Un'Europa verde sempre più grigia

Dopo gli imbrogli e le truffe della "vertenza latte" (Battaglia n.2) uno sguardo alla crisi agricola della Comunità

I progetti e gli affari dell’Europa verde sono arrivati alla resa dei conti, con un bilancio comunitario impossibilitato a sostenere, come nel passato, i redditi dei piccoli e medi agricoltori: addio a "prezzi d’intervento" per garantire il profitto aziendale, sovrapproduzione ritirata dagli ammassi, sostegni alle esportazioni e supertasse sulle importazioni. Un "sistema" che ha incentivato truffe e scandali, con una delinquenza finanziaria che ha coinvolto funzio-nari della stessa Commissione esecutiva europea. Con le quote nazionali di latte, zucchero e cereali, ogni democratica illusione di un’equa spartizione dei ...polli fra i borghesi ladroni, nel nome di un liberalismo ipocrita e piratesco, è sepolta sotto il peso degli interessi dei Paesi più forti. Germania e Francia, seguite da una Gran Bretagna che fa da battistrada agli affari Usa.

Gli 80.000 miliardi spesi per la politica agraria europea (più della metà dell’intero bilancio annuo) gravano per circa due milioni e mezzo sulle spalle di ogni famiglia europea. E i nuovi paesi membri (Polonia, Ungheria, repubblica Ceca, Slovenia, Lettonia e Cipro) bussano alla cassa con il loro peso del 55% sulla superficie agricola della Unione europea.

La politica agricola comunitaria, dal 1992 alle prese con un fantomatico processo di riforma, è logicamente asservita alle cosiddette dinamiche del mercato e del profitto. Quando si parla di riforme, rilanci e modernizzazioni, gli imperativi sono sempre gli stessi: competitività, riduzione dei costi, austerità e tagli. È la guerra di tutti contro tutti per strappare gli ultimi contributi e qualche vantaggio nazionale in più. La concorrenza, ampliandosi il mercato, diventa sfrenata e incontrollabile, mentre le leggi della economia capitalistica distruggono immediatamente l’illusione di possibili linee guida di natura politica. Questo spiega perché i capitalisti si preoccupino soltanto di regolare la produzione agricola secondo la remuneratività dei prezzi stabiliti dal mercato, e perché miliardi di uomini, donne e bambini siano denutriti e a milioni muoiano di fame.

Intanto la perdita di terreni coltivabili procede inarrestabile a causa delle devastazioni prodotte dal modo di produzione capitalistico (urbanizzazione e industrializzazione, speculazione edilizia e turistica, coltivazioni irrazionali, emanazioni di carbonio). L’area coltivata a cereali a disposizione di ogni abitante della Terra è scesa da 2.300 metri quadri del 1950 a soli 1.120 nel 1.990.

Oggi le riserve di cereali, misurabili in giorni di consumo, sono di soli 50 giorni. Ciononostante, gran parte dei terreni agricoli disponibili viene inutilizzata perché non dà profitto. Nella sola Emilia-Romagna in cinque anni sono stati estirpati 11.000 ettari coltivati a frutta e ortaggi. Altri 5.000 ettari con pesche, noci e mele (un milione di tonnellate annue) seguiranno la stessa sorte in altre regioni per far ...tornare i conti alle aziende. E nel ’97 l’Italia ha prodotto ben 35 milioni di quintali di ortofrutta in meno.

L’Unione Europea è tra i maggiori produttori di cereali, ma poiché le esportazioni non potranno più essere sovvenzionate per renderle remunerative, si prospetta entro il 2.002 di aumentare del 25% la messa a riposo dei terreni. A meno che non si intensifichi il loro sfruttamento e si abbassino i costi di produzione per poter vendere all’estero. Regola generale: chi produce eccedenze, cioè prodotti che il mercato non "assorbe" a causa del loro alto prezzo, deve essere penalizzato. Soprattutto se si tratta di beni di prima necessità e di alimenti deperibili, in offerta dall’estero a prezzi più bassi: non importa se di qualità scadente (carni magari infette, latte in polvere per cristiani, pardon, per animali, eccetera). Grazie alla imposizione delle leggi economiche del capitale, invece del latte munto ieri in Italia si deve bere quello munto 7 giorni fà in Olanda o in Polonia e trasportato per migliaia di chilometri in container refrigerati. L’esempio vale per tutti gli altri alimenti e prodotti ortofrutticoli. E le cause, fondamentalmente, sono sempre le stesse: la produzione aziendalmente amministrata e capitalisticamente indirizzata; la distribuzione mercantile; la mancanza (e la impossibilità, finché domina questo modo di produzione e distribuzione) di un piano sociale internazionale che regoli tutto in base ai reali bisogni e consuni degli uomini, e non secondo i calcoli del profitto e della accumulazione capitalistica.

Negli ultimi 45 anni gli occupati nell’agricoltura in Italia sono scesi da 7 milioni 600.000 a un milione 770.000. Oggi il 20% delle azien-de agricole produce l’80% del reddito. Sopravvivono le grandi concentrazioni delle imprese, con produzioni sempre più tecnologizzate. Alla faccia delle colture biologiche, produzioni di nicchia, tutela degli ambienti seminaturali, difesa della fauna e della flora e del paesaggio rurale!

L’agricoltura italiana ed europea sta facendo i conti con gli effetti degli accordi Gatt del ’95, lira verde, rivalutazione monetaria, eccetera. Sarà la vittima da immolare sull’altare del libero scambio, con la concorrenza di Paesi che vantano costi del lavoro fino a 16 volte più bassi e tali da compensare anche le spese dei trasporti. Vedi i pomodori in Marocco e Tunisia, e gli agrumi magrebini. Così il riso italiano si ammassa nei silos, soppiantato da quello tailandese, egiziano, australiano, americano (gli Usa lo esportano nelle Antille Olandesi e da lì in Italia), anche se la qualità non è la medesima. E così il prezzo di un quintale di riso arboreo è crollato - fra la disperazione dei capitalisti - da 100.000 a 65.000 lire. I prezzi al consumo, naturalmente, restano immutati... E per comprendere la posta in gioco di questa guerra commerciale, ricordiamo che l’Italia produce 1,4 milioni di tonnellate di riso, cioè la metà della produzione europea, a sua volta con un surplus di centinaia di migliaia di tonnellate.

I rapporti economici capitalistici portano ovunque alla separazione dei mezzi e prodotti di sussistenza (trasformati in capitali e merci di proprietà dei grandi gruppi agro-alimentari) dai proletari, che sono consumatori paganti solo se riescono a ottenere un salario vendendo la propria forza-lavoro. E nei paesi sottosviluppati, dall’Asia al Nord Africa, si ripete un dramma sociale che - distruggendo ogni possibile forma di autoproduzione e di autoconsumo - semina miseria e fame per rendere competitiva la produzione agricola da esportare in una Europa non più verde ma ingrigita dalla sua sviluppata civiltà borghese. Un’Europa dove anche la miseria e la fame stanno sempre dietro l’angolo.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.