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Home ›Sciopero generale, secondo round: svolta o continuità della CGIL?
Sul ring della scena politico-sociale italiana la CGIL getta nuovamente il peso del suo apparato organizzativo e del prestigio accumulato, o recuperato, in questi mesi, contro un governo e un padronato più determinati che mai a mettere definitivamente al tappeto una classe operaia che, nonostante - o, meglio, proprio per questo - i durissimi colpi ricevuti, sembra voler rialzare timidamente la testa. Ma se in questo scontro la borghesia sta colpendo veramente duro, il mondo del lavoro salariato e dipendente, per quanto generosamente disposto alla lotta, ancora una volta porterà i suoi colpi a vuoto, se rimarrà prigioniero delle sue illusioni.
Fuor di metafora, non crediamo per nulla a un'improvvisa conversione anticapitalista della CGIL - sia pure in chiave riformista - perché questa "nuova stagione di lotta", che tanti credono di vedere, in realtà non è altro che la manifestazione di un aspro conflitto tra schieramenti borghesi (centro-sinistra contro centro-destra) e all'interno della stessa "sinistra". Un conflitto in cui milioni di proletari sono usati come massa di manovra e di pressione per i più svariati e sudici intrighi politici; in ogni caso, mai a favore del lavoro salariato medesimo.
È la natura del sindacato, è la storia vicina e lontana del sindacalismo italico, sono le motivazioni con cui il successore di Cofferati, G. Epifani (tra parentesi, negli anni '80 schierato con Craxi contro la scala mobile), ha indetto lo sciopero generale, che ci fanno vedere la "svolta" della CGIL sotto la giusta luce.
Per cosa siamo chiamati a scioperare? "Per l'Italia", dice Epifani, vale a dire - se le parole hanno un senso - per gli operai e per i padroni, per chi fatica ad arrivare alla fine del mese e per chi non sa come buttare i soldi, per chi è costretto a sganciare al fisco anche il centesimo e per chi è "condonato": fino a prova contraria, l'Italia, come il resto del mondo, è fatta dagli uni e dagli altri, anzi, molto più dagli uni che dagli altri.
Scioperiamo per la tutela e l'estensione dell'articolo 18 e dei "diritti" a tutti i dipendenti, per la rivalutazione degli stipendi, contro il Patto per l'Italia, che impone altre devastanti forme di precarietà nei rapporti di lavoro; scioperiamo contro la rapina/demolizione di ciò che resta dello "stato sociale". È vero, anzi, verissimo: il Patto per l'Italia è l'ennesimo episodio di violenta aggressione padronale al proletariato, i salari e gli stipendi inseguono a fatica un'inflazione che, programmata o meno, va sempre più forte di loro, sui posti di lavoro lo strapotere padronale celebra i suoi trionfi come nei mitici (ma per chi?!) anni '50, e, per quanto riguarda la cosiddetta democrazia, beh, non varrebbe nemmeno la pena di sprecare inchiostro...
Ma tutto questo è perfettamente in linea con quanto la CGIL, in compagnia di CISL e UIL, ha raccomandato, praticato e firmato nei numerosi accordi concertativi con padroni e governi succedutisi negli ultimi anni (tanto per fermarci qui). Non c'è riduzione salariale, non c'è restringimento dei "diritti", non c'è picconata al salario indiretto (stato sociale) che non porti la firma del sindacalismo confederale, almeno fino a quando e fin tanto che c'è stato un governo di centro-sinistra (un esempio per tutti: lo stravolgimento del sistema pensionistico); sempre in nome, naturalmente, dell'Italia e di benefici futuri che però continuano e continueranno a vedere solo i padroni, i loro mantenuti e tutta la pullulante schiera di parassiti del proletariato. E siccome "buon sangue non mente", la CGIL, con CISL e UIL, continua a sottoscrivere contratti che - come quello della catena commerciale COIN - sull'altare della competitività aziendale maciullano stipendi, orari, diritti, in primo luogo dei giovani e dei neoassunti.
Già... diritti, democrazia: ora sono parole riscoperte dal maggiore sindacato italiano, ora in tanti luoghi di lavoro presenta piattaforme, alternative a quelle di CISL-UIL, che rivendicano più salario, e rilancia la consultazione, le assemblee, i momenti di discussione con la "base". Ma è un trucchetto facile facile, quello di mostrarsi democratici e rispettosi delle indicazioni dei lavoratori adesso che si tratta - lo ripetiamo - di colpire un governo di destra, quando con i governi di centro-sinistra il sindacalismo confederale ha creato le RSU, "blindate" contro possibili voci fuori dal coro, riservandosi per legge il monopolio della "rappresentanza" dei lavoratori, ha attivamente partecipato alla messa in opera di un'abbondante legislazione anti-sciopero in tutto degna del fascismo, per soffocare, sterilizzare preventivamente l'eventuale manifestarsi di lotte autenticamente autorganizzate, fuori dal controllo sindacale. Per non dire, poi, delle assemblee sindacali, di cui ogni lavoratore ben conosce la squallida, ripetitiva messinscena interpretata dal sindacalista di turno, che, con linguaggio volutamente oscuro, presenta o, meglio, impone piattaforme "precotte" del genere "prendere o lasciare".
Ironia della sorte, proprio grazie a quella normativa anti-sciopero, il governo ha cercato di impedire la partecipazione dei lavoratori della scuola allo sciopero generale, appellandosi a una specifica clausola secondo la quale tra uno sciopero e l'altro della stessa categoria devono passare almeno dieci giorni; poiché l'ultra-corporativa e berlusconiana GILDA - guarda caso... - ne ha proclamato uno per il 14 ottobre, al governo non è parso vero di sfruttare quell'arma, se non altro a scopo intimidatorio.
Così come non è parso vero ai Cobas di avere l'opportunità (del tutto immaginaria) per cercare di spostare a sinistra la CGIL, in nome di una comune lotta anti-liberista. In tal senso, la Lettera aperta alla CGIL della Confederazione Cobas (il manifesto,17-09-02) è un raro esempio di opportunismo politico. È una lettera che dà credibilità e legittimità anticapitaliste alla CGIL, che ammette la possibilità che Epifani e compagnia possano rinnegare, correggere, capovolgere ciò che hanno fatto in questi anni; è una lettera in cui le critiche al sindacato "di sinistra" sono pressoché assenti e dove invece abbondano le proposte di collaborazione, anche, e non da ultimo, sull'ingannevole terreno parlamentare borghese.
Allora, cosa fare? Limitarsi a giudicare dall'esterno milioni di lavoratori e proletari che, rispondendo generosamente all'appello della CGIL, intendono reagire e lottare contro un governo odioso e un padronato arrogante? No; questo non è mai stato, non è e non sarà mai il nostro modo di agire e di pensare, nonostante quello che molti - per ignoranza o, più spesso, malafede - dicono di noi internazionalisti.
Il 18 ottobre sciopereremo, saremo, come sempre, in piazza, lavoratori tra lavoratori, per denunciare le manovre antiproletarie di una sedicente sinistra partitica e sindacale, per denunciare l'opportunismo di un riformismo, oggi più che mai, senza prospettive e senza sbocchi; ma ci saremo con i nostri contenuti, per sforzarci di far crescere nel proletariato una coscienza autenticamente anticapitalista e, di conseguenza, l'indispensabile strumento politico per la sua propria liberazione: il partito rivoluzionario.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2002
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