Pacifisti interclassisti e malintesi rivoluzionari di fronte alla guerra

Le nubi di guerra che - nel momento in cui scriviamo - si addensano minacciose sull'Asia centrale stanno sollecitando iniziative e prese di posizione nella "sinistra" genericamente intesa, e danno nuovi impulsi e una nuova ragione di vita a una parte significativa del cosiddetto movimento "no-global", molto occupato a far nascere in molte città i Social Forum come ramificazioni del Genoa Social Forum.

Ma c'è anche un'altra sinistra, che si proclama apertamente "antagonista" o addirittura rivoluzionaria, che non può esimersi, naturalmente, dall'esprimere le proprie valutazioni e le proprie indicazioni politiche. Sembra di trovarsi di fronte a una riedizione dello schieramento pacifista e anti-bellicista del 1999, durante la guerra in Kossovo; per molti aspetti è così, ma non del tutto, se non altro perché il movimento "no-global" allora stava solo muovendo i primi passi. Come nel '99, però, la quasi totalità delle posizioni espresse dagli oppositori - a vario titolo - della guerra, si collocano su di un terreno che, a essere molto generosi, si può definire totalmente inadeguato rispetto alla drammaticità degli eventi e alle risposte da dare a questo nuovo episodio della sanguinosa e sanguinaria storia imperialista.

I Social Forum, coerentemente con la loro visione del mondo interclassista e riformista, si attestano sul solito pacifismo piccolo-borghese, che, non individuando, se non molto superficialmente, nella guerra un inevitabile e necessario prodotto del modo di produzione capitalistico, pensano di fermare il conflitto appellandosi agli "eterni principi" della democrazia, della libertà, del rispetto delle leggi e del diritto internazionali, come se questi non fossero l'ipocrita maschera ideologica indossata dagli imperialismi più forti per legittimare la loro propria natura di super briganti planetari. Di più, sul richiamo al rispetto della "Costituzione italiana ed europea" convergono le posizioni di tanta parte della sinistra istituzionale - DS, ma anche Rifondazione - vera task force (oggi solo ideologica) dell'ancor debole imperialismo europeo. Che cosa significa contrapporre l'ONU o la costituzione europea alle alleanze militari - ben sapendo di non poter disporre d'altro che di chiacchiere - se non ammettere la propria inferiorità sul terreno dei concreti rapporti di forza? Purtroppo, però, i pacifisti "di base" che, pieni di sincero entusiasmo, si sorbiscono defatiganti marce o simboliche fiaccolate o altre cose simili, tutte ugualmente inutili, non si rendono conto di essere usati come massa di manovra (la famigerata opinione pubblica) a sostegno del costituendo blocco imperialista europeo.

Ma la guerra ha anche questo di positivo (si fa per dire, naturalmente) e cioè che fa uscire allo scoperto gli impulsi più profondi, costringe a schierarsi, a esibire senza veli né veline la propria carta d'identità politica, riservando a volte qualche sorpresa. È, infatti, con un certo stupore - lo confessiamo - che abbiamo visto gli anarchici della FAI emiliana (o solo reggiana?) invocare il rispetto della costituzione, delle risoluzioni ONU e la nascita di uno stato (!) palestinese "libero e indipendente", come primo passo concreto per la pacificazione del Medio Oriente e per la soluzione del problema della guerra e del terrorismo. Certo, non è la prima volta che, di fronte a una scelta decisiva, gli anarchici (tranne poche eccezioni) fanno l'esatto contrario di quanto hanno sempre detto - vedi, per es., la partecipazione, con tanto di ministri, ai governi democratici controrivoluzionari nella Spagna del 1936 - ma, sinceramente, che arrivassero a teorizzare la necessità dello stato per fermare i venti di guerra, beh, proprio non ce l'aspettavamo. D'altra parte, si sa, per l'opportunismo politico la coerenza è un accessorio, la sostanza è sempre il "caso eccezionale" che giustifica la prostituzione di qualsiasi principio.

