Le sgangherate borghesie di Eritrea ed Etiopia scatenano la guerra dei poveri

Corno d’Africa

Il fronte di guerra che si è aperto nel Corno d’Africa tra Etiopia ed Eritrea è l’ennesima riprova che saltati i vecchi equilibri della guerra fredda tra la superpotenza americana e quella ex sovietica, la pace nel mondo resta una chimera. Il nuovo ordine imperialista egemonizzato dagli Stati Uniti, sempre più a fatica riesce a contenere il magma incandescente della crisi capitalistica e gli effetti della globalizzazione che come un buco nero tutto ingoia.

I primi a saltare sono proprio quei paesi poveri o poverissimi troppo deboli per reggere il passo e le cui élite dominanti non hanno nulla da invidiare in quanto a bramosia e ferocia ai padroni delle metropoli avanzate. Anche in questo caso il contenzioso del conflitto è la spartizione delle briciole che il sistema mercantile può concede alle micro borghesie locali, una forma di rendita come fonte principale di reddito per mantenere vecchi e nuovi privilegi.

Infatti la decisione di Asmara di chiudere il porto di Assab in territorio eritreo, unico sbocco al Mar Rosso delle merci dell’Etiopia, è stata la scintilla che ha fatto precipitare gli eventi. Già precedentemente le tensioni si erano acuite tra i due paesi, quando l’Eritrea ha deciso di adottare una propria moneta, il nakfa, aumentando i costi di ormeggio delle navi e delle relative operazioni di carico e scarico. Tutto ciò in contrasto con gli accordi del 1991, data dell’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia stabilita di comune accordo, alla condizione di garantire agli etiopici il passaggio ai porti di Massaua e di Assab senza dover sborsare denaro in tasse e balzelli vari. Sostanzialmente venivano tenuti validi i confini, anche se non ben definiti, stabiliti dal colonialismo italiano alla fine del secolo scorso.

Tutto sembrava procedere per il meglio, tenuto conto che i presidenti di Eritrea ed Etiopia, Afeworki e Zenawi, avevano dichiarato fraterna alleanza sin dai tempi della comune lotta contro il dittatore Menghistu, sconfitto e cacciato nel 1991. Immediatamente dopo fu posto termine pacificamente alla trentennale guerriglia secessionista eritrea che ottenne un proprio stato indipendente. Quindi apparentemente sembravano tramontati i passati rancori e che si imboccasse un percorso di collaborazione. Tutto ciò con il beneplacito degli Stati Uniti in primo luogo, e poi degli europei, che vedevano nei due paesi della regione un bastione al dilagante integralismo islamico, che da Medio Oriente al nord Africa sino al confinante Sudan, è una miccia accesa molto preoccupante per gli interessi dei paesi imperialisti.

Eppure la tentazione di tenere il bottino tutto per se è congenito al DNA di qualsiasi borghesia, grande o piccola e stracciona che sia, soprattutto considerando la prospettiva ancora tutta da verificare della possibile presenza di giacimenti petroliferi nel tratto di mare prospiciente l’Eritrea sino alla costa dello Yemen. In ogni caso la posizione geografica strategicamente favorevole ha spinto un piccolo paese come l’Eritrea, di nemmeno 4 milioni di abitanti, a sfidare una delle nazioni più popolose dell’Africa con 57 milioni di abitanti. Evidentemente con la speranza, aprendo la crisi, che il solito balletto delle diplomazie delle potenze occidentali trovi un qualche compromesso che permetta ad Asmara di ripararsi sotto le ali di un protettore sufficientemente forte e interessato.

D’altra parte per decenni L’Eritrea ha dovuto subire il giogo e le discriminazioni del centralismo di Addis Abeba, che hanno prodotto un costante stato di guerra e il dispendio in armamenti delle scarse risorse di uno dei paesi più poveri del mondo.

Questa vicenda, ancora una volta, dimostra quale è la reale natura del nazionalismo, di qualsiasi nazionalismo. Venuti meno i soliti motivi ideologici patriottardi per mobilitare le masse diseredate sul terreno della guerra, con l’inganno propagandistico di un presunto interesse generale, emergono le nude e crude ragioni del tornaconto economico delle rispettive fazioni borghesi, amiche quando faceva loro comodo, l’una contro l’altra oggi, nelle mutate circostanze.

Drammi di sempre che colpiscono i poveri e destinati a ripetersi nel mondo, sia nelle aree a capitalismo avanzato che in quelle del sottosviluppo, rafforzati dalla attuale assenza di qualsiasi prospettiva alternativa alla società capitalista, una prospettiva proletaria e internazionalista sempre più urgente e necessaria da costruire.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.