La crisi del Kossovo rischia di riaccendere i Balcani

Le recenti manifestazioni di piazza nella regione del Kosovo, enormemente enfatizzate dai media borghesi, hanno riproposto sulla ribalta internazionale il dramma della disintegrazione jugoslava. Dopo gli accordi di Dayton che hanno posto fine all’immane tragedia della guerra tra le diverse repubbliche dell’ex federazione jugoslava e che ha determinato oltre alla distruzione completa dell’apparato produttivo anche la morte sul fronte di centinaia di migliaia di proletari, sembrava che un lungo periodo di pace e prosperità dovesse garantire il rilancio dell’intera area balcanica. Ma l’illusione pacifista e piccolo-borghese di una definitiva risoluzione della questione balcanica si è sciolta come la neve al sole di primavera.

Neanche il tempo di respirare ed ecco che nella regione balcanica è scoppiata l’annosa questione del Kosovo che per gli interessi imperialistici in gioco rischia di provocare una ripresa del conflitto su larga scala. Le schermaglie politiche degli ultimi anni tra il governo centrale di Belgrado e le forze indipendentiste albanesi della regione, affondano le loro radici nelle profonde contraddizioni economico-politiche che hanno fatto del Kosovo un permanente terreno di scontro tra l’aspirazione alla grande Serbia di Belgrado e l’indipendentismo albanese.

Il Kosovo, regione della Serbia abitata da un milione e ottocentomila albanesi che costituiscono il 90% della popolazione, è uno dei grandi nodi della questione albanese. Se per gli albanesi la regione fa parte integrante dell’Albania essendo stata una delle roccaforti del rinnovamento nazionale del secolo scorso, per i nazionalisti serbi il Kosovo è la culla della grande Serbia medioevale. Dopo le imponenti manifestazioni della fine degli anni sessanta, nel 1974 il presidente jugoslavo Tito, per evitare un allargamento della protesta anche alle altre regione, non trovò di meglio che concedere al Kosovo un’ampia autonomia amministrativa. Il maresciallo, pur nel rispetto di un rigido centralismo, concedendo l’autonomia al Kosovo sperava di placare le velleità indipendentiste degli albanesi e nello stesso tempo stroncare qualsiasi forma d’opposizione al governo centrale di Belgrado; ma le sue aspettative sono andate deluse. Infatti, nei primi anni ottanta gli scontri tra kosovari, che chiedevano la costituzione di una vera e propria repubblica all’interno della federazione, e forze di polizia si sono fatte più frequenti.

Con l’ascesa politica di Slobodan Milosevic, la provincia del Kosovo ha perso anche quella relativa autonomia concessa in precedenza dal maresciallo Tito. Grazie anche ad una massiccia presenza militare, il governo centrale di Belgrado è riuscito a cancellare i diritti istituzionali, politici e sociali degli albanesi e, in un sol colpo, anche quel poco d’autonomia di cui godeva la regione.

L’atto di forza del governo centrale di Belgrado non si è trasformato immediatamente in uno scontro bellico, ma nel volgere di pochissimi anni ha visto nascere un vasto movimento d’opposizione il cui leader indiscusso è Ibrahim Rugova. Personaggio dal passato alquanto oscuro, di origini contadine, Rugova ha fatto parte di quella schiera di intellettuali che negli anni ottanta nei salotti buoni della borghesia kosovara chiedevano sommessamente al governo di Belgrado una maggiore autonomia per la loro provincia. L’ascesa politica di Rugova ha subito un’improvvisa accelerazione grazie alla fondazione nel 1989 della Lega Democratica del Kosovo, diventata subito la maggiore forza politica della regione. Dal 1991-92 gli albanesi del Kosovo, sotto la guida di Ibrahim Rugova, hanno dichiarato unilateralmente l’indipendenza ed organizzato una specie di contro-società con un proprio presidente, un parlamento, un governo, scuole e università. Ma mentre le regioni più sviluppate economicamente grazie anche agli aiuti dell’imperialismo tedesco, , La borghesia del Kosovo, a differenza di quella delle regioni come la Slovenia e la Croazia, che godendo dell’appoggio dell’imperialismo tedesco hanno potuto imporre il proprio distacco dalla federazione jugoslava con un atto di forza e non trovando neppure un supporto internazionale paragonabile a quello ricevuto da Slovenia e Croazia, ha dovuto obbligatoriamente dare alle proprie aspirazioni indipendentiste una veste pacifista e schedaiola. Durante la guerra nell’ex Jugoslavia la linea politica della Lega Democratica del Kosovo di Rugova, pur sostenendo la aspirazioni indipendentiste delle repubbliche di Slovenia e Croazia, ha sempre scelto la linea del dialogo politico con il governo di Belgrado per ottenere la propria indipendenza. Ma negli ultimi mesi il quadro politico nella regione dei Balcani si è notevolmente trasformato. La borghesia europea, in particolare quella italiana, nel ricercare nuovi mercati nei quali realizzare ottimi affari economici è riuscita a trasformare anche l’arretrata regione del Kosovo in un crocevia di importanti interessi imperialistici.

Già presente in prima linea nella gestione della crisi albanese, la borghesia italiana si è fatta sempre più intraprendente e infatti proprio in questi ultimi mesi l’ENEL, grazie al programma di privatizzazione approntato dal governo di Belgrado, è entrata in lizza per acquisire la sezione kosovara della società statale jugoslava per l’energia elettrica (E.P.S.). Le mire dell’ENEL si stanno però scontrando con quelle di alcune società tedesche che, secondo fonti vicine al governo di Belgrado, sarebbero a loro volta interessate alla E.P.S. tramite la società ceca Skoda. Può sembrare un fatto secondario, ma l’acquisizione del controllo della società statale per l’energia elettrica, al di là del valore economico, superiore ai 20 miliardi di dollari, riveste un’importanza strategica rilevantissima per la regione balcanica in quanto è l’E.P.S. che produce praticamente tutta l’elettricità che viene consumata non solo in Serbia ma anche in Macedonia.

Facendo leva su reazionarie istanze autonomistiche di etnie che non trovano ormai più riscontro nella prassi quotidiana, essendosi mischiate fra di loro nel corso di una convivenza che dura da millenni, la penetrazione della borghesia internazionale ha subito provocato la rottura dei vecchi equilibri economico-politici e così la partita in Kosovo che finora si è giocata sul terreno delle schermaglie dialettiche e schedaiole (e di pochi giorni fa la consultazione elettorale organizzata dal partito di Rugova in perfetto stile leghista, con i gazebo in mezzo alle piazze tanto per intenderci) rischia di esplodere in un conflitto armato destinato a lasciare sul campo migliaia di proletari chiamati a combattere in difesa di uno sterile nazionalismo con cui la borghesia nazionale e internazionale maschera la propria bramosia di profitti.

PL

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.