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Fra le ragioni fondanti dell'intervento Nato nei Balcani c'è la manovra complessiva americana tendente al completo controllo delle risorse energetiche mondiali, essenziale a sua volta alla gestione della rendita finanziaria
"Europei servi dell'imperialismo americano" questo è il contenuto di slogan e discorsi di tutta la sinistra borghese italiana, e più in generale europea, che vorrebbe così sintetizzare il complesso di tendenze, posizioni eventi che ha portato all'intervento unitario NATO in Yugoslavia.
Come sempre succede quando l'analisi manca o è errata, la sintesi è errata. In questo caso la sintesi copre la assoluta inadeguatezza dell'analisi, ancorché questa esista.
Rivediamo allora le componenti dell'insieme. Come argomentiamo in altra parte del giornale e affermiamo nel manifesto del Bureau, fra le ragioni fondanti dell'intervento Usa nei Balcani c'è la manovra complessiva americana tendente al completo controllo delle risorse energetiche mondiali, essenziale a sua volta alla gestione della rendita finanziaria.
Ora, assicuratisi il controllo sul petrolio mediorientale, gestito anche a suon di bombe sull'Iraq e di embarghi, per i predoni americani restano le enormi riserve del Caucaso e del mar Caspio, per ora solo in parte sfruttate, e che certuni stimano essere pari ai tre quarti delle riserve mondiali. Erano riserve dell'Urss prima che questa implodesse, ora appartengono a quella minigalassia di Stati legati sì alla CSI ma pronti anche a separarsene, e in particolare Kirgizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan, Azebargian, Georgia.
Nel Kazakistan, per esempio, "sono in progetto nuovi oleodotti, in concorrenza tra loro, per trasportare il greggio verso i mercati esteri: il raddoppio del tracciato Tengiz-Novorossijsk; la via iraniana tra Tengiz a Kharg, sul Golfo Arabico; il tracciato turco da Tengiz a Yumurtalik, sul Mediterraneo". (dall'Atlante De Agostini).
Ebbene è proprio su chi farà gli oleodotti per il petrolio centro-asiatico e sulla loro destinazione che si sta giocando la grande partita sulla scacchiera euro-asiatica con mosse solo apparentemente contraddittorie sul Kurdistan e sull'Iraq, sull'Afghanistan e sul Kosovo.
Per gli Usa si tratta di sottrarre innanzitutto alla Russia la possibilità di controllare quelle riserve e il loro sfruttamento, isolandola e istigando quei paesi (a popolazione prevalentemente musulmana) a sottrarsi quanto più possibile dall'influenza russa. In subordine si tratta di bloccare o ostacolare al massimo gli sforzi dell'Europa di gestire in proprio le forniture petrolifere tuttora controllate dagli Usa. Gli Usa hanno manovrato e stanno tuttora manovrando sul versante Est per far defluire il petrolio attraverso Afghanistan e Pakistan verso le coste del Mar Arabico. La seconda via verso Ovest li preoccupa. Vale la pena sottolineare a questo proposito che negli obiettivi finali, ai quali apparentemente si prestano anche gli Usa c'è la costruzione di quel "corridoio 8" di cui Luca Rastello ha scritto sul Manifesto del 27/2. Si tratta del progetto finanziato dal FMI di costruzione di un enorme oleodotto, una autostrada e una linea ferroviaria che unisca le coste bulgare del mar Nero alle coste dell'Albania meridionale e che, di nuovo, sottragga al controllo russo le risorse energetiche che possono defluire dalle regioni Caucasiche verso il Mar Nero e di qui al Mediterraneo. Se a garantire la fattibilità del corridoio sono gli Usa, sono ancora gli Usa a porre una seria ipoteca sui piani italo-tedeschi.
Questo le cancellerie europee lo sanno molto meglio di quanto i fessacchiotti dellle varie sinistre più meno extra o para-parlamentari sono in grado di pensare.
Ma parliamo appunto di cancellerie europee, una pluralità che sinora è stata in grado solo di creare... l'Euro, ma non esiste né sul piano politico né, tantomeno su quello militare.
