Sul Vertice di Nizza - Il capitale tedesco ha fatto un altro passo avanti verso la leadership europea

All'indomani della chiusura del vertice europeo di Nizza, il principale organo del riformismo italiano - il Manifesto - è uscito con una prima pagina, presa a prestito da un noto fumetto francese, in cui lo "stato dell'Unione" è descritto in modo disastroso. Infatti, secondo il Manifesto, gli egoismi nazionali avrebbero scatenato un'accesa rissosità tra i partners, facendo infine prevale gli interessi dei singoli paesi su quello comune europeo. Sostanzialmente, quindi, il summit dei Quindici si sarebbe concluso con un nulla di fatto e con il rinvio ad altro appuntamento dei più scottanti problemi in campo. Ora, un simile giudizio contiene senz'altro del vero, ma rimane chiuso in un orizzonte limitato e perciò fuorviante, perché non coglie, ancora una volta, la logica oggettiva che regge il "discorso" europeista del capitale europeo ossia la necessità di andare a costituire un centro imperialista che sappia confrontarsi (cioè scontrarsi) su tutti i piani, incluso quello militare, con lo strapotere dell'imperialismo USA. Ma questo è un processo che, nonostante tutto, sta muovendo ancora poco più che i primi passi e, come ogni processo, può essere soggetto tanto a rapide accelerazioni quanto a rallentamenti o, addirittura, a momentanee battute d'arresto. La cartina stradale di questo, per forza di cose, accidentato percorso non sta scritta da nessuna parte, ma è di volta in volta disegnata dagli attori in gioco sulla base dei rispettivi e mutevoli rapporti di forza.

A Nizza le questioni sul tappeto erano tante, ma, soprattutto, c'era quella della ridefinizione del ruolo dei singoli paesi in vista del prossimo allargamento a Est (e non solo) dell'Unione Europea. In pratica, le nazioni più importanti dal punto di vista economico e demografico - Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia - rivendicavano un maggior peso politico nel consiglio dei ministri europeo, cosa che hanno puntualmente ottenuto. Tuttavia, la vera posta in gioco era e rimane la conquista della leadership europea, il che spiega l'asprezza dello scontro e l'impressione del fallimento del vertice. L'accordo sui complicati meccanismi riguardanti i criteri di elezione degli organi istituzionali (a cominciare da quelli esecutivi) è solo il primo atto di una lotta che vede schierata da una parte la Germania e dall'altra - per motivi diversi - la Francia e la Gran Bretagna, che si oppongono ad un mutamento in senso favorevole ai tedeschi degli attuali equilibri di potere. Per questo, liquidare Nizza come un fallimento totale è per lo meno riduttivo, solo perché, per es., Blair ha mantenuto il diritto di veto per le politiche fiscali e sociali, dato che un vincitore c'è stato, sebbene non abbia trionfato, il che sarebbe in contraddizione con la complessità delle cose. La Germania, infatti, si è oggettivamente rafforzata: se non ha ottenuto, come chiedeva, più voti nel consiglio dei ministri, il numero dei suoi deputati al parlamento europeo non calerà (al contrario degli altri "grandi") con l'entrata dei paesi ora candidati; inoltre, è passata la sua proposta secondo la quale l'approvazione di ogni atto dovrà avere dietro di sé anche il 62% della popolazione (il criterio demografico sostenuto da Berlino...) e la maggioranza degli stati. Ora, tenuto conto che su dodici stati paesi in attesa di mettere piede nell'Unione Europea ben dieci appartengono all'ex blocco sovietico, è facile capire che la Germania ha conseguito un successo tutt'altro che disprezzabile. Infatti, è noto che l'Europa centro-orientale è in gran parte entrata nell'orbita del capitale tedesco, il quale si è esposto per cifre enormi anche nella disastrata Russia. È dunque credibile immaginare scenari futuri in cui dalle piccole repubbliche baltiche giù giù fino ai paesi attraversati dal Danubio venga un fidato (benché non automatico, ovviamente) sostegno alle iniziative "comunitarie" tedesche. Non solo, Berlino ha avuto un importante appoggio dall'Italia, con la quale ha caldeggiato e ottenuto la costituzione delle cosiddette cooperazioni rafforzate ossia il diritto riconosciuto agli stati che vi aderiscono (purché siano almeno otto) di procedere più speditamente sulla via dell'integrazione e del rafforzamento dei legami reciproci. Quindi, mentre si prospetta un'Europa a due velocità, contemporaneamente, per una sorta di ironia della storia, pare riaffacciarsi l'asse Berlino-Roma.

Questo, ovviamente, non significa che assisteremo ad una riedizione meccanica degli schieramenti imperialistici della prima metà del secolo scorso, bensì che gli antagonismi profondi che avevano lacerato il capitalismo europeo e contrapposto una sezione di questo al capitalismo made in USA non sono del tutto scomparsi, anzi, per certi aspetti, sono andati maturando ad una scala più grande con l'aprirsi e poi l'acuirsi della crisi storica del ciclo di accumulazione. Insomma, è più di un secolo che il capitalismo tedesco si pone più o meno gli stessi obiettivi, ma oggi i suoi interessi coincidono, da un certo punto di vista, con quelli del capitale europeo complessivo; infatti, gli interessi strategici del capitalismo europeo sono oggettivamente in rotta di collisione con quelli americani, a cominciare dalla contrapposizione euro-dollaro, così come c'è una convergenza altrettanto oggettiva tra gli interessi europei e quelli russi (vedere La crisi dell'euro e del petrolio in Prometeo n.2/2000). Sfilarsi dal collo il cappio del dollaro e del petrolio - ossia sottrarsi alla dipendenza/sottomissione dalla principale materia prima e dalla rendita finanziaria ad essa legata - non è un compito facile né unanimemente condiviso da tutte le sezioni della grande borghesia europea, come testimoniano, per es., le ambiguità/resistenze antieuropeiste della Gran Bretagna; ma rimane comunque la strada obbligata da seguire se l'Europa borghese vuole contare qualcosa nella partita imperialista che si disputa a livello planetario. Indubbiamente mancano ancora parecchi e fondamentali elementi perché questa partita possa essere giocata ad armi pari dai contendenti, non ultimo la nascita di un esercito vero, di cui a Nizza sono state poste solo le basi, con la costituzione di una forza armata di pronto intervento (magari umanitario...). Ma questo è un terreno estremamente delicato che spiega le cautele europee o, se si preferisce un altro termine, il servilismo verso la NATO in cui eccellono, come sempre, gli italiani.

Al di là di facili e scontati sarcasmi, non bisogna però dimenticare che l'occupazione militare yankee non è finita con la guerra fredda e che i cacciabombardieri a stelle e strisce fanno ancora il nido nel cuore dell'Europa.

Ma se il super brigante imperialista USA vigila costantemente suoi recalcitranti alleati europei, c'è invece chi ancora manca di dire la sua nel coro non sempre armonico della borghesia d'Europa. Infatti, il proletariato subisce e tace su queste e altre questioni, sui progetti imperiali dei "suoi" padroni, che non perdono di certo il sonno né di fronte alle docili e innocue manifestazioni sindacali, né, tantomeno, alle rumorose ma altrettanto innocue iniziative dell'ingenuo e illuso radical-riformismo, convinto - poveretto - di imporre il suo fantasioso galateo sociale ai lupi di borsa e ai vecchi e nuovi padroni del vapore.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.