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Le aziende hanno dato sempre una grande importanza al controllo del regime degli orari per una ragione evidente, gestire a piacere la durata della giornata lavorativa significa tenere bassi i livelli occupazionali avendo sempre a disposizione manodopera da utilizzare al momento del bisogno e per il tempo desiderato.
La questione del tempo di lavoro inoltre, s’intreccia strettamente con altre variabili altrettanto determinanti come i tempi e i ritmi, gli inquadramenti, l’organizzazione del lavoro, l’assunzione e il licenziamento della manodopera. La capacità delle aziende di incidere sull’insieme di queste variabili determina concretamente il grado di sfruttamento della forza lavoro che, dati gli attuali rapporti di forza tra le classi del tutto favorevole alla borghesia, raggiunge intensità sempre più elevate.
Alle tradizionali strategie di gestione della giornata lavorativa legate alla vecchia organizzazione taylorista del lavoro ritenuta ormai troppo rigida, si va sostituendo nel tempo una complessa articolazione dei tempi di lavoro in linea con le nuove esigenze produttive. L’orario è ricomposto in una molteplicità di schemi diversi, (nuove turnazioni ad orario flessibile, lavoro notturno, week-end lavorativi ecc.) mentre il ricorso sistematico al lavoro straordinario assume un’importanza sempre più determinante come efficace strumento di modulazione produttiva e di variazione e differenziazione soggettiva della retribuzione (recenti indagini indicano che il 60% dei dipendenti dell’industria lavorano oltre la media dell’orario contrattuale e l’11% di questi supera le 45 ore settimanali).
Ogni nuovo accordo, contratto o legge dello stato in materia di lavoro rappresenta dunque singoli elementi che vanno a modificare nel tempo la struttura più generale del rapporto di lavoro adattandola alle esigenze di flessibilità delle imprese.
A questa ferrea logica si inchina il governo Prodi con i suoi provvedimenti sul lavoro e si inchinano i sindacati inserendo nei contratti collettivi norme sempre più orientate ad un utilizzo sempre più flessibile della manodopera e legare i salari alla produttività.
Esempi chiarificatori di questa tendenza sono per esempio le recenti leggi e accordi sul lavoro straordinario.
La vecchia normativa, risalente come impianto generale a un regio decreto del 1925 modificata poi in parte tra gli anni ’50 e ’60, fissava l’orario contrattuale di lavoro a 40 ore settimanali, le successive 8 ore (orario legale) erano considerate e retribuite come supplementari e dalla 49/ma ora in avanti come straordinario.
L'art. 13 del pacchetto Treu, avrebbe dovuto portare l'orario legale da 48 a 40 ore settimanali e, di conseguenza, far scattare lo straordinario dalla 41/ma ora di lavoro anziché' dalla 49/ma.
Ma su pressione della Confindustria, e il governo ha congelato la normativa per oltre un anno.
Lo scorso novembre sindacati e Confindustria hanno poi sottoscritto un accordo per recepire la direttiva europea sulle 40 ore, quell'accordo però, concedeva alle imprese il calcolo delle 40 ore come media su base annua (un principio poi inserito stabilmente nel contratto dei chimici) e la possibilità di dilatare la giornata lavorativa fino a 13 ore permettendo così alle aziende di gestire liberamente gli orari di lavoro, senza neppure retribuire gli straordinari.
Anche il sindacato ha fatto la sua parte e nel contratto dei chimici orari, mercato del lavoro e salari sono diventati del tutto elastici. L’orario contrattuale è portato a 38 ore settimanali inglobando però 108 ore di ferie e permessi già previsti nei contratti precedenti e in cambio si concede alle imprese di modulare la produzione sull'arco dell'intero anno accorciando o allungando l’orario reale settimanale da 28 a 48 ore.
Le prestazioni di lavoro straordinario invece non sono più retribuite o compensate con riposi periodici ma possono essere accantonate in un monte ore individuale annuale, per essere recuperate nel tempo. Peccato che in questo modo le aziende risparmiano sugli stipendi e le giornate accantonate sono utilizzabili soltanto compatibilmente elle esigenze tecniche, organizzative e produttive.
Il 29 settembre è arrivato infine un nuovo decreto del governo che stabilisce solamente l'obbligo da parte del datore di lavoro di comunicare alla direzione provinciale del lavoro il superamento delle 48 ore settimanali peggiorando la già carente normativa e fissa inoltre, in assenza di un accordo contrattuale, un tetto massimo di 250 ore annuali e 80 trimestrali.
Ma ai padroni i regali del governo e dei sindacati non bastano ancora e si preparano per le prossime scadenze contrattuali e soprattutto per la revisione dell'accordo del luglio '93 e anche qui il programma è quello solito: nessun vincolo agli straordinari, estensione dei contratti a tempo determinato, libertà di licenziamento abolizione di un livello contrattuale. Con un governo e un sindacato pienamente disponibili ad ogni richiesta padronale, c’è da stare certi che si prepara un nuovo “storico” accordo peggiore di quello del luglio ’93.
LPBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 1998
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