Sulla parità scolastica e i miliardi alle scuole private

Da spacciatori di oppio dei popoli a fornitori di servizio pubblico

La Repubblica individua come obiettivi prioritari la generalizzazione della domanda di istruzione dalla prima infanzia lungo tutto l’arco della vita e la corrispondente espansione dell’offerta formativa e, in relazione a tali obiettivi, riconosce il valore e il carattere di servizio pubblico delle iniziative di istruzione e formazione, promosse da enti e privati, che corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione e della formazione e sono coerenti con la domanda formativa.

È questo il primo articolo del Disegno di legge 2741, presentato dal ministro alla Pubblica Istruzione Giovanni Berlinguer, già durante il governo Prodi.

E già dal primo articolo si comprende spirito e contenuto delle riforme che i riformisti di sempre vanno facendo. E siccome arrivano al governo in ritardo rispetto alle loro aspettative, li ritroviamo trasformati a fare delle vere e proprie controriforme.

In quarantacinque anni di governo la DC, fra l’altro braccio secolare del Vaticano in Italia, non aveva osato riconoscere alle scuole private il carattere di servizio pubblico. Ci voleva il PDS, con l’appoggio dei cosiddetti comunisti italiani, a fare un passo simile.

Da spacciatori di oppio dei popoli i preti sono così diventati fornitori di servizio pubblico e di “formazione”, per gli ex(?)-stalinisti.

Ma prima ancora della approvazione parlamentare della legge (ovviamente scontata) è passato l’emendamento alla Finanziaria, presentato dallo stesso Berlinguer, che regala un pacco di miliardi alla scuola privata. In fondo quel che contava era questo, il resto (la legge sulla parità) verrà di conseguenza ad assicurare la continuità delle sovvenzioni.

Non entriamo nel merito di come verranno trasferiti quei soldi, se direttamente alle scuole private o alla loro utenza: farla lunga sulle “modalità” serve a far passare in secondo piano la sostanza. Ed è la sostanza che merita attenzione e meriterebbe una ondata di forti proteste e lotte dal mondo della scuola da far impallidire il famoso 68.

Poiché ci piace capire il nemico, prima di muoverci contro, cerchiamo di vedere freddamente quel che accade.

In prima battuta verrebbe da dire che abbiamo qui una bella conferma del fatto che nei momenti difficili, è la socialdemocrazia a fare il lavoro sporco per il capitale.

È evidente che siamo in presenza di un laido mercanteggiamento fra i costituenti del governo (gli stalinisti e i neo-DC dell’UDR), da una parte, e fra il governo stesso e il Polo, dall’altra.

Mercanteggiamento e lotta politica.

All’interno del governo si compra così la fedeltà alla presente maggioranza da parte dell’UDR, aspirante alla ricostituzione di una qualche DC e agente del Vaticano all’interno della maggioranza stessa.

Non solo, ma si dà modo all’UDR stessa di conquistare a destra i voti di quei famosi ceti moderati, da sempre rincorsi da D’Alema, strappandoli così al Polo, il cui capobanda si presenta da sempre alfiere del finanziamento della scuola privata. Precisato che quando si parla di “moderati” in realtà si parla di borghesia e piccola borghesia, questa sta in grossa parte dietro Berlusconi non tanto in forza delle sue ben note virtù d’uomo onesto e paladino dei diritti, ma perché è stato lui a cavalcare i più immediati interessi e le più meschine inclinazioni dei suddetti italici ceti (assicurandosi così il salvacondotto politico attraverso le trincee della magistratura, della Finanza e dell’Antimafia). E fra questi interessi e inclinazioni ideologiche c’è anche l’odio per la scuola pubblica e il sostegno alle private, maggioritariamente clericali.

Se interviene la coppia di fine secolo D’Alema-Cossiga a soddisfare le richieste di questa piccola borghesia, è relativamente facile che questa abbandoni l’impresentabile cavaliere. Il gioco è furbo quanto turpe.

La sinistra si ritrovò un candidato alla galera tanto forte da reggere il governo. Lo avevano sottovalutato, come lo avevano sottovalutato i salotti buoni della borghesia, e hanno dovuto riconoscerlo come soggetto politico.

Hanno voglia i magistrati a condannarlo ad anni di galera., Lui sta fuori, si pavoneggia in Parlamento e nelle stanze che contano, e può permettersi il lusso di attaccare la magistratura e di avere in questo un silenzioso sostegno da parte dei diessini.

Visto che la magistratura non riesce a farlo fuori perché politico e forte, bisogna sottrargli indirettamente la forza politica. E i regali di Berlinguer/D’Alema rientrano perfettamente in questo piano.

Schifezze? Certamente; ma questa è la norma della politica borghese...

di fine millennio, dove la crisi di ciclo del capitale ha sottratto spazi di libertà alle scelte della conservazione e tutti si ritrovano compatti a seguire le medesime, obbligate linee politiche e amministrative.

Come possono differenziarsi una destra e una sinistra?

Non ci riescono, e la lotta politica si risolve in una serie di miserie, quali quella di cui parliamo.

Detto questo, vediamo alcune delle ragioni per le quali una ventata di lotte sarebbe più che giustificata.

Dalle scuole private e dai loro sostenitori veniva il lamento che molte di dette scuole rischiavano di chiudere (con conseguenti pianti sul contributo alla disoccupazione).

Ma quanto scuole pubbliche hanno chiuso negli ultimi anni?

Quante si sono accorpate, verticalizzate e quant’altro per far risparmiare allo stato? E quanti posti di lavoro sono stati così persi?

E lo stato ha risparmiato 500 miliardi. Ora ne regala molti di più alle private perché non chiudano, non si accorpino né si verticalizzino.

Che i soldi vengano regalati alle scuole o alle famiglie non conta;, non va dimenticato, infatti, che queste hanno la capacità di spendere milioni all’anno per mandare i propri rampolli a formarsi dai preti o da (pochi) altri privati.

Sono riusciti anche a trovare scuse oscene: la scuola materna pubblica è insufficiente, spesso manca e quelle private suppliscono questa carenza. Già, ma chi può permettersi l’asilo delle monache senza svenarsi?

Certo se entrambi i coniugi lavorano - e questa è la condizione perché la prole possa essere affidata alla istituzione pubblica - con qualche sacrificio in più ce la fanno.

Tanto meglio se il loro impiego è pagato meglio di quello operaio o impiegatizio. Ma a fronte della crescita della povertà crescente fra gli occupati (denunciata da dati ufficiali), a fronte del declinante potere d’acquisto del salario medio, l’argomentazione del governo è indecente.

E nasconde neppur troppo bene, la “logica” sottesa: lo stato ha pochi soldi e sempre meno per previdenza, sanità, istruzione; sulla scuola pubblica se ne sono risparmiati un sacco e ancora si lavora a risparmiare; il risultato è il degrado - anche materiale - della scuola pubblica stessa; fra le due possibilità di reinvestire nella scuola pubblica o contribuire alla crescita della privata, la seconda costa meno; d’altra parte, di forza lavoro preparata, quella da sfruttare nelle aziende, ne serve meno e basta quel che nel pubblico c’è già e resiste; per il resto... ebbene, non si deve farla finita con l’assistenzialismo? Conclusione a pagare è ancora il proletariato.

È dunque la componente proletaria della scuola che ha tutte le ragioni di farsi sentire e per lo meno tentare di sovrastare il clamore immondo che i più diversi strati della borghesia e delle piccola borghesia stanno sollevando nella lotta che fra loro si è scatenata per accaparrarsi l’osso dei declinanti profitti.

m.jr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.