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Home ›La ripresa dell'euro
Nell'ultimo mese la nuova moneta europea si è apprezzata nei confronti del dollaro di quasi il 15%. Ad un anno esatto dalla sua effettiva circolazione l'euro sembra aver superato la fase di svalutazione nei confronti delle altre monete forti del sistema internazionale, apprezzandosi in maniera costante e progressiva sia nei confronti della moneta statunitense che dello yen. Dopo essersi svalutato di oltre il 25% rispetto al dollaro, la moneta europea nel giro di poche settimane ha invertito la marcia passando da un valore di circa 0,80 a 0,95 dollari per euro.
I fatti di quest'ultimo periodo smentiscono clamorosamente gli economisti borghesi che prevedevano un ulteriore rialzo del dollaro nei confronti della moneta europea. L'apprezzamento del dollaro, secondo gli economisti e commentatori borghesi, era determinato soprattutto dallo stato di salute dell'economia americana. Dieci anni consecutivi di espansione economica, un tasso di disoccupazione nettamente inferiore a quello dei paesi dell'Unione europea, crescita esponenziale della produttività e un mercato del lavoro altamente flessibile sono stati all'origine della super valutazione della moneta statunitense; per i corifei del capitale i dati dell'economia reale americana sono stati quindi alla base del dollaro forte. Nello stesso periodo i paesi dell'Europa hanno fatto registrare una bassa crescita economica, un elevato numero di disoccupati ed un mercato del lavoro rigido. In questo contesto economico l'euro non poteva che svalutarsi nei confronti del dollaro, e la ricetta preparata dalla borghesia europea per uscire dalla spirale della svalutazione prevedeva di fare quelle riforme economiche per avvicinare l'Europa agli Stati Uniti. Dopo aver bastonato il proletariato per raggiungere i famosi parametri di Maastricht, la borghesia europea ha proseguito imperterrita, grazie alla fattiva collaborazione delle centrali sindacali, nell'attaccare le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. Fatto l'euro, bisogna fare ulteriori sacrifici per non farlo svalutare, questo è quello che la borghesia europea ci ha ideologicamente propinato e materialmente imposto in questi mesi.
Senza riprendere l'analisi condotta dal partito in questi ultimi tempi sulla situazione economica statunitense ed europea, rinviando il lettore all'ultimo numero di Prometeo appena uscito, bisogna in ogni caso sottolineare come le quotazioni del dollaro negli ultimi venti anni non sono mai state in sintonia con l'andamento dell'economia reale degli Stati Uniti, ma abbiano rispecchiato i movimenti dei tassi d'interessi e soprattutto l'azione imperialistica del capitalismo statunitense. Infatti, in questi ultimi dieci anni l'economia più importante del pianeta ha accumulato pesantissimi deficit della bilancia commerciale che avrebbero dovuto determinare una svalutazione del biglietto verde anziché un suo apprezzamento. Come abbiamo in più circostanze evidenziato il capitalismo in questi ultimi decenni ha profondamente modificato le modalità di appropriazione di plusvalore prodotto su scala internazionale dal proletariato; le attività di borsa e le speculazioni sulle monete rappresentano lo strumento più raffinato attraverso il quale la grande borghesia internazionale valorizza i propri capitali. In questo contesto la borghesia statunitense, per essere dominante sul piano dei rapporti imperialistici, ha più di ogni altra utilizzato i meccanismi di appropriazione parassitaria. Grazie al dollaro, alla sua funzione di moneta principale nei mercati valutari e mezzo di scambio nel commercio internazionale, gli Stati Uniti riescono a stornare da ogni angolo del pianeta merci e capitali, dando in cambio solo carta moneta. Questo meccanismo non è il frutto di una gentile concessione fatta dagli altri paesi agli Stati Uniti, ma è la conseguenza sia della forza dell'economia americana che della loro micidiale macchina bellica. Grazie alla funzione di moneta principe del sistema monetario internazionale, gli Stati Uniti hanno potuto stornare da ogni angolo del pianeta capitali necessari sia a finanziare il debito pubblico che ad alimentare la crescita della borsa di New York.
Per comprendere le oscillazioni del dollaro bisogna considerare gli strettissimi rapporti che intercorrono tra la moneta americana e il prezzo del petrolio. Esprimendosi quest'ultimo in dollari, un aumento o una diminuzione del prezzo del petrolio, si ripercuote immediatamente sul valore del biglietto verde. Infatti, l'apprezzamento del dollaro si è accompagnato ad un aumento del prezzo del petrolio che nel giro di soli due anni e passato da dieci a quasi 40 dollari al barile. La fase di rialzo dell'euro è iniziata in concomitanza con la riduzione del prezzo del petrolio, sceso in questi ultimi giorni sotto la soglia dei 25 dollari al barile. Un secondo fattore determinante per la rivalutazione della moneta europea sono state le riduzioni del tasso di sconto praticati dalla banca centrale statunitense. La riduzione del tasso di sconto operata da Greenspan è stata dettata sia da fattori interni che dal pericolo di crac finanziario di paesi come l'Argentina, la Turchia e i paesi del sudest asiatico. Sono ormai evidenti i segnali che l'economia statunitense marcia spedita verso un periodo di recessione economica, e abbassare il tasso di sconto significa alimentare sia la liquidità monetaria che la domanda interna. Sul piano internazionale, la riduzione dei tassi americani attenua la pressione su quei paesi che hanno visto crescere a dismisura il loro debito con l'estero a causa della rivalutazione del dollaro. Gli investitori internazionali di capitale finanziario si muovono in ragione dei tassi d'interessi presenti sui mercati, se quest'ultimi diminuiscono gli investitori spostano i propri capitali in altri paesi dove sono presenti migliori prospettive di guadagno. Se consideriamo che i tassi d'interesse americani presentavano un differenziale positivo di quasi due punti percentuali rispetto a quelli dei paesi dell'euro, si comprende benissimo come il dollaro si sia rivalutato in questi ultimi anni rispetto all'euro; ora che i tassi d'interessi europei, al netto dell'inflazione, sono superiori a quelli americani i capitali si spostano nel vecchio continente. Nell'ultimo mese sono stati registrati intensi movimenti di capitali giapponesi che dagli Stati Uniti si sono trasferiti sui mercati dell'euro. La logica conseguenza di questi movimenti è stata la rivalutazione dell'euro e la caduta degli indici azionari della borsa americana.
La rivalutazione dell'euro diventato nei fatti moneta alternativa al dollaro nonostante lo scetticismo di alcuni esponenti del bordighismo che, invertendo clamorosamente i rapporti tra struttura economica e sovrastruttura politica, negano la possibilità di dar vita ad una nuova moneta senza la presenza uno stato politico europeo, si spiega quindi con la riduzione del prezzo del petrolio e l'abbassamento dei tassi d'interesse statunitensi. Euro forte significa anche che le merci europee saranno meno competitive sui mercati internazionali, e la borghesia europea è pronta a chiedere al proletariato nuovi sacrifici per recuperare la competitività perduta.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 2001
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