantellamento delle attrezzature. Le attrezzature nucleari obsolete (reattori e impianti di ritrattamento del combustibile) devono, dopo al massimo 25-30 anni di servizio, essere messe fuori esercizio. Lo smantellamento è un'operazione molto pericolosa a causa della loro contaminazione radioattiva. Chi sarà in grado di assumersi la responsabilità di simile operazione? Chi ne sosterrà gli elevatissimi costi? Questi costi verranno poi compensati nell'economia generale del "ciclo dei combustibili nucleari" (1)?
  5. Il problema plutonio. L'umanità dovrà maneggiare il plutonio praticamente senza limiti di tempo. Questo è il prodotto dei reattori nucleari ed è il combustibile dei reattori veloci autofertilizzanti. Il plutonio-239 fra le sostanze conosciute è una delle più tossiche per l'uomo. Ne bastano 3 mg. depositati nel polmone per uccidere una persona per distruzione radiologica del tessuto adiacente. È almeno 20 mila volte più tossico del cianuro di potassio e 1000 volte più tossico dei potentissimi gas nervini. Una esposizione della popolazione può avvenire in varie fasi del ciclo del combustibile: l'emissione potrebbe verificarsi accidentalmente durante il trasporto oppure negli impianti di ritrattamento. Particolarmente preoccupante è l'attuale sistema di eliminazione di residui contaminati da plutonio che vengono smaltiti nei "cimiteri" dei residui radioattivi commerciali, dove la sepoltura è approssimativa e dove, spesso, non si procede neppure alle adeguate e necessarie registrazioni. Poiché i "cimiteri" commerciali non sono perfettamente isolati, è inevitabile che prima o poi una parte del plutonio che vi è sepolto raggiunga l'ambiente esterno; con le conseguenze facilmente immaginabili.
  6. Le temute ed eventuali azioni di violenza nucleare. È un pericolo legato ad eventuali atti di sabotaggio, a scopo criminale o terroristico. Le ipotesi variano dall'uso di materiali per la costruzione di armi atomiche procurati da furto, al danneggiamento degli impianti in servizio volto a provocare la fuoriuscita di materiale radioattivo. Nell'ambito del capitalismo ove le contraddizioni sono così acute, ove i motivi di contrasto fra gruppi e fazioni si possono manifestare con estrema crudezza e violenza, ove i motivi di disperazione possono sfociare nella manifestazione della follia pura (individuale o di gruppo), tali ipotesi aggiungono altre ragioni di opposizione all'uso del nucleare, sia pure per scopi "civili" e "pacifici" (ammesso per assurdo che il capitalismo possa fregiarsi di tali aggettivi).

L' inquinamento radioattivo

Le autorità insistono nel dire che la radioattività emessa da una centrale nucleare non è che una piccola frazione della radioattività naturale (il cosiddetto "fondo" radioattivo naturale); nasconde abilmente, tutto ciò, gli effettivi pericoli degli effluenti radioattivi poiché non si dice che in una centrale si formano qualcosa come duecento elementi e particelle radioattivi che vengono in parte scaricati all'esterno e che una buona parte non esiste in natura ma viene creata dagli impianti. Non si dice, inoltre, che tutta una serie di radionuclidi (nuclei radioattivi) a vita media e lunga hanno una spiccata tendenza ad entrare nella catena alimentare ed a concentrarsi negli organismi viventi aumentando il loro grado di concentrazione lungo gli anelli della catena.

Uno dei pericoli costanti è appunto quello legato al fatto che i radionuclidi emessi da un impianto nucleare tendono a sommarsi ed a concentrarsi negli organismi viventi.

È da demistificare il concetto di soglia (il concetto di dose massima di radiazioni) sotto la quale non sarebbe possibile il manifestarsi di danni biologici agli individui.

Questo concetto è utilizzato a piene mani dai testi di propaganda delle varie multinazionali del settore senza che abbia alcuna legittimazione scientifica, nessun significato per quanto riguarda la difesa della salute delle popolazioni.

Tale concetto, anzi, è stato modellato con l'intento di incentivare lo sviluppo dell'industria nucleare di tutto il mondo. La sua quantificazione è dipesa e dipenderà nel tempo dagli. interessi e dalle necessità di sviluppo del settore.

La scienza delle radiazioni ha da tempo segnato il passo. Ciò ha coinciso (strana coincidenza!) col grande sviluppo degli arsenali nucleari. Anche in campo civile le conoscenze sull'impatto ambientale dell'energia nucleare sono rimaste sostanzialmente ferme. Il calcolo rischi-benefici è stato fatto pesare soltanto sulla colonna dei benefici.

Si possono comunque tenere fermi questi punti:

  1. le radiazioni ionizzanti sono dannose e sicuramente cancerogene;
  2. esiste un rapporto preciso tra dose assorbita e risposta biologica.

Le conoscenze di cui disponiamo indicano che a qualsiasi dose la radiazione è nociva. L'idea di soglia tenta di conciliare cose contrapposte: gli interessi e le esigenze prioritarie e prevalenti dello stato borghese con quelle, ritenute insignificanti, della salute pubblica.

