Sergio Salvadori

Sergio Salvadori, tragicamente morto nel carcere di Parma

Da Battaglia comunista, n. 19 - 4-18 ottobre 1950

Sergio Salvadori è finito. In quel carcere dove, senza colpa alcuna, già da quattro anni scontava l'infamia di una società sopraffattrice e corrotta, egli ha subito l'ultimo fatale oltraggio alla vita. È caduto con la coscienza della ingiustizia imperante, con la fiducia che la forza rivoluzionaria del proletariato ne dovrà aver ragione.

Venuto al Partito al finire della guerra, aveva lottato con fermezza e con maturità marciando contro corrente nella falsa infatuazione democratica provocata dai nazionalcomunisti, e la sua critica era stata attiva sempre come la sua azione.

Nel 1946 venne imputato come corresponsabile nella uccisione del gerarca fascista Della Robbia. Non c'entrava nulla Salvadori in questa faccenda, e ciò fu subito chiaro come la luce: ma l'occasione per togliere dalla circolazione lui e altri tre compagni, che disturbavano particolarmente l'idilliaco clima della ricostruzione nazionale e della collaborazione dei destri e dei sinistri nel governo di unione sacra, non doveva andare perduta.

L'organizzazione di difesa classista posta in opera dalla borghesia si rivelò allora perfettamente efficiente: Salvadori e gli altri con lui vennero condannati e ricondannati nonostante che persino l'atteggiamento individuale di chi, in cassazione, rappresentava la pubblica accusa fosse scosso dalla evidenza della ingiustizia perpetrata.

I marchesi Della Robbia si ersero a paladini della restaurazione dell'ordine leso, della nobiltà insidiata: chiesero la condanna dei quattro, responsabili di aver mostrato alla povera gente del paese la vera faccia di quella nobiltà, di quella borghesia che, sfruttatrice e opprimente in epoca fascista, lo restava necessariamente tuttora nonostante e proprio per la sorgente democrazia. Smascherata, essa non aveva perdonato. E si era buttata su quei ragazzi con una sete di vendetta i cui frutti non tardarono a maturare.

Piovvero condanne spaventose. Le porte dei penitenziari si chiusero dietro di loro. A nessun ricorso fu sensibile la macchina burocratica che dispensa gli anni di galera con la stessa disinvoltura di benefici purganti.

Da allora è passato già tanto tempo. Salvadori scriveva, di frequente, esprimendo una sua fermezza nitida e una combattività, un ardore che gli anni di detenzione rinvigorivano anziché scemare.

Ma la società colpita dall'ingiuria recatale non era ancora soddisfatta dell'opera compiuta.

Solo oggi può veramente esserlo: Salvadori non tornerà più libero. Caduto gravemente ammalato, si dice colpito da intossicazione, sabato 25 settembre, le autorità carcerarie provvedevano a inviarlo all'ospedale soltanto il lunedì pomeriggio: alla sera dello stesso giorno egli moriva.

Non è necessario formulare dubbi o sospetti; una cosa almeno è certa: che la vita di un proletario che odia la classe dominante non è degna di alcuna considerazione per i burocrati che ci onorano del loro reggimento. Un rivoluzionario di meno al mondo, una probabilità di più di ritardare il corso fatale di eventi non certo desiderati.

Può darsi che si faranno inchieste, indagini, ecc.: ma è certo fin d'ora che anche se dovessero essere puniti i cosiddetti responsabili, non è di responsabilità in senso borghese che qui si può parlare. Quando c'è lotta mortale tra due avversari non si dice che uno è responsabile della morte dell'altro. Si dice semplicemente che uno ha prevalso sull'altro.

E Salvadori è caduto colpito dal suo nemico, quello contro il quale aveva voluto lottare senza compromesso.

Che noi tutti si sappia trarre dalla sua fine il giusto insegnamento e la volontà di combattere contro l'oppressione e l'ingiustizia.

Prezzo di una milizia

Da Prometeo, Anno III, n. 1 - novembre 1950

Sergio Salvadori, di anni 21, è morto nelle carceri di Parma. Innocente dell'accusa che gli era stata mossa e che gli era costata una gravissima condanna, aveva la colpa di essere un militante rivoluzionario, un nemico della società borghese.

Strano destino, quello degli internazionalisti: piccolo gruppo di individui, da potersi contare sulle dita, irriso dai destri, calunniato dai sinistri, disprezzato da tutti perché orientato verso un obiettivo che è giudicato pazzesco: chi li accusa di essere visionari senza prospettive di affermazione nella realtà politica, chi li rimprovera di fare direttamente o indirettamente il giuoco del capitalismo.

Ebbene, questi pochi pagano ben cara la loro milizia rivoluzionaria in tempo di democrazia e di libertà!

Sergio Salvadori è il terzo caduto nella battaglia di classe dalla fine della guerra ad oggi. E, oltre alle tre vittime, il regime democratico ha fruttato agli internazionalisti arresti, processi, condanne clamorose, multe, licenziamenti, persecuzioni sui posti di lavoro; ciò quando tutti dichiarano che la loro propaganda non ha prospettive né valore politico, e non spaventa nessuno. Perché, allora tanto accanimento?

Il prezzo pagato dalla milizia rivoluzionaria dimostra una volta di più che la repressione esercitata dal regime democratico contro le autentiche forze di classe non è affatto seconda a quella, tanto temuta e tanto deprecata, dei regimi fascisti.

Lo scontro degli internazionalisti con lo stalinismo, e le sue vittime

Le persecuzioni e gli omicidi politici subiti dai comunisti internazionalisti: dall’assassinio di M. Acquaviva e F. Atti ai fatti di Schio e al processo di San Polo, le forze controrivoluzionarie del capitale e le armi dei sicari di Stalin contro i comunisti rivoluzionari.

Ricordando le figure di Mario Acquaviva e di Fausto Atti, additiamo il loro sacrificio eroico ai giovani proletari perché traggano da un così fulgido esempio ammonimenti e sprone per le dure battaglie che li attendono.

L'archivista di partito
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