Luna di miele tra il governo D’Alema e il picconatore

Le alchimie della politica italiana non hanno limiti. Il crollo della seconda repubblica che avrebbe dovuto segnare l’inizio di un nuovo modello bipolare e la semplificazione della gestione del potere, alla prova dei fatti si sta trasformando in un groviglio di situazioni paradossali, in cui i voltafaccia e i litigi tra partiti e partitini vecchi e nuovi sono diventati la regola.

In questo penoso guazzabuglio si è concretizzato ciò che da decenni il riformismo del defunto Pci prima, dei post comunisti oggi, sperava si realizzasse: la scalata al vertice del governo. L’evento è stato anticipato dai fatti rocamboleschi determinatisi con la rottura della maggioranza da parte di Rifondazione comunista e dall’entrata in campo dell’Udr di quella vecchia volpe di Cossiga, altrimenti detto il picconatore nazionale.

Accidentalità contingenti e progetti di più lungo respiro si sono incontrati per demolire quanto è stato partorito da tangentopoli in poi, per tornare in un certo senso, almeno nelle aspettative degli attori in campo, al punto di partenza.

D’Alema e Cossiga hanno liquidato l’Ulivo di Prodi, ormai inviso a tanti sia all’interno sia all’esterno della coalizione, e allo stesso tempo stanno tentando di fare la medesima cosa con il Polo strappandone dei pezzi a vantaggio dell’Udr e quindi del nuovo esecutivo. Tutto ciò con la benedizione dei poteri forti della borghesia italiana.

Le cause che vedono il coagularsi di forze politiche ed economiche diverse sono molteplici. Prima di tutto vi è l’anomalia berlusconiana, cioè di un personaggio che è sceso in politica esclusivamente per salvare i propri interessi costruiti con il malaffare e la protezione del vituperato Craxi, presentato quest’ultimo, una volta caduto in disgrazia, come la reincarnazione del diavolo.

Luna di miele tra il governo D’Alema e il picconatore L’impresentabilità di Berlusconi, persino come immagine all’estero dell’Italia, la cui repentina ascesa è stata possibile grazie al possesso delle reti televisive, non è tanto una questione estetica, ma più concretamente l’incapacità dell’uomo e degli osceni personaggi aziendali di cui si è circondato, di gestire politicamente gli interessi del capitale nazionale sia dal punto di vista della necessaria “sensibilità” rispetto alla complessa realtà sociale; sia per quanto riguarda la natura caratteriale, arrogante e litigiosa, del capo dell’opposizione, che avrebbe potuto vanificare anni di pace sociale e di politiche dei sacrifici passate e future.

L’Ulivo di Prodi, seguito alla parentesi di governo del Cavaliere, non ha certamente demeritato in quanto a finanziarie caratterizzate da pesanti tagli alla spesa sociale e da provvedimenti contro il mondo del lavoro a favore delle imprese. La debolezza di fondo di Prodi è stata quella di essere il leader del compromesso tra Pds e Ppi, mancando di un proprio partito alle spalle che potesse imporre sul piano di un’autonoma forza patteggiamenti e mediazioni di potere. Il suo ruolo si è esaurito una volta portato a termine un primo importante lavoro di sgrossatura nella direzione della demolizione del welfare state, che ha permesso all’Italia di entrare nell’Euro, e con l’aiuto dato alla svolta nelle relazioni tra capitale e lavoro attraverso l’indispensabile collaborazione della sinistra borghese e dei sindacati, contribuendo a fare accettare l’idea che diritti acquisiti e sicurezza sono un lusso del passato in un mondo in continuo mutamento, alle difficoltà del capitalismo deve corrispondere la precarietà di vita e di lavoro del proletariato.

Il problema di fondo tuttavia resta, la valorizzazione del capitale nella crisi strutturale di ciclo dell’economia richiede permanentemente che al proletariato sia succhiato sangue per favorire il profitto. Allo scopo serve un governo autorevole, preferibilmente che appaia il meno distante possibile dai lavoratori, che possa durare nel tempo.

Il governo D’Alema rappresenta il primo passo che va in questa direzione, l’intesa tra Pds e Udr è il tentativo di creare in prospettiva due forze d’alternanza di potere di tipo europeo, una di centro l’altra socialdemocratica.

Da tempo il Presidente di Confindustria e altri esponenti del grande capitale avevano fatto capire di preferire a capo del governo il leader del principale partito di maggioranza. Il Pds si è guadagnato sul campo gli apprezzamenti e i favori di un largo schieramento, da Mediobanca ad Agnelli. Per il padronato un esecutivo di centrosinistra guidato da un ex comunista attento alle loro richieste è ancora, nella fase storica presente, la migliore garanzia per mettere finalmente mano in modo radicale alla riforma dello Stato sociale e alla flessibilità del lavoro, un filo conduttore che va dallo smantellamento del sistema pensionistico alla libertà di licenziamento, passando per una miriade di provvedimenti tutti a favore del capitale. Per fare ciò è indispensabile che D’Alema sia meno “distratto” dalle beghe politiche con Berlusconi e sia libero di agire realmente per il conseguimento degli obiettivi.

In questo senso la dote che porta a sostegno del progetto l’ex gladiatore Cossiga è notevole. Il suo intento di costruire un grande centro parte dalla fondazione del Movimento per l’Europa popolare, sostenuto da Romiti e da potenti esponenti del mondo industriale e finanziario, da una parte della burocrazia di stato e delle gerarchie militari, e per ultima anche la Chiesa si sta adeguando dopo le prime impulsive critiche al nuovo governo. La ciliegina finale sulla torta, e non a caso, è venuta dal governatore della Banca d’Italia Fazio che ha abbassato il tasso di sconto dal 5 al 4 per cento, prossimo al 3,5 per cento a cui l’Italia dovrà allinearsi dal gennaio 1999, in base agli accordi di Maastricht.

Dall’insieme delle circostanze il governo D’Alema parte sotto i migliori auspici, certamente esso dovrà tenere conto strategicamente che a fine legislatura, tra poco più di due anni, ci saranno nuove elezioni e che quindi le vere riforme strutturali, e le conseguenti bastonate per i proletari, potranno partire solamente da quel momento, chiunque sia il vincitore. Inoltre bisognerà vedere se effettivamente riuscirà il piano di Cossiga di estromettere Berlusconi riportando a casa i voti democristiani andati al Polo.

Indipendentemente da chi di volta in volta sarà chiamato ad amministrare lo Stato borghese, destra sinistra o centro, l’unica certezza è che a pagare i costi della crisi sarà in ogni caso il proletariato. La socialdemocrazia è la forza più accreditata per cercare di tenere a galla la traballante barca capitalista, perché capace più dei concorrenti nell’arte d’ingannare il mondo del lavoro, non a caso è al potere in quasi tutti i paesi europei.

Essa in campagna elettorale alimenta le speranze dei proletari promettendo comprensione e tolleranza contro la brutalità reazionaria dell’avversario, per finire in pratica col fare poi le stesse cose una volta al potere.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.