È solo con l'episodio di Chernobyl che l'attenzione dell'opinione pubblica si è rivolta al problema dell'inquinamento radioattivo. Ma il problema tuttavia non è riferibile solo a questo incidente. Il fenomeno del "fall-out" (la ricaduta radioattiva) risale al 1945, sin da quando esplosero le prime bombe atomiche, ed è continuato con molta intensità sino al 1962, quando si arrivò ad un sensibile ridimensionamento delle esplosioni militari sperimentali nell'atmosfera. Il ridimensionamento è stato in seguito attenuato e la esplosioni sono continuate fino ad oggi.

Dal 1945 al 1984 sono stati effettuati ben 589 esperimenti di esplosioni militari nucleari nell'atmosfera; di questi ne han fatto 331 gli USA, 164 l'URSS, 49 la Francia, 23 la Gran Bretagna, 22 la Cina, per un totale di 545 megatoni.

Contemporaneamente sono state effettuate 904 esplosioni sotterranee per cui il totale degli esperimenti ammonta ad oggi ad oltre 1500.

Ciò ha portato ad una costante pioggia di radionuclidi che si vanno ad aggiungere a quelli che si formano durante le normali operazioni dei reattori nucleari in funzione (kripton, xeno, carbonio-14, azoto-16, zolfo-35, argo-41, iodio-131 ecc. ecc.) e a quelli dei tristi incidenti che si sono sin qui avuti e che, purtroppo, non saranno i soli, pochi, isolati casi.

Alla luce di questi dati si può inquadrare e valutare l'ordine di grandezza del fenomeno dell'inquinamento radioattivo e della contaminazione della vita sulla Terra; ovvero: quel fenomeno quarantennale che è stato definito di "tesaurizzazione" dei veleni ecologici che la barbarie capitalista va compiendo con costanza e accelerazione dei tempi.

Effetti sulla salute dell'uomo

Le radiazioni producono sull'uomo effetti genotossici ossia provocano danni a livello genetico e attivano processi indiretti nelle singole cellule.

L'insulto radioattivo porta ali' induzione del cancro e alle trasformazioni cellulari che quando ineriscono alle cellule seminali può dar luogo a mutazioni trasmissibili alle generazioni successive.

I danni prodotti dalle radiazioni non possono essere riparati; i rimedi della medicina sono pressoché inefficaci.

Le più comuni sostanze radioattive prodotte dalle centrali nucleari sono:

  • il Kripton-85 che può provocare il cancro in tutte le parti del corpo, la leucemia soprattutto nei bimbi con meno di due anni; il suo tempo di dimezzamento (2) è di 10,7 anni;
  • lo Iodio-131 che si concentra nella tiroide dove può provocare l'insorgere del cancro anche a distanza di una qualche decina di anni; il suo tempo di dimezzamento è di 8 giorni;
  • il Cesio-137 che attacca il fegato, la milza e i muscoli in modo particolare; ha un tempo di dimezzamento di 30,2 anni;
  • il Bario-140 che si concentra nelle ossa dove provoca il cancro anche dopo decine di anni; tempo di dimezzamento 12,8 giorni;
  • inoltre v'è il Trizio che è l'elemento radioattivo che gli impianti nucleari disperdono più abbondantemente nell'ambiente; manifesta la tendenza a concentrarsi nell'acqua essendo un isotopo (3) dell'idrogeno; è anche certo che si possa localizzare nel DNA (4);
  • c'è ancora lo Stronzio-90 che entra nella composizione del terreno e della vegetazione e arriva all'uomo passando dal bestiame; si concentra nei tessuti ossei dei corpo umano ed ha una vita biologica molto lunga (permane all'interno dell'organismo per circa 50 anni emettendo radiazioni beta (5);
  • altri radionuclidi (ve ne sono in tutto 700) dannosi per l'uomo sono il CobaIto-60, il Fosforo-32 (che si concentra nei pesci e nelle loro uova) , lo Zinco-65 (che si localizza nella prostrata e si concentra nei crostacei), il Cerio-4 ecc.

Quali sono gli effetti delle radiazioni ionizzanti sugli esseri viventi? Una irradiazione molto forte è mortale a brevissima scadenza.

Basandoci sulle osservazioni effettuate in seguito alle esplosioni nucleari sul Giappone nel 1945, risulta che il 90% delle persone rimaste esposte per un breve periodo, a dosi di 700-800 rem (6) su tutto il corpo, morirono nella settimana successiva all'esplosione anche se non erano state ferite o bruciate dai suoi effetti. La causa della loro morte va ricercata a livello cellulare.

Per le centrali non esistono rischi di irraggiamento così forte (a meno di incidenti gravissimi) e, dunque, i pericoli dell'industria nucleare non si evidenziano in un certo numero di morti brutali (peraltro sempre possibili) ma si traducono in effetti biologici che si manifestano a medio e a lungo termine con la possibilità di raggiungere un elevatissimo numero di persone.