Chi invece non stupisce, ribadendo apertamente il suo più schietto pacifismo interclassista, sono le Tute Bianche, benché dopo la batosta politico-pratica di Genova, siano mandate alla rottamazione del loro stesso "lider maximo" Casarini. Non vorremmo ripeterci, annoiando chi ci legge, così come noi ci annoiamo a leggere le vuote declamazioni del "lider" suddetto, ma poiché, grazie allo sponsor Rifondazione - che lo manda in giro come una star del cinema a tenere conferenze nelle proprie sezioni - il portavoce dei Centri sociali del nord-est raggiunge un pubblico proletario, è necessario spendere due parole sulle sue spiegazioni (?!) della guerra. Le insensatezze che macina a getto continuo sono tante, ma una su tutte spicca ossia che è sbagliato e sorpassato tirare in ballo l'imperialismo: oggi si deve parlare di Impero. Ma cos'è questo Impero? Tutto e niente: le multinazionali USA, le grandi banche, il Mc Donalds', i Talebani, l'integralismo islamico e il traffico di droga (Liberazione, 18-09-01). Evidentemente Casarini deve essere rimasto impressionato dalla saga cinematografica di Guerre Stellari, perché il suo Impero assomiglia tanto all'impero inter-galattico di quei film; allo stesso tempo, è la versione in chiave "no-global" delle "forze del male" additate, con movimento uguale e contrario, da Bush e dai Talebani. Negare l'imperialismo significa negare - come puntualmente fa - le leggi fondamentali del modo di produzione capitalista, in primo luogo che la valorizzazione del capitale è data solo dallo sfruttamento della forza-lavoro; significa, con un punto di vista tipicamente anti-materialista e anarchico, che un "potere" dai contorni estremamente generici abbia imposto un ordine già fatto e compiuto, statico, sul mondo intero, quando invece gli interessi contrapposti degli opposti blocchi imperialisti (già costituiti o in fase di costituzione) sono ben vivi e vitali, e rotolano il mondo intero lungo la china dello sfruttamento spietato, della distruzione ambientale, dello stermino per fame e malattie, della guerra imperialista. Dunque, se le contraddizioni insanabili del capitale sono collocate nei mercatini dell'antiquariato, è ovvio che la lotta di classe faccia la stessa fine (come dice il subcomandante Marcos...), e per opporsi all'Impero non resti altro da fare che impugnare quelle armi che la piccola borghesia ha sempre ritenuto le uniche valide, nonostante ogni esperienza storica abbia dimostrato regolarmente il contrario: "noi dovremo combattere per la democrazia [...] per i diritti globali" ecc. (Liberazione, cit.). Tanta smania di battere vie nuove, per ridursi a ripescare (magari inconsapevolmente) il vecchio slogan togliattiano rivolto al proletariato di raccogliere e innalzare al vento le bandiere che la borghesia ha gettato nel fango. Con quali risultati, i DS lo testimoniano...

Se questo, a grandi linee, è il panorama del pacifismo che più o meno apertamente rifiuta o prende le distanze dalla lotta di classe come unico modo per contrastare la guerra, non meno desolanti - anzi - sono le posizioni di chi, invece, si attribuisce la qualifica di comunista e di internazionalista. Ci riferiamo all'OCI (Organizzazione Comunista Internazionalista) la quale, rispetto agli attentati in USA, ha emesso un comunicato ( go.to ) che, al solito, col comunismo e con l'internazionalismo proletario non c'entra proprio nulla. È significativo, infatti, che i morti sotto il bombardamento ordinato da qualche miliardario islamico o da chissà chi - in ogni caso, un nemico mortale del proletariato - siano chiamati con ostentata sufficienza, "qualche schizzo di sangue", dimenticando, o non volendo vedere, che la maggior parte degli "schizzi di sangue" appartenevano al proletariato, per lo più quello maggiormente sfruttato e del "Terzo Mondo", vale a dire lavoratori in nero perché immigrati clandestini. Tutto questo, però, è coerente con i presupposti teorici dell'OCI, per la quale la lotta anti-imperialista equivale solo alla lotta contro gli USA e "l'Occidente" in genere, fraintendendo completamente la natura dell'imperialismo (vedi BC n.7/2001). Non a caso, nel suo comunicato, mentre si chiamano in modo martellante le "masse arabo-islamiche (e del Terzo Mondo)" a sollevarsi contro la borghesia occidentale in una specie di jihad anti-imperialista, neanche una riga è spesa per incitare quelle masse a lottare contro le proprie borghesie, come se queste non esistessero nemmeno e non fossero responsabili, tanto quanto la borghesia occidentale, dello spietato sfruttamento esercitato contro il proprio proletariato, islamico, induista o buddista che dir si voglia. Senza contare, poi, che le borghesie "islamiche" (e di ogni latitudine), attraverso i meccanismi finanziari internazionali, a loro volta partecipano dello sfruttamento della classe operaia "occidentale". Se si denunciano - dovere elementare per i comunisti - gli embarghi criminali, i bombardamenti assassini della popolazione civile, le guerre, che sprofondano nella disoccupazione e mietono la morte a milioni tra i proletari e la povera gente nei paesi della periferia e semi periferia capitalista, perché non fare altrettanto con i proletari morti sotto le macerie delle Torri Gemelle, con le decine di migliaia di disoccupati causati dall'attacco terroristico? Forse che un lavapiatti (chicano, nero o bianco che sia) delle Twin Towers vale meno di un operaio di Kragujevic o di un affamato di Baghdad? Per noi sono tutti uguali, tutti parte del proletariato internazionale, non di indistinti "popoli oppressi", e non vedremo mai in quegli attentati terroristici un'espressione del "terrorismo dei popoli", ma solo un momento - forse più oscuro di altri per quanto riguarda i mandanti diretti - dello scontro tra opposte fazioni borghesi, che sottomettono ai loro lerci obiettivi vasti settori del proletariato mondiale con la droga del reazionario fondamentalismo religioso o con le non meno allucinogene, reazionarie e ipocrite mobilitazioni pratico-ideologiche in favore della "libertà", della "democrazia", della "civiltà occidentale". Agli "internazionalisti" dell'Oci lasciamo volentieri sperimentare l'appoggio "incondizionato" all'insegnamento coranico e alla separazione tra maschi e femmine nelle scuole "dell'Occidente" (Che fare, n. 48): percorrano pure le nuove e terribilmente rivoluzionarie "vie del signore" (preferibilmente islamico), che, per definizione, come la giustizia di Bush e l'opportunismo controrivoluzionario, sono infinite...

Per noi, il disfattismo rivoluzionario, classista, anticapitalista contro qualunque borghesia, con qualsiasi veste ideologica si presenti, è e rimarrà sempre la nostra unica bandiera.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.