E allora ecco manifestarsi l'audacia dell'aquila americana a fronte dei falchetti europei. Gli Usa hanno ingigantito ad arte la crisi serbo-kosovara per poter dimostrare a) l'incapacità della "comunità europea" a gestirla; b) dettare tempi e modi dell'intervento al quale gli europei non potevano non accodarsi.
D'Alema lo ha espresso abbastanza chiaramente nel suo intervento in parlamento a spiegazione della guerra: l'Italia non può chiamarsi fuori, pena l'isolamento nella NATO e nella comunità europea. Cioè: l'Albania è un protettorato italiano, l'Italia ha un ruolo da svolgere nel Mediterraneo e in Europa, e questo ruolo si gioca qui e ora con le armi (con basi, aereoporti, aerei e navi).
Contemporaneamente perseguiamo la pace, le trattative, la possibilità di una soluzione concordata e pacifica delle questioni.
Analoghi discorsi hanno fatto gli altri leader europei: esserci per poter contare qualcosa su quello scacchiere, poi si vedrà.
Solo i fessi o le inermi vittime dell'oppressione ideologica e mediatica borghese possono credere che siano le ragioni umanitarie (per quanto malintese) a pesare sull'atteggiamento di D'Alema, Blair, Jospin, Shroeder e minori. Quei messeri, incapaci di unire le forze prima del colpaccio Usa, vi si sono accodati nella speranza che, alla sua conclusione, possano riprendere il cammino verso l'unità in un nuovo centro di brigantaggio imperialista e di mantenere i propri artigli sulla preda finale.
E speravano, evidentemente, insieme agli strateghi della Casa Bianca, che la cosa durasse poco e Milosevic cedesse presto. In tal caso, ci sarebbe stato da discutere la composizione della "forza d'interposizione" e ognuno avrebbe giocato il suo ruolo.
Ma le cose non sono andate così. Milosevic, come d'altronde era probabile che succedesse, non ha calato le brache terrorizzato ed ora la "cosa", nel momento in cui scriviamo, va trascinandosi con pericoli altissimi e incognite crescenti, per tutti. Di fatto, nella impossibilità di giocare un ruolo unitario a fronte degli Usa, gli Europei si sono inizialmente lanciati in una logica di arraffa-arraffa che, a questo punto, lascia amplissimi margini alla irrazionalità, fino all'idiozia, nelle scelte e nei comportamenti. Gli Usa, anch'essi, ormai abbacinati dal ruolo di superpotenza che si sono assunti, si sono lanciati in una operazione sulla base di valutazioni evidentemente sbagliate e ora si ritrovano immersi in una logica di guerra, che come sempre, travalica le originarie logiche politiche. Devono vincere a tutti i costi entro il 25 aprile, cinquantesimo anniversario della fondazione della NATO. Lo hanno detto chiaramente i loro più alti rappresentanti militari e c'è da credergli. Ma questo voler vincere a tutti i costi cosa significherà? E fino a che punto gli Europei (tutti gli Europei che sinora ci stanno) saranno disposti a seguire?
Sarà disposta l'amministrazione politica del capitale italiano (il governo diessino di D'Alema) a rischiare un coinvolgimento diretto dell'Italia in una guerra di tutti contro tutti nei Balcani, "per colpa" dell'arroganza americana?
È un problema loro, ma secondario rispetto a quello che noi poniamo che è questo: fino a che punto il proletariato europeo e mondiale sarà disposto ad allinearsi e ad accettare perciò le tragedie della guerra? Le forze politiche che ora vanno per la maggiore fra i lavoratori (e che vanno dalla lega arcireazionaria di Bossi alle frange dell'aut-op filo serba o filo kosovara) spingono all'allineamento, in senso antiamericano ma sempre filo capitalistico. Ridurre queste forze all'impotenza, sbatterle fuori dalle file proletarie è il primo obiettivo tattico che, per quanto difficile e lontano, ci sta di fronte.
m.jrBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 1999
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