Una sola radiazione di 25 rem su tutto il corpo uccide all'istante un gran numero di cellule generatrici di alcuni globuli bianchi che svolgono un ruolo importante nei meccanismi di difesa dell'organismo contro i germi infettivi e le potenziali cellule cancerogene.

Una dose di radiazioni di 150-200 rem provoca reazioni della pelle, anemie, prolungamento del tempo di coagulazione del sangue, sterilizzazione temporanea e permanente ed invecchiamento precoce.

Dosi molto inferiori possono uccidere un embrione se assorbite nelle prime settimane di gestazione e, se assorbite più tardi, possono provocare uno sviluppo anormale del feto. È dimostrato che dosi di appena 5 rem sono sufficienti a provocare malformazioni cerebrali nell'embrione.

Applicate a piccole dosi, ma con continuità, le radiazioni ionizzanti possono indurre molti e diversi tipi di cancro e leucemie (il problema riguarda soprattutto i lavoratori addetti alle centrali).

È dimostrato inoltre che l'esposizione a radiazioni fa aumentare il tasso di mutazioni spontanee esistenti in tutte le popolazioni di esseri viventi.

Le radiazioni ionizzanti modificano l'informazione genetica che, attraverso le cellule sessuali, passa da una generazione all'altra. Questo tipo di mutazioni indotte sono rarissimamente reversibili e sono mortali a scadenze più o meno lunghe nell'80-90% dei casi. Essi si rivelano alla prima, alla seconda o all'ennesima generazione, sia con il decesso a diversi stadi di sviluppo, sia con l'insorgere di tare ereditarie. In caso di rilascio di materiale radioattivo a seguito di un incidente in qualche centrale nucleare, i danni alla salute sono in sintesi questi:

  1. morte entro l'anno del 5% della popolazione residente entro 8 chilometri dalla centrale, per interessa mento di "organi critici": midollo osseo, polmoni, in testino e tiroide (irradiazione di 100 rad) (7);
  2. casi di mortalità precoce entro 16 chilometri dal reattore dovuti a danno midollare fino a 2500 casi (irradiazione 350-550 rad);
  3. morte dell'embrione nei primi giorni dal concepimento, con aborti spontanei (irradiazione di 50-100 rad);
  4. Alterazioni gravi, non letali, nel feto, che si manifestano alla nascita quali difetti di crescita, microcefalia, ritardo mentale, ipotiroidismo (irradiazione 15-125 rad);
  5. depressione del sistema immunitario con diminuita resistenza alle malattie infettive (irradiazione 200-600 rem);
  6. incremento di cancri midollari (leucemie) e tumori della tiroide anche per esposizioni minime alle radiazioni;
  7. aumento della. frequenza, come già detto, delle mutazioni del patrimonio genetica, con effetti gravi per il patrimonio delle cellule germinali e con possibilità di effetti disastrosi sulla progenie.

Di fronte a questa disarmante realtà il presidente del Cnen, quell'organo che dovrebbe essere, rispetto alla installazione di impianti nucleari, l'"avvocato" delle popolazioni, cosa ha avuto il coraggio di dire?

L'accettazione di un certo rischio sanitario o di degradazione ambientale ha come contropartita benefici di sviluppo economico, di disponibilità di risorse e di miglioramento quindi, di qualità della vita.

A parte la faziosità criminale, ha qualche briciolo di verità quanto ha detto il presidente del Cnen? Vediamo.

(1) Il ciclo del. combustibile è composto da molte fasi:

  1. estrazione in miniera dell'uranio naturale
  2. preparazione di ossidi di uranio
  3. trasformazione di questi in fluoruro di uranio
  4. arricchimento di uranio-235
  5. fabbricazione delle barre di combustibile
  6. utilizzo del combustibile nella centrale
  7. ritrattamento delle scorie per estrarne l'uranio 235 e il plutonio
  8. condizionamento e smaltimento dei rifiuti ad alta intensità radioattiva.

(2) Il tempo di dimezzamento è il periodo necessario affinché il numero dei nuclei presenti in un campione di una certa sostanza radioattiva sia diminuito della metà.

(3) Isotopi: si dice di due elementi che abbiano lo stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni (es. l'idrogeno e il deuterio).

(4) Il DNA (a base di acido desossiribonucleico) è la più complessa fra le molecole organiche; contiene tutte le "informazioni" genetiche dalle quali dipenderanno le caratteristiche somatiche, morfologiche e in parte caratteriali di un individuo.

(5) Le radiazioni sono di tre tipi: alfa, beta e gamma. I raggi beta sono costituiti da elettroni (con carica negativa) o positroni (positivi) ed hanno una massa minima.

(6) Il Rea è l'unità di misura dell'equivalente di dose. L'equivalente di dose può essere spiegato così: a parità di dose assorbita il danno biologico dipende dal tipo di radiazione e dalle condizioni di irraggiamento. La grandezza "equivalente di dose" tiene conto di tutti questi fattori e dà una indicazione più precisa del grado di pericolosità della radiazione assorbita.

(7) Il Rad è l'unità di misura della dose assorbita ossia la quantità di energia ceduta dalle radiazioni ionizzanti al corpo irradiato.