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Dopo la breve parentesi di pace seguita agli accordi di Dayton, con i quali la diplomazia degli Stati Uniti ha posto fine all’immane tragedia della guerra tra le diverse repubbliche dell’ex federazione jugoslava, guerra che ha lasciato sul campo migliaia di morti e la distruzione completa dell’apparato produttivo, per i corifei del capitale un lungo periodo di pace e prosperità si apriva nell’intera area balcanica. Per la propaganda borghese i processi di globalizzazione potevano contare su un nuovo spazio economico nel quale investire i propri capitali. Ma l’illusione pacifista e piccolo-borghese di una definitiva risoluzione della questione balcanica non ha trovato riscontro nella dura legge del profitto e degli egoismi capitalistici.
In questi ultimi mesi, di pari passo con il precipitare della situazione economica, si è aggravata nella regione balcanica l’annosa questione del Kosovo che per gli interessi imperialistici in gioco rischia di provocare una ripresa del conflitto su larga scala. Le schermaglie politiche degli ultimi anni tra il governo centrale di Belgrado e le forze indipendentiste albanesi della regione, hanno lasciato la parola al frastuono delle bombe. L’attuale crisi non è il frutto esclusivo degli egoismi nazionalistici, così come vuol far credere l’ideologia borghese, ma vanno ricercate nelle profonde contraddizioni economico- politiche che hanno fatto del Kosovo un permanente terreno di scontro tra l’aspirazione di grande Serbia di Belgrado e l’indipendentismo albanese.
Le aspirazioni della grande Serbia si sono scontrate periodicamente con le istanze indipendentiste degli albanesi del Kosovo, regione della Serbia abitata da un milione e ottocentomila albanesi che costituiscono il 90% della popolazione.
Se per gli albanesi la regione fa parte integrante dell’Albania essendo stata una delle roccaforti del rinnovamento nazionale del secolo scorso, per i nazionalisti serbi il Kosovo è la culla della grande Serbia medioevale. Negli anni settanta, dopo le imponenti manifestazioni di protesta, il presidente jugoslavo Tito, per evitare un allargamento della rivolta anche nelle altre regione, ha concesso al Kosovo un’ampia autonomia amministrativa. Nel rispetto di un rigido centralismo, concedendo l’autonomia al Kosovo il maresciallo Tito sperava di placare le velleità d’indipendenza degli albanesi e nello stesso tempo stroncare qualsiasi forma d’opposizione al governo centrale di Belgrado.
Le aspettative di Tito sono andate deluse; infatti, nei primi anni ottanta gli scontri tra kosovari, che chiedevano la costituzione di una vera e propria repubblica all’interno della federazione, e forze di polizia si sono fatte più frequenti.
La spirale della crisi ha trovato in Slobodan Milosevic nuova linfa, visto che verso la fine degli anni ottanta il presidente serbo ha annullato di colpo le concessioni di relativa autonomia concesse in precedenza da Tito alla provincia del Kosovo. Grazie anche ad una massiccia presenza militare, il governo centrale di Belgrado è riuscito a cancellare i diritti istituzionali, politici e sociali degli albanesi, cancellando in un sol colpo anche la parvenza d’autonomia della regione del Kosovo. L’aggravarsi della crisi economica, il crollo verticale della produzione e le sempre più incisive penetrazioni delle forze imperialiste, se da un lato ridimensionano la Jugoslavia, con la conquista dell’indipendenza delle regioni della Slovenia e della Croazia, dall’altro lato spingono il governo di Belgrado a rafforzare il proprio centralismo in quelle regioni come il Kosovo.
È in questo contesto politico che si è sviluppato quel vasto movimento d’opposizione albanese il cui leader è Ibrahim Rugova. L’ascesa politica di Rugova, personaggio dal passato alquanto torbido, ha subito un’improvvisa accelerazione grazie alla fondazione nel 1989 della Lega Democratica del Kosovo, diventata subito la maggiore forza politica della regione.
Mentre le regioni più sviluppate economicamente come la Slovenia e la Croazia, grazie soprattutto all’appoggio politico-militare dell’imperialismo tedesco il quale non ha mai nascosto le sue aspirazioni espansionistiche nella regione dei Balcani, hanno potuto imporre il proprio distacco dalla federazione jugoslava con un atto di forza, le aspirazioni indipendentiste della borghesia del Kosovo, non trovando immediatamente un supporto internazionale paragonabile a quello di cui hanno potuto godere Slovenia e Croazia, in un primo momento hanno assunto obbligatoriamente una veste pacifista e schedaiola. Ma nel corso degli ultimi mesi il quadro politico nella regione dei Balcani si è notevolmente trasformato.
Le schermaglie dialettiche hanno lasciato il campo allo scontro bellico. Grazie all’appoggio di potenze straniere pronte a fomentare l’odio nazionalista, all’interno dell’opposizione albanese si è consolidata una frangia pronta a trasformare le istanze autonomistiche in guerra guerreggiata.
Rugova, pur rimanendo il leader internazionalmente riconosciuto dell’opposizione kosovara ed incondizionatamente appoggiato dagli Stati Uniti, è stato messo costantemente sotto pressione dall’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), guidata dallo scrittore kosovaro-albanese Adem Demaqi che non si accontenta di una semplice autonomia della regione ma spinge le proprie richieste fino ad una completa emancipazione del Kosovo dal giogo della Serbia. La risposta dei serbi alle “provocazioni” della minoranza albanese non si è fatta attendere, e nei mesi scorsi alcuni reparti speciali del governo di Milosevic hanno occupato militarmente i punti nevralgici dell’area trasformando il Kosovo in un immane teatro di morte.
Gli attacchi dell’esercito serbo, pur essendo stati unitariamente condannati dalla borghesia internazionale, hanno evidenziato profonde divergenze d’interessi tra le varie potenze internazionali; Stati Uniti e paesi europei spesso hanno manifestato idee contrastanti sulle modalità di porre fine al conflitto.
L’ultimatum lanciato dalle forze Nato al governo di Belgrado che prevede un immediato ritiro dei reparti speciali dalla regione del Kosovo, l’invio di duemila osservatori internazionali e l’apertura di un tavolo di trattative nel quale discutere le sorti del Kosovo, costituisce una chiara vittoria politicodiplomatica degli Stati Uniti pronti ancora una volta a giocare come unica grande potenza imperialistica su scala planetaria.
La tragedia del Kosovo è esclusivamente il frutto della bramosia di profitti della borghesia internazionale che è riuscita a trasformare anche l’arretrata regione del Kosovo in un crocevia di interessi imperialistici. Non è un caso che l’esplodere della questione del Kosovo sia avvenuto in coincidenza della penetrazione di importanti multinazionali straniere nella vita economica della regione. Probabilmente la proposta di “pace” statunitense riuscirà nel breve periodo a porre fine agli scontri militari nel Kosovo, ma è la crisi generale del capitale che spinge la borghesia internazionale a fomentare antistorici nazionalismi ed a rompere vecchi equilibri economico- politici per creare i presupposti di nuovi focolai bellici nei balcani come nel resto del pianeta.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 1